5. Quale il ruolo dell’intensificazione?
 
Buzon et al. (abstract #423a) hanno presentato i risultati virologici di uno studio randomizzato e controllato di intensificazione con raltegravir. Ventuno pazienti con viremia HIV-RNA <50 copie per almeno 1 anno sono stati randomizzati a continuare la terapia in corso, mentre 44 pazienti sono stati randomizzati ad aggiungere raltegravir. I livelli di HIV-DNA pro-virale sono rimasti sostanzialmente stabili, mentre si è riscontrato un transitorio aumento dell'HIV-DNA episomiale. Nel complesso, i risultati suggeriscono come una replicazione virale residua persista, pure se in corso di soppressione virale misurata con HIV-RNA <50 copie/ml. Il transitorio incremento dell'HIV-DNA episomiale potrebbe essere dovuto ad un accumulo a monte del sito d'azione di raltegravir (integrazione del genoma virale retro-trascritto all'interno del genoma cellulare).
 
Massanella Luna et al. (abstract #574) hanno analizzato marcatori immunologici di attivazione (CD38, HLA-DR) nel medesimo studio di intensificazione con raltegravir. Questi marcatori sono rimasti stabilmente espressi a livello dei linfociti T CD4+. E' tuttavia interessante notare come si sia registrata una riduzione delle cellule memoria attivate (CD8+CD45RO+CD38+) e dei CD8+HLA-DR+CD38+ nei pazienti che hanno ricevuto raltegravir e che mostravano HIV-DNA episomiale misurabile al basale (interpretabile come riflesso di attività replicativa virale residua nonostante HIV-RNA <50 copie/ml).
 
Gandhi et al. (abstract #424) hanno presentato i risultati di un piccolo studio non controllato di intensificazione con enfuvirtide. Sono stati studiati 19 pazienti in terapia con tenofovir/emtricitabina + saquinavir + ritonavir + enfuvirtide. Di questi, 7 pazienti hanno interrotto il follow-up prima della settimana 48. Nel corso di follow up massimo di 2 anni, in 4 pazienti si è osservato un piccolo decremento delle cellule memoria CD4+ latentemente infette (misurate come unità infettive di virus per milione di cellule) mentre in 5 pazienti se ne è osservato un incremento. Complessivamente, nella popolazione in studio non si è osservata alcuna variazione significativa nelle cellule latentemente infette (95% CI dell'emivita = 11 mesi a infinito).
 
L'esame del disegno e dei risultati ottenuti porta a concludere come sia impossibile derivare indicazioni cliniche da questi studi che sono sicuramente di chiaro interesse patogenetico (virologico o immunologico). Ci si chiede inoltre se i risultati per lo più negativi a carico della strategia di intensificazione siano genericamente interpretabili come una “cattiva notizia” o, piuttosto, come una “buona notizia” per i nostri pazienti; in effetti, la strategia di intensificazione potrebbe non essere affatto necessaria poiché la soppressione esercitata dalla terapia standard è già “massimale” (e questo rappresenta una “buona notizia”). Sarà importante valutare se una strategia di intensificazione con farmaci antiretrovirali che agiscono su bersagli “cellulari” e, quindi, con possibile effetto aggiuntivo immuno-modulante (i.e., inibitore del CCR5) potranno dischiudere nuove prospettive di “intensificazione” specialmente in pazienti con risposta viro-immunologica discordante (risposta virologica completa e risposta immunologica subottimale).