La qualità della vita per il paziente sieropositivo
Il parere del dottor Andrea Antinori
 
Diversi studi hanno, infatti, dimostrato una mancata corrispondenza tra la frequenza e la gravità degli eventi avversi registrati dal medico con sistemi “classici” e la valutazione del paziente stesso. Da numerose esperienze il grado di concordanza appare molto basso: i pazienti risultano più sensibili a sintomi considerati “più negativi”, come ad esempio quelli a carico dell’apparato metabolico. Tra questi, è evidente il ruolo della lipodistrofia, in grado di modificare l’immagine corporea di sé, determinando un importante problema di identità e interferendo non solo con la salute fisica ma anche con quella mentale.
 
Studi degli anni scorsi sui “trade off”, basati sulla valutazione dell’impatto dei disturbi da parte del paziente, a cui viene chiesto a quanti anni di vita è disposto a rinunciare pur di non accusare questi disturbi, dimostrano che, pur di evitare lo sviluppo di lipodistrofia, i pazienti sono disposti a considerare una riduzione dell’aspettativa di vita.
 
L’importanza della lipodistrofia emerge anche dalla correlazione tra riduzione della qualità della vita e diminuita aderenza alla terapia antiretrovirale: lo sviluppo di lipoatrofia comporta un peggioramento del quadro emotivo, con lo sviluppo di depressione e, quindi, con un risvolto importante sull’aderenza alla terapia. È stato, infatti, dimostrato da diversi autori che alla ridotta qualità della vita si associa una diminuzione del tono dell’umore e una ridotta compliance alla terapia.
 
Inoltre, la lipodistrofia porta con sé inevitabilmente lo stigma dell’AIDS: la lipoatrofia del volto, più che non il lipoaccumulo a livello addominale, identifica il paziente sieropositivo e la malattia”.