2. Come iniziare?
 
Per quanto riguarda la scelta del backbone nucleos(t)idico, le ultime linee guida DHHS (novembre 2008) suggeriscono tenofovir/emtricitabina come opzione da preferire, essenzialmente sulla base di una minore efficacia di abacavir/lamivudina (il competitor principale) alle elevate viremie e sulla base di dimostrazioni di rischio cardiovascolare associato a quest'ultimo in un ampio studio di coorte prospettico (D:A:D). McComsey et al. hanno presentato i risultati dello studio HEAT (abstract #732). Lo studio ha dimostrato come l'inizio della terapia antiretrovirale in pazienti precedentemente naive sia in grado di ridurre i marker infiammatori associati al rischio cardiovascolare. Il rischio cardiovascolare associato all'infezione da HIV può, quindi, venire ridotto grazie al controllo della replicazione virale. Poiché i pazienti sono stati randomizzati a abacavir/lamivudina o a tenofovir/emtricitabina in associazione a lopinavir/ritonavir in entrambi i bracci, questo studio ha offerto la possibilità di confrontare tali backbone tra loro. Il confronto è ovviamente interessante per quanto detto sopra, poiché abacavir è stato associato ad un aumentato rischio di infarto miocardico rispetto a tenofovir. Tuttavia, in questo studio, la riduzione dei marker infiammatori associati al rischio cardiovascolare è risultata comparabile nei due bracci, in apparente contraddizione con l'ipotesi iniziale, secondo cui abacavir potesse aumentare o ridurre in minore misura tali parametri. Peraltro, è importante sottolineare come, nell'opinione di chi scrive, tali dati non abbiano una “potenza” sufficiente a fare cadere le riserve sollevate dalle linee guida DHHS sull'impiego di abacavir/lamivudina in prima linea rispetto all'impiego di tenofovir/emtricitabina: i marcatori analizzati, pur caratterizzati da plausibilità biologica e possibilità di predire il rischio cardiovascolare in pazienti HIV-negativi, restano pur sempre marcatori surrogati (non hard end-point) di non dimostrato valore specifico per il rischio indotto da abacavir, i cui meccanismi non sono ancora noti. Inoltre, è verosimile come la riduzione di viremia indotta dalla terapia antiretrovirale potrebbe di per sé stessa avere indotto una riduzione dei marcatori analizzati, in tale modo pregiudicando la possibilità degli sperimentatori di evidenziarne un possibile aumento indotto da abacavir. Occorrerà quindi valutare i risultati in un più lungo follow-up, cioè quando, in condizioni di prolungato controllo viremico, potrà essere più facilmente evidenziabile l'impatto di abacavir “per sé”.
 
Per quanto concerne la scelta dell'inibitore della proteasi, Nelson et al. hanno presentato i risultati dell'analisi dei fattori associati alla risposta virologica a 96 settimane nello studio ARTEMIS (abstract #575). In tale studio, pazienti naive alla terapia antiretrovirale sono stati randomizzati a ricevere darunavir/ritonavir (once-daily) o lopinavir/ritonavir in associazione a tenofovir/emtricitabina. A 96 settimane di follow-up, il braccio darunavir/ritonavir si è dimostrato superiore al braccio lopinavir/ritonavir (differenza stimata all'analisi intent-to-treat = 8,3%; 95%CI: 1,8-14,7, P<0,012). Darunavir/ritonavir si è dimostrato particolarmente vantaggioso in pazienti con aderenza subottimale alla terapia antiretrovirale (aderenza media dalla 4° settimana a termine del follow-up </= 95%). Infatti, la percentuale di pazienti con viremia <50 copie HIV-RNA/ml a 96 settimane è stata del 76% nei pazienti con aderenza subottimale in terapia con darunavir/ritonavir (non significativamente differente da un tasso di risposta dell'82% nei pazienti aderenti randomizzati al medesimo braccio di trattamento, p=0.3), mentre la percentuale di pazienti con risposta virologica e aderenza subottimale nel braccio lopinavir/ritonavir è stata del 53% (rispetto al 78% nei pazienti con aderenza ottimale nello stesso braccio di trattamento, p<0,0001). Darunavir/ritonavir è stato recentemente approvato da EMEA per l'impiego in pazienti naive: è stato scoperto il “sacro graal”, cioè l'inibitore della proteasi ottimale con cui iniziare?
 
L'utilizzo di farmaci di classi nuove in prima linea potrebbe configurarsi come opzione valida nel prossimo futuro. Lennox et al. hanno presentato un’analisi post-hoc dello studio STARTMRK (abstract #573). In tale studio, pazienti naive alla terapia antiretrovirale sono stati randomizzati a ricevere raltegravir o efavirenz in associazione a tenofovir/emtricitabina. A 48 settimane, raltegravir si è dimostrato “non inferiore a efavirenz” per quanto attiene all'end-point virologico (HIV-RNA <50 copie/ml). Tuttavia, l'aumento medio di CD4 rispetto al baseline è stato superiore nel braccio raltegravir rispetto al braccio efavirenz (differenza media stimata a 48 settimane rispetto al baseline=26 CD4/mmc; 95%CI: 4-47). L'analisi presentata suggerisce come i pazienti assegnati a raltegravir abbiano ottenuto un maggiore incremento di CD4+ rispetto a quelli assegnati a lopinavir/ritonavir, specialmente in caso di viremia basale </=100.000 copie HIV/RNA/ml, conta CD4+ basale >200/mmc, assenza di co-infezione con HCV/HBV, sesso maschile e razza/etnia ispanica. Pur valutando con interesse questi risultati, essi vanno considerati con cautela, come ogni analisi per sottogruppi “post-hoc”.