Pubblicate le prime Linee Guida Italiane per la gestione del rischio cardiovascolare
nei pazienti HIV+ trattati con HAART
 
  Grazie alla HAART in questi anni è stato possibile ottenere il controllo dell’infezione da HIV, riducendo il peso delle infezioni opportunistiche e aumentando l’aspettativa di vita dei pazienti.Tuttavia, i benefici terapeutici sono stati spesso ottenuti a scapito del profilo di tollerabilità: i farmaci ARV, infatti, portano con sé una serie di complicanze legate al loro meccanismo d’azione, che nel corso degli anni hanno assunto un aspetto sempre più definito, fino a configurarsi in vere e proprie sindromi a carico di diversi distretti corporei.
Tra gli effetti a lungo termine che destano le maggiori preoccupazioni sono da ricordarsi quelli a carico del metabolismo e dell’apparato cardiovascolare: lo sviluppo di insulino-resistenza, dislipidemia ed ipertensione, legati, anche se in maniera diversa, a tutti i farmaci antiretrovirali impiegati. Questi quadri, nel lungo termine, destano molta preoccupazione in quanto potrebbero correlarsi ad un aumentato rischio cardiovascolare (infarto del miocardio, ictus) o comparsa di diabete.
Va precisato che l’incidenza degli episodi di IMA nei pazienti sieropositivi per HIV in trattamento antiretrovirale è globalmente bassa e sicuramente i benefici in termini di sopravvivenza e di riduzione delle infezioni opportunistiche, che derivano dall’impiego della HAART, bilanciano decisamente tali rischi.
In questo campo, di vive discussioni scientifiche, sono state recentemente pubblicate le prime Linee Guida Italiane per la gestione del rischio cardiovascolare nel paziente HIV (Carosi G et al, Infection 35 2007-N3), realizzate grazie al confronto di un panel multidisciplinare composto da esperti cardiologi, endocrinologi, infettivologi e rappresentanti delle associazioni di pazienti nel corso di una recente Consensus Conference, svoltasi sotto gli auspici della SIMIT e secondo i requisiti essenziali richiesti dall’Infectious Diseases Society of America.
 
  Obiettivi della Consensus:  
 
rivedere i dati disponibili sul rischio cardiovascolare, la sua prevenzione e gestione nel paziente HIV+
individuare raccomandazioni utili ai clinici
facilitare la collaborazione tra specialisti delle malattie metaboliche e cardiovascolari e infettivologi che hanno in cura pazienti HIV+.
 
  Quattro i principali topics affrontati:  
 
Fattori di rischio cardiovascolare nell'infezione da HIV. Criteri di classificazione e prevenzione
HIV e fattori di rischio cardiovascolare. Monitoraggio clinico e di laboratorio
Impatto della terapia ARV sul rischio cardiovascolare. Strategia di switch ed interruzione per tossicità
Trattamento del rischio cardiovascolare nel paziente HIV+
 
  Riconoscere i fattori di rischio cardiovascolare nell’infezione da HIV
  Il primo passo è identificare il rischio cardiovascolare. Anche per il soggetto con infezione da HIV sono di primaria importanza i fattori di rischio cosiddetti “classici” che valgono cioè per la popolazione generale, alcuni di questi modificabili (abuso di alcol e di sostanze psicotrope, fumo, dieta sregolata, sedentarietà), altri non modificabili (età, sesso, familiarità). Va precisato, inoltre, che l’infezione da HIV rappresenta di per sè un elemento che pesa significativamente tra i fattori di rischio cardiovascolari, dal momento che determina un aumento del livello dei trigliceridi e un decremento dell’HDL.
Per la valutazione del rischio cardiovascolare i riferimenti sono gli algoritmi di Framingham e di Procam, eventualmente confrontati con l’algoritmo CUORE.
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  HAART e rischio cardiovascolare
 

L’introduzione della HAART per il trattamento dell’infezione da HIV ha apportato benefici clinici, sia in termini di riduzione della morbidità sia in termini di riduzione della mortalità, stupefacenti. Tuttavia, nell’ottica di una terapia che diventa cronica e che porta ad una maggiore sopravvivenza della persone con infezione da HIV, nel caso di una compresenza di fattori di rischio per malattie cardiovascolari, la scelta dei farmaci va fatta in modo razionale, così da ridurre le complicanze metaboliche e il rischio cardiovascolare.
Sia nella pratica clinica sia nei diversi studi, è emerso che tutti i farmaci antiretrovirali sono implicati, anche se con profili potenzialmente diversi, nella comparsa di dislipidemia. Tutti gli inibitori della proteasi (PI), anche associati a booster di ritonavir, possono determinare un incremento di trigliceridi, colesterolo totale e LDL; tuttavia, è importante sottolineare come, solo con alcuni di essi (per es. lopinavir/r), si osservi anche un incremento del colesterolo “protettivo”, HDL. Tra gli NNRTI, è emerso che efavirenz ha un effetto sui trigliceridi e sul colesterolo simile a quello dei PI. I farmaci appartenenti alla classe degli NRTI sono stati collegati in maniera netta (e tra questi soprattutto la stavudina, mentre il tenofovir è il farmaco con il profilo di maggiore tollerabilità) alla comparsa di alterazioni metaboliche.

  Le strategie di switch
  Gli schemi terapeutici dovrebbero essere individualizzati in base alle esigenze di ciascun paziente, dando priorità alla soppressione duratura della carica virale, al recupero immunologico e limitando lo sviluppo di resistenze.
Soltanto in soggetti che hanno avuto eventi cardiovascolari o con rischio equivalente di malattia cardio-cerebro vascolare, laddove l’applicazione delle linee guida utilizzate nella popolazione generale non abbia portato alcun miglioramento, è preferibile un primo regime terapeutico senza inibitori della proteasi e senza analoghi timidinici.
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La gestione farmacologica del rischio cardiovascolare
 
 
 

Il trattamento dell’insulino resistenza, del diabete, dell’ipercolesterolemia, dell’ipertrigliceridemia e dell’ipertensione arteriosa deve seguire, in primis, le stesse linee guida che valgono per il paziente HIV negativo, le quali propongono in prima battuta la correzione dello stile di vita e, solo a seguire, il ricorso ad una terapia farmacologica.
I farmaci per il controllo delle alterazioni metaboliche, quali gli ipoglicemizzanti, ipolipemizzanti (fibrati e statine) e antipertensivi rappresentano la soluzione farmacologica nella gestione del rischio cardiovascolare anche se, il loro impiego in corso di terapia antiretrovirale, richiede un’attenta gestione in termini di counselling e di interazioni farmacologiche che possono instaurarsi tra tali molecole ed i farmaci antiretrovirali.
Pertanto, il corretto inquadramento farmacologico dei pazienti sieropositivi per HIV ed in terapia ARV presuppone dal un lato un’approfondita conoscenza delle interazioni farmacologiche in maniera da fare la scelta più sicura per il paziente, dall’altro il supporto mirato di uno specialista.
Rimane opinione consolidata comunque che, data la bassa incidenza di eventi cardiovascolari nei pazienti HIV+, l’efficacia dello schema ARV rappresenta il parametro di scelta primario della terapia e che l’ottimale gestione di questo aspetto del paziente con infezione da HIV deve essere affidata ad un team multidisciplinare di specialisti: all’infettivologo si devono affiancare via via l’endocrinologo, il cardiologo e il dietista.