3. Come cambiare nella semplificazione?
 
Poiché oltre l'80% dei pazienti HIV-positivi presenta una viremia HIV controllata dalla terapia antiretrovirale, risolto il problema della “potenza”, il prossimo traguardo consiste nell'attuare un update della terapia antiretrovirale, in modo da renderla più “friendly”, risolvendo o prevenendo tossicità o problemi di tollerabilità e, quindi, migliorando la qualità di vita dei nostri pazienti (“semplificazione” terapeutica).
 
Per quanto riguarda la classe degli analoghi nucleos(t)idici, Cooper et al. hanno presentato i risultati dello studio STEAL (abstract #576). Pazienti in trattamento antiretrovirale efficace sono stati randomizzati ad abacavir/lamivudina o a tenofovir/emtricitabina in associazione ad un terzo farmaco per semplificazione terapeutica. Non si è riscontrata alcuna significativa differenza nel rischio di fallimento virologico tra i due bracci. Tuttavia, il rischio di eventi avversi gravi non AIDS-correlati è risultato inferiore nel braccio tenofovir/emtricitabina rispetto ad abacavir/lamivudina (HR: 0,26; 95%CI: 0,08-0,79, p: 0.018), incluso, in particolare, il rischio di eventi cardiovascolari (HR: 0,13; 95%CI: 0,02-0,98, p: 0.046). L'associazione tra rischio di eventi avversi non AIDS-correlati e braccio di trattamento (abacavir/lamivudina) è risultata statisticamente indipendente dall'abitudine al fumo di sigaretta e dal tempo in terapia. Peraltro, la differente distribuzione di fumatori tra i bracci (40% nel braccio abacavir/lamivudina -vs- 29% nel braccio tenofovir/emtricitabina) può avere rappresentato un confondente nell'associazione tra braccio di trattamento (abacavir/lamivudina) e rischio di eventi cardiovascolari. Infine, ma non da ultimo, questo studio ha dimostrato un profilo lipidico più favorevole associato all'uso di tenofovir/emtricitabina (figura 1), ma un incremento della densità minerale ossea (t score misurato con DEXA) associato all'uso di abacavir/lamivudina rispetto a un suo decremento nei pazienti randomizzati a tenofovir/emtricitabina.
 
figura 1
 
Inoltre, si è registrata una riduzione di clearance della creatinina nel braccio tenofovir/emtricitabina ai limiti della significatività statistica in confronto con il braccio abacavir/lamivudina, ma il significato clinico di tale differenza appare discutibile. Pur trattandosi di uno studio importante, numerose limitazioni gravano sull'interpretazione e trasferibilità dei risultati: (i) lo squilibrio tra i bracci in termini di percentuale di pazienti fumatori non è stato completamente risolto dall'analisi statistica, specialmente considerando il rischio di eventi cardiovascolari; (ii) i criteri diagnostici degli eventi cardiovascolari non sono stati precisamente standardizzati; (iii) solo il 50% dei pazienti era naive per abacavir e tenofovir, quindi la precedente esposizione a tali farmaci può avere variamente influenzato i risultati; (iv) la maggior parte dei pazienti erano maschi di razza bianca e ciò limita la trasferibilità dei risultati ad altre categorie di pazienti (ad esempio donne in post-menopausa a maggior rischio di riduzione della densità ossea/osteoporosi); (v) lo studio non è stato formalmente “tarato” per evidenziare differenze nel rischio di eventi avversi gravi non AIDS-correlati.
 
Eron et al. hanno presentato i risultati dello studio SWITCHMRK 1&2 (abstract #70aLB). Si tratta di studi “gemelli” (identico disegno), prospettici, randomizzati, controllati in doppio cieco, per valutare gli effetti viro-immunologici e il profilo di tollerabilità conseguenti allo switch da lopinavir/ritonavir a raltegravir in pazienti con viremia non misurabile al basale. In SWITCHMRK 1 sono stati arruolati 174 pazienti che hanno cambiato lopinavir/ritonavir con raltegravir e 174 che hanno continuato lopinavir/ritonavir. In SWITCHMRK 2, 176 pazienti sono stati randomizzati al braccio raltegravir e 178 al braccio lopinavir/ritonavir. Il cambiamento medio percentuale nei lipidi plasmatici dopo 12 settimane è apparso favorevole nei pazienti che hanno cambiato lopinavir/ritonavir con raltegravir: ad esempio, in SWITCHMRK 1, si è ottenuta una riduzione del 41% nella trigliceridemia con raltegravir (-vs- incremento del 4% con lopinavir/ritonavir; p<0.001). Sebbene la colesterolemia totale sia diminuita con raltegravir (-13% -vs- +1%; p<0.001), così come la colesterolemia non HDL (-15% -vs- +2%; p<0.001), non si sono osservate differenze significative nella colesterolemia LDL (-2% -vs- +2%) e HDL (-1% -vs- +1%). Per quanto riguarda l'outcome virologico, all'analisi intent-to-treat non completer = failure, dopo 24 settimane, la percentuale di pazienti con HIV-RNA<50 copie/ml nel braccio lopinavir è apparsa dell'87% nello studio SWITCHMRK 1 e 94% nello studio SWITCHMRK 2, rispetto all'81% nello studio SWITCHMRK 1 e 88% nello studio SWITCHMRK 2 nel braccio raltegravir. In totale, si sono registrati 32 fallimenti virologici confermati (HIV-RNA >50 copie/ml) nei bracci raltegravir e 17 nei bracci lopinavir/ritonavir. L'84% (27/32) dei pazienti con fallimenti virologici nei bracci raltegravir avevano ricevuto altri regimi di terapia prima della randomizzazione (experienced) e il 66% di questi (18/27) avevano avuto precedenti fallimenti virologici. L'andamento della conta CD4+ non ha mostrato differenze statisticamente significative tra i bracci. Dal complesso dei risultati non si ritiene di contro-indicare la semplificazione con raltegravir, specialmente laddove tale strategia venga individualizzata in base all'esame della pregressa esperienza farmacologica e di precedenti fallimenti. Inoltre, sarebbe importante disporre dei risultati di una più accurata valutazione dell'aderenza e della qualità di vita in questo studio. Infatti, ci si chiede se il disegno randomizzato, in doppio cieco, con placebo, per quanto formalmente più che corretto, possa avere influenzato i risultati, rendendoli in qualche modo non immediatamente trasferibili alla pratica clinica in cui la strategia di semplificazione viene, ovviamente, applicata in aperto e senza l'aggravio di numero di compresse a causa dell'assunzione del placebo. In pratica, ci si chiede se l'aumento di numero di compresse (data la somministrazione di placebo) o l'evenienza di effetti avversi in corso di studio possa avere ridotto l'aderenza e quindi “svantaggiato” il farmaco a più bassa barriera genetica (raltegravir). Per contro, la prescrizione del farmaco ai pazienti più aderenti nella pratica clinica, ove il numero di compresse di raltegravir è inferiore a quello di lopinavir/ritonavir, potrebbe conferire un vantaggio a raltegravir rispetto a continuare lopinavir/ritonavir.
 
De Castro et al. hanno presentato i risultati dello studio ANRS 138-EASIER (abstract #572) inteso a valutare i risultati viro-immunologici e la tollerabilità conseguenti allo switch da enfuvirtide a raltegravir in pazienti con ridotte opzioni farmacologiche, in terapia stabile ed efficace (HIV-RNA <400 copie/ml da almeno 3 mesi). Sono stati arruolati nello studio 170 pazienti. All'analisi intent-to-treat a 24 settimane, la percentuale di pazienti con fallimento virologico è stata dell'1,2% in entrambi i bracci (switch a raltegravir -vs- continuare enfuvirtide). In entrambi i bracci, il profilo di tollerabilità è stato buono come dimostrato da un bassa percentuale di eventi clinici e di laboratorio di grado 3 o 4. In pazienti che soffrono il disagio associato alla somministrazione sottocutanea di enfuvirtide, raltegravir può, quindi, apparire una opzione interessante. Tuttavia, tale strategia dovrebbe essere applicata in condizioni “controllate” (anche per quanto riguarda l'aderenza), ove si considerino appropriatamente i risultati degli studi SWITCHMRK appena presentati.
 
Gutmann et al. hanno presentato i risultati del MOST (abstract #578, figura 2), uno studio small-intensive, inteso a valutare l'efficacia di lopinavir/ritonavir nel controllo della replicazione virale a livello dei “santuari” (sistema nervoso centrale e apparato genitale) quando impiegato come farmaco “unico” in semplificazione terapeutica. I risultati della quantificazione viremica nel liquido seminale non sono stati presentati perchè l'analisi è ancora in corso di esecuzione. Ad eccezione di un paziente randomizzato al braccio di terapia che prevedeva la continuazione della HAART, tutti i pazienti hanno presentato carica virale non misurabile nel liquido cefalo-rachidiano al basale (<82 copie HIV-RNA/ml). In 8/29 pazienti si è registrato un incremento della carica virale di HIV nel liquido cefalo-rachidiano da 6 a 60 settimane dopo il passaggio a monoterapia con lopinavir/ritonavir. Contemporaneamente, in 6 pazienti (uno dei quali ha rifiutato la rachicentesi per cui la carica virale nel liquido cefalo rachidiano non è stata misurabile) si è registrato fallimento virologico (HIV- RNA nel sangue periferico >400 copie/ml). Tutti i 6 pazienti con fallimento virologico avevano un nadir di CD4+<200/mmc. Per contro, nessuno dei pazienti con nadir CD4+ >200/mmc ha presentato fallimento virologico nel corso dell'osservazione (p<0,01 all'analisi di sopravvivenza secondo Kaplan-Meier). Altri 3 pazienti hanno presentato fallimento virologico nel liquido cefalo rachidiano dopo il passaggio a monoterapia con lopinavir/ritonavir, pur presentando viremia HIV compresa tra 50 e 400 copie di HIV RNA/ml. I risultati di questo studio impongono una serie di domande: (i) quale futuro per la “monoterapia” con inibitori della proteasi “boosterati”? (ii) Il risultato potrebbe essere differente ove si impieghino inibitori della proteasi differenti da lopinavir/ritonavir (ad esempio darunavir/ritonavir che potrebbe essere dotato di maggiore potenza)?
 
figura 2