Le più frequenti patologie non AIDS-associate rilevate erano i tumori (36.5%), e a seguire gli eventi cardiovascolari (29.9%), e l’insufficienza epatica (19.5%). Lo studio mostra un’incidenza maggiore di eventi non tipicamente associati all’AIDS nelle fasce di CD4 più elevate rispetto a quelle più basse e nell’epoca della terapia antiretrovirale rispetto al periodo precedente. Un’associazione significativa è stata riscontrata tra le co-infezioni con virus epatitici, il diabete, l’ipertensione arteriosa, il fumo di sigaretta e la diagnosi di eventi non-AIDS associati. Gli Autori concludono sottolineando l’importanza della rilevazione di queste patologie nell’ambito di studi di coorte e trial clinici specialmente in epoca recente e la natura spesso modificabile (immodeficit e stile di vita) dei fattori di rischio.
 
Un'altra analisi, sempre eseguita nell’intercoorte EuroSIDA (abstract #860a), ha valutato l’incidenza dei tumori non AIDS-associati negli anni 1994-2007 in relazione anche al livello di immunodepressione. Un totale di 317 tumori non-AIDS associati (58 anali, 24 polmonari, 60 ematologici, 48 LNH, 40 genitourinari, 55 digestivi, e 80 altri) e osservati in 12865 pazienti sono stati analizzati. Il tasso di incidenza per i tumori non-AIDS associati è risultato 4.2 per 1000 persone-anno di follow-up (IC95% 3.7-4.7). Analizzando l’incidenza in relazione al livello di immunodepressione si evince un rischio di sviluppare neoplasia non-AIDS relata maggiorato del 76% nei soggetti con <50 CD4/mmc (IRR 1.76; IC95% 1.02-3.02), del 82% in persone con valori compresi tra 51-200/mmc (IRR 1.82; IC95% 1.26-2.62) e del 43% in coloro che avevano valori tra 201-350 CD4/mmc (IRR 1.43; IC95% 1.03-1.97) rispetto ai pazienti con CD4 > 500/mmc.
 
La rilevanza in termini prognostici delle diagnosi non-AIDS correlate in particolare nei soggetti in terapia antiretrovirale emerge anche dal lavoro presentato dalla ART-CC (abstract #708). L’analisi, a cui hanno contribuito gli eventi per cui era stato possibile identificare la causa di morte (85% del totale) mostra che il 63% dei decessi occorsi durante il primo anno di terapia antiretrovirale era attribuibile a cause AIDS-correlate (46% infezioni, 30% neoplasie). In particolare i tumori (sia AIDS-correlati che non) erano associati ad una più marcata immunodepressione al basale e, unicamente per i tumori non HIV-relati, ad una maggiore età anagrafica.
 
L’impatto delle diagnosi AIDS-associate sull’utilizzo delle strutture sanitarie in termini di ospedalizzazione prima e dopo l’inizio della HAART è stato indagato nello studio di S. Berry et al. (abstract #711). Nell’analisi della coorte prospettica della Johns Hopkins University sono stati identificati 2031 soggetti che avevano iniziato la HAART tra il 1996 ed il 2005: il 38% delle persone avevano avuto almeno 1 ricovero nell’arco di tempo compreso tra i 180 giorni prima ed 365 giorni dopo. Confrontando i 180 giorni precedenti alla HAART con quelli successivi, si riscontra un decremento significativo nei ricoveri complessivi al 91° ed il 180° giorno dopo l’inizio della terapia antiretrovirale. In particolare nei soggetti con risposta virologica (decremento di >1 log di HIV-RNA entro 6 mesi), si osserva un calo significativo delle ospedalizzazioni riferibili a patologie AIDS-correlate e infezioni non tipicamente associate alla condizione di infezione da HIV.
 
Nell’ambito dei tumori non definenti AIDS, un’attenzione particolare è stata prestata allo studio del tumore invasivo anale e, in particolare della sua relazione con la neoplasia intraepiteliale anale ad alto grado (abstract #867). Un gruppo di ricercatori della University of California hanno studiato 1700 soggetti omosessuali sieropositivi, riscontrando un totale di 65 tumori anali. Rivalutando i 27 casi in cui era disponibile la documentazione clinica precedente, hanno rilevato come 21 pazienti avevano precedentemente mostrato una neoplasia intraepiteliale anale ad alto grado. In media il tempo di progressione a tumore era stato pari a 47 mesi (range 4-139) e oltre il 50% (15/27) dei pazienti era completamente asintomatico al momento della diagnosi di tumore anale. Tali dati evidenziano il ruolo della diagnosi precoce di una neoplasia intraepiteliale anale.
 
Patologia linfomatosa: fattori di rischio, prevalenza e prognosi
L’identificazione dei fattori di rischio per la diagnosi di linfoma non-Hodgkin (LNH) associato all’infezione da HIV è stata condotta in uno studio nordamericano proposto da un gruppo del NCI/NIH di Bethesda, US. Ognuno dei 66 casi di LNH inclusi nello studio è stato appaiato con rispettivamente da 1 a 4 controlli (n=225) sulla base delle seguenti caratteristiche: coorte di provenienza, sesso, razza, età e valore di CD4. In campioni sierici e plasmatici ottenuti da 0-2 e 2-5 anni precedentemente alla diagnosi di linfoma, sono state dosate le immunoglobuline IgG, IgM, IgA, le immoglobuline monoclonali e le catene leggere libere circolanti κ e λ. I risultati mostrano che, nella popolazione HIV-positiva, la una crescente concentrazione di catene leggere libere è associata in maniera proporzionale ad un aumentato rischio di sviluppo di LNH. Gli Autori sottolineano importanza di questi dati ai fini dello screening per l’identificazione di popolazioni a rischio di sviluppo di patologia linfomatosa.
 
L’analisi dei fattori di rischio per il linfoma di Hodgkin (LH) associato all’AIDS è stata l’obiettivo di un’analisi condotta su di una coorte tedesca (abstract #868), nei cui risultati gli Autori affermano che il LH condivide con il LNH diversi fattori di rischio quali il tempo e l’entità di esposizione alla carica virale. Si distingue però per la comparsa più tardiva dopo l’inizio della HAART e per il rischio massimo in presenza di un livello di immunosoppressione meno pronunciato (ultimo valore di CD4 compreso tra 0-100/mmc: HR 3.25; IC95% 1.37-7.67; p=0.007; valore compreso tra 101-200/mmc: HR 6.10; IC95% 2.72-13.69; p<0.001). Nessun effetto è stato identificato circa l’età, il sesso,il nadir dei CD4 o l’ultimo valore di carica virale.
 
L’incidenza e la prognosi dei LNH è stata indagata da parte del gruppo di studio europeo COHERE (abstract #872). A tal proposito sono stati valutati 54305 pazienti che iniziavano terapia antiretrovirale con almeno 3 farmaci successivamente al gennaio 1998 contribuendo ad un totale di 212.042 persone-anno a rischio. L’incidenza di LNH (sistemici e primitivi cerebrali) è risultata doppia nei soggetti senza terapia antiretrovirale (519 per 100000 persone-anno; IC95% 448-602) rispetto a quella registrata in coloro che assumevano farmaci antiretrovirali (229 per 100000 persone-anno; IC95% 208-252). L’analisi multivariata mostrava come fattori di rischio l’incremento dell’età ed il nadir dei CD4 nei soggetti naive alla ART. Anche nei soggetti trattati con HAART l’età più avanzata ed il nadir dei linfociti CD4 venivano confermati come fattori di rischio per lo sviluppo di LNH, ma emergevano come ulteriori fattori di rischio l’omosessualità maschile e la storia di sarcoma di Kaposi. L’impatto sulla mortalità di queste patologie è risultato drammatico con una probabilità di sopravvivenza ad un anno nei soggetti con diagnosi di LNH sistemico pari a 66% (IC95% 63-70%) e per quelli affetti da linfoma cerebrale primitivo del 54% (IC95% 43-63%).
 
La prognosi associata alla diagnosi di linfoma è stata indagata anche da C. Chao et al (abstract #871). In questo lavoro è stata effettuata un’analisi di confronto tra i 268 soggetti HIV-positivi e 8203 HIV-negativi tutti con diagnosi di linfoma. In entrambi i gruppi è stato riscontrato un quadro clinico compatibile con lo stadio III e IV in circa il 50% dei pazienti. A 2 anni di follow-up, il 59% dei soggetti HIV-positivi risultava deceduto, mentre solo il 29% dei soggetti senza infezione da HIV erano morti. Il rischio di morte è risultato pertanto molto più elevato nei soggetti che oltre al linfoma presentavano l’infezione da HIV (OR 5.93; IC95% 4.52-7.78).
 
Infezioni opportunistiche
Nell’ambito degli studi presentati in relazione alle infezioni opportunistiche, un contributo innovativo è stato portato dall’analisi dei dati dello studio SMART (abstract #733), dai quali è emerso come, pur aggiustando per i valori viro-immunologici, livelli elevati di marcatori dell’attivazione infiammatoria (quali hsCRP e IL-6) si associavano in maniera indipendente ad un incrementato rischio di sviluppo di infezioni opportunistiche.
 
Un ulteriore campo di interesse è stato rappresentato dallo studio della malattia tubercolare sia in termini di meccanismi immunologici e patogenetici (abstract #771, #772, #773, #774, #775), sia in termini di diagnosi e screening (abstract #776, #777, #778, #779, #780), che di terapia delle forme resistenti (abstract #781, #782, #783, #784). Un trial interessante è stato in tal senso effettuato in India (abstract #35) e prevedeva il confronto in un disegno di studio randomizzato tra EFV e NVP (entrambi in regimi QD comprendente ddI.+ 3TC) in pazienti trattati per TB. Nell’ambito dei 127 pazienti randomizzati, dopo 24 settimane di ART, 50/59 pazienti nel braccio con EFV e 38/57 pazienti nel braccio con NVP avevano una carica virale <400 cp/ml (p=0.038). Nei due bracci di studio si sono, inoltre, osservati 0 decessi e 5 fallimenti nel braccio con EFV rispetto a 5 decessi e 11 fallimenti virologici nel braccio con NVP. Tali dati hanno portato gli autori a ritenere che la terapia ddI. + 3TC + NVP non debba essere utilizzata in pazienti che iniziano la ART mentre assumono terapia antitubercolare.
 
Una particolare attenzione è stata infine posta alle patologie virali del sistema nervoso centrale. In particolare, nell’ambito della Swiss Cohort (abstract #794), è stata valutata l’incidenza periodale di PML tra il periodo 1988-1995 e quello 1996-1997. I dati hanno mostrato un decremento di oltre 4 volte del tasso di incidenza di PML dopo il 1996 (0.24 vs. 0.06), con una consensuale riduzione della mortalità a un anno dalla diagnosi (82.3% vs. 37.6%). In analisi multivariata, fattori associati ad un ridotto rischio di morte associato alla PML erano la cART e il livello di CD4. Inoltre la risposta T-cell specifica per JCV era minore nei decessi rispetto a coloro che sopravvivevano alla malattia.