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L’impatto dell’industria del farmaco sulle linee guida...

Necessaria maggiore trasparenza nei rapporti tra industria,...

N.1 2024
Editoriale
L’impatto dell’industria del farmaco sulle linee guida cliniche

Dario Roccatello e Simone Baldovino 
Struttura Complessa Universitaria CMID-Nefrologia e Dialisi, Centro Universitario di Eccellenza per le Malattie Nefrologiche, Reumatologiche e Rare (Membro reti ERK-net, ERN-Reconnect and RITA-ERN) e Centro di Coordinamento della Rete Interregionale delle Malattie Rare del Piemonte e della Valle d’Aosta, Ospedale Hub San Giovanni Bosco e Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino
 

Necessaria maggiore trasparenza nei rapporti tra industria, mondo accademico e associazioni pazienti e una disamina disincantata dello scenario in cui si muovono gli attori coinvolti nella stesura delle linee guida per garantire la sostenibilità dei sistemi sanitari nel fornire le migliori cure possibili e assicurare la fiducia dell’opinione pubblica.

 

Fig1Come tutte le attività economiche le industrie farmaceutiche hanno come obiettivo lo sviluppo di ricchezza. L’obiettivo viene perseguito attraverso la produzione di beni intesi a soddisfare le necessità dei consumatori. I beni prodotti dalle industrie farmaceutiche hanno però due peculiarità. Innanzitutto farmaci e dispositivi biomedici non sono un generico bene di consumo, ma hanno implicazioni dirette sulla salute, uno dei diritti fondamentali del cittadino che in Italia è tutelato dalla costituzione. In secondo luogo, l’onere dell’acquisto del farmaco o del dispositivo biomedico nella maggior parte dei casi non ricade direttamente sul fruitore, ma è soggetto a rimborso da parte di un’assicurazione (come negli USA) o viene sostenuto direttamente dallo stato (come avviene in Italia). La valutazione di qualità dei farmaci e dei dispositivi biomedici è demandata agli enti regolatori (negli USA la Food and Drug Administration - FDA e in Europa la European Medicines Agency - EMA).

Gli enti regolatori valutano i risultati degli studi clinici promossi dall’industria sul prolungamento della sopravvivenza, il miglioramento della qualità di vita, la riduzione della durata di malattia e l’entità degli effetti avversi.

In Italia, l’ente regolatorio che si occupa di farmaci è l’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco, che svolge anche un’attività di negoziazione del prezzo del presidio. Il costo del farmaco è soggetto ad ampie lievitazioni perché l’ente che ne sostiene la spesa (in Italia lo stato) non soltanto deve confrontarsi con l’ovvia propensione al rialzo da parte dell’industria, ma è anche soggetto alle pressioni del fruitore (il paziente o più spesso le associazioni dei pazienti), con conseguente riduzione dei margini di contrattazione.

Le società scientifiche infine svolgono un’attività complementare alle agenzie regolatorie valutando l’appropriatezza dell’introduzione dei farmaci nelle linee guida cliniche.

La definizione di linea guida clinica è molto ampia e si avvale di vari documenti intesi a supportare raccomandazioni di buona pratica clinica basate sulle evidenze scientifiche disponibili. Oltre che dalle società scientifiche, le linee guida possono essere sviluppate da diverse organizzazioni: associazioni professionali, istituzioni sanitarie o governi. E possono coprire una vasta gamma di aspetti sanitari, dalla diagnosi alla gestione terapeutica ed alla prevenzione delle malattie. È ovvio che il carattere di indipendenza delle linee guida cliniche dovrebbe essere un requisito irrinunciabile. Le linee guida dovrebbero essere ispirate da un’assoluta imparzialità, dovrebbero essere condizionate esclusivamente dall’obiettivo del raggiungimento del benessere del paziente e dovrebbero essere allineate alla sostenibilità del sistema. Ingerenze economiche o asservimento a strategie politiche le renderebbero inutili, poco credibili o perfino nocive per il paziente e dannose per la tenuta del tessuto sociale.

La realizzazione di linee guida completamente esenti da influenze esterne continua a rappresentare una sfida. L’imparzialità delle linee guida si fonda sul coinvolgimento incondizionato di professionisti che attraverso l’analisi della letteratura scientifica formulino raccomandazioni basate sulle evidenze disponibili con un percorso di trasparenza e di verificabilità dell’intero processo di elaborazione. Le possibili interferenze dell’industria (attraverso l’enfatizzazione degli effetti positivi del farmaco, l’oscuramento o la minimizzazione degli effetti avversi e il deprezzamento delle alternative terapeutiche) si basano sulla sponsorizzazione delle sperimentazioni cliniche (i cui risultati, di proprietà dell’ente promotore, sono diffusi a propria discrezione) e sul coinvolgimento nella stesura delle linee guida di professionisti in conflitto di interesse diretto o indiretto (1). Non infrequentemente nella stesura delle linee guida e dei percorsi diagnostico-terapeutici sono coinvolti opinion leader con conflitti di interesse talora eclatanti e spesso non dichiarati (2). Più spesso le linee guida vengono prodotte direttamente con il supporto dell’industria ancorché dichiarato come non condizionante. Alcune recenti proposte, come quella dell’Evidence Based Manifesto for Better Healthcare suggeriscono un più serrato controllo dei conflitti di interessi (3), ma sono spesso disattese. Queste indicazioni si scontrano infatti con la difficoltà di rendere completamente trasparenti i rapporti fra industria e opinion leader coinvolti nella realizzazione delle linee guida. I contratti tra industria e ricercatore contengono spesso clausole intese ad impedire la diffusione di informazioni relative allo sviluppo dei prodotti della ricerca ed il ricercatore non ha accesso ai processi di verifica della veridicità dei dati e dell’attendibilità delle analisi statistiche.

Le strategie utilizzate per ritardare o scoraggiare la pubblicazione dei risultati di trial clinici negativi o sfavorevoli sono molteplici. Impongono l’approvazione da parte dell’industria della sottomissione del manoscritto per la pubblicazione, la richiesta di una preventiva revisione (su base contrattuale) del manoscritto, l’imposizione di modificazioni anche sostanziali pena l’assegnazione della stesura definitiva ad altri ricercatori coinvolti nel trial clinico. Ovviamente al ricercatore è richiesta un’attenta lettura dei termini del contratto. Ma nella maggior parte dei casi ciò non avviene. Talora il ricercatore reputa time-consuming la disamina dei termini contrattuali che vengono acquisiti come formulazioni standard non suscettibili di cambiamenti. In altri casi il ricercatore ha sviluppato un rapporto fiduciario con l’industria e assume come scontata la buona fede dell’interlocutore. Spesso non comprende appieno i termini del contratto, non intuisce le possibili conseguenze etiche e legali e non ritiene di avvalersi di un supporto legale o non ha le risorse per poterlo fare. Non infrequentemente l’opportunità di accedere a sperimentazioni innovative potenzialmente vantaggiose, sia sotto il profilo economico che di progressione di carriera, soverchia l’aspirazione alla difesa dell’indipendenza accademica. Il ricercatore dovrebbe invece poter esaminare per primo gli esiti dello studio. E dovrebbe poterlo fare in maniera incondizionata. Dovrebbe poter rivendicare il diritto di pubblicare i dati tempestivamente soprattutto se gli outcome risultassero negativi. Dovrebbe poter pubblicare indipendentemente i dati monocentrici, altrimenti oscurati, negli studi policentrici, da risultati cumulativi ottenuti anche da centri di affidabilità questionabile. Dovrebbe in sintesi poter presentare o pubblicare gli outcome dello studio in cui è stato coinvolto senza interferenze dello sponsor.

Gli enti regolatori, EMA in Europa e AIFA in Italia, svolgono un effettivo ruolo di calmieramento di queste derive. Ma al fine di garantire la sostenibilità dei sistemi sanitari fornendo le migliori cure possibili e ricucendo la fiducia dell’opinione pubblica nei confronti della medicina, occorre introdurre ulteriori cambiamenti che assicurino una maggior trasparenza nei rapporti fra industrie, opinion leader, medici ed altri operatori sanitari, associazioni di pazienti, decisori politici ed agenzie regolatorie. Ed è necessaria una disamina disincantata dello scenario nel quale interagiscono i tre principali attori coinvolti: l’industria, il mondo accademico e le associazioni dei pazienti. L’industria non va demonizzata. Supporta i due terzi della ricerca farmacologica nel mondo. Ma non è un ente di beneficienza ed esiste in quanto produce utili per i propri azionisti. I professionisti della ricerca sono oggettivamente corruttibili, non necessariamente in maniera plateale, ma attraverso contratti di convenienza di per sé non condannabili, ma chiaramente condizionanti. Le associazioni dei pazienti sono intrinsecamente inclini alla fruizione dei presidi innovativi, non importa a quale prezzo e a quale ricaduta sulla tenuta dei sistemi sanitari regionali e nazionali (4). Assunta la naturale propensione al vantaggio individuale dei tre principali attori dello scenario di sviluppo di nuovi presidi che arricchiscono l’armamentario terapeutico, appare critica l’imposizione di regolamentazioni rigide intese a calmierare il costo dei farmaci, blindare i conflitti di interesse dei ricercatori e dei clinici coinvolti, stabilire dei limiti di costo-efficacia dei nuovi farmaci che tengano conto del loro impatto sulla spesa sanitaria globale, fissando parimenti limiti invalicabili alla pressione delle associazioni dei pazienti sugli enti regolatori e sui governi. Se a ciò non si provvede, il rischio è che salti il banco della sostenibilità. A quel punto, nessuna assicurazione sarebbe disposta a sostenere il costo di alcune delle terapie attualmente impiegate. E nessuna Company sarebbe incline a sviluppare farmaci innovativi per sistemi sanitari incapaci di reggere l’onere della spesa. Sull’altro fronte, tenuto conto dell’impatto dell’industria nella ricerca biomedica, ricercatori e clinici non soltanto si troverebbero nell’impossibilità di condurre sperimentazioni su nuovi agenti farmacologici sponsorizzati, ma difficilmente potrebbero sostenere l’impegno, anche organizzativo, di studi no-profit. E le associazioni dei pazienti perderebbero la speranza di veder sviluppare robuste proposte terapeutiche innovative.

 

  1. Vassar M, Bibens M, Wayant C. Transparency of industry payments needed in clinical practice guidelines. BMJ Evid Based Med. 2019;24:8-9.
  2. Clinckemaillie M, Scanff A, Naudet F, Barbaroux A. Sunshine on KOLs: assessment of the nature, extent and evolution of financial ties between the leaders of professional medical associations and the pharmaceutical industry in France from 2014 to 2019: a retrospective study. BMJ Open. 2022;12:e051042.
  3. Heneghan C, Mahtani KR, Goldacre B, et al. Evidence based medicine manifesto for better healthcare. BMJ. 2017;357:j 2973.
  4. Luzzatto L, Hyry HI, Schieppati A, et al. Outrageous prices of orphan drugs: a call for collaboration. Lancet. 2018;392(10149):791-794.

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