n.9 - Giugno 2010
 
Peg-IFN alfa2a nel ritrattamento
dei pazienti con epatite cronica C
Giampiero Carosi
Istituto di Malattie Infettive e Tropicali,
Università degli Studi di Brescia
  Mario Rizzetto
Divisione di Gastroenterologia, Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista, Università di Torino
Gli importanti progressi raggiunti nel trattamento dell’epatite cronica C hanno permesso di eradicare il virus nella maggior parte dei pazienti trattati: circa il 50% dei pazienti con genotipo 1 e l’80% dei pazienti con genotipo 2 e 3 raggiungono, infatti, la risposta virologica sostenuta (SVR). Tuttavia, la proporzione di pazienti che non ottiene tale beneficio dal trattamento antivirale resta in una condizione di stringente bisogno di un ritrattamento efficace per azzerare o almeno ridurre il rischio di cirrosi, scompenso epatico ed epatocarcinoma. Relapser e non responder costituiscono una popolazione complessa ed eterogenea, destinata a crescere. Ai relapser e non responder “storici”, precedentemente trattati con interferone ricombinante, associato o meno a ribavirina, si aggiungono adesso i pazienti che hanno fallito lo standard of care di trattamento antivirale con peg-interferone e ribavirina. Gli studi clinici condotti in questi soggetti hanno dimostrato le potenzialità delle strategie di ritrattamento ma soprattutto hanno puntualizzato che per questi pazienti è necessario un approccio razionale che consideri tra le variabili predittive di risposta le caratteristiche del singolo paziente, del virus, del tipo di risposta e del trattamento effettuato precedentemente.
I pattern di risposta virologica
A parte i fattori pretrattamento, del tutto simili a quelli identificati per il paziente naive, occorre infatti considerare i pattern di risposta (figura 1) per differenziare i pazienti in base alla probabilità di raggiungere la SVR. > continua
I fattori associati al fallimento
Dosi di farmaco subottimali o riduzione dei dosaggi, cicli di terapia abbreviati e scarsa aderenza alla terapia rientrano fra le possibili cause di non risposta, al pari di altri fattori quali consumo alcolico, soprappeso, resistenza insulinica, problematiche psicologiche (figura 2). > continua
I risultati degli studi clinici
Gli studi hanno infatti dimostrato che è possibile garantire una buona probabilità di risposta, precisando l’utilità di ritrattare i pazienti relapser e non responder. Gli studi sul ritrattamento con peg-IFN e RBV in pazienti precedentemente trattati con IFNr e RBV, selezionati senza tener conto del grado di fibrosi, hanno dimostrato una percentuale di SVR complessiva variabile tra 16 e 28%. In particolare, lo studio di Jacobson e coll. (2005) ha evidenziato che ha raggiunto la SVR il 21% dei pazienti non responder precedentemente trattati con IFNr in monoterapia rispetto all’8% di quelli che avevano ricevuto l’associazione IFNr e RBV; la percentuale di SVR tra i relapser raggiungeva invece il 42%. Sherman e coll. (2006) hanno confermato la superiore capacità di risposta dei relapser (41% vs 23%), sia nei pazienti con genotipo 1 (35% vs 20%) che nei genotipi 2 e 3 (55% vs 39%) quando ritrattati con peg-IFN alfa2a e RBV, mentre gli studi EPIC3 e HALT C hanno aggiunto importanti informazioni sui pazienti con fibrosi avanzata. > continua
Le ricadute cliniche
Un dato emerso dallo studio di immediata ricaduta clinica è la possibilità di utilizzare la risposta alla settimana 12 per proseguire anche oltre le 48 settimane il trattamento; il 57% dei pazienti con soppressione completa dell’HCV RNA alla settimana 12 ha raggiunto la SVR dopo 72 settimane di trattamento rispetto al 35% dei pazienti trattati per 48 settimane (figura 5). > continua
I nuovi farmaci antivirali
Le aspettative sui nuovi antivirali si basano invece sui risultati preliminari di studi di fase II che dimostrano come queste nuove molecole siano in grado di aumentare significativamente le percentuali di SVR. La possibilità di massimizzare le probabilità di successo, migliorando la tollerabilità e riducendo la durata degli schemi terapeutici nell’epatite cronica C potrebbero legittimare la tentazione di posticipare il ritrattamento fino alla disponibilità di queste molecole.Tuttavia, i dati, anche quelli sui farmaci in fase di sviluppo più avanzato come telaprevir, evidenziano che queste molecole devono essere necessariamente utilizzate in associazione alla terapia standard con peg-IFN e RBV. Inoltre, nella migliore delle previsioni, bisognerà aspettare almeno 2 o 3 anni prima di poter proporre ai pazienti il ritrattamento con i nuovi antivirali, un’attesa che può rivelarsi carica di conseguenze per una popolazione di pazienti ad alto rischio di complicanze. I nuovi farmaci miglioreranno sicuramente il trattamento per l’epatite cronica C, ma fino ad allora, lo schema di trattamento di 72 settimane rappresenta la migliore opzione possibile per i pazienti difficili da trattare come i pazienti che hanno fallito un precedente ciclo di terapia.
 
Punti chiave del ritrattamento:
Diversi fattori legati all’ospite, al virus e al precedente trattamento antivirale possono influire sull’esito terapeutico
La crescente popolazione di pazienti che non rispondono o recidivano è in una situazione di massimo bisogno terapeutico
Gli studi clinici hanno evidenziato che è possibile ottenere buone probabilità di cura in questi pazienti, evitando le complicanze della progressione della malattia
72 rispetto a 48 settimane di ritrattamento con peg-IFN alfa2a e RBV:
 
- raddoppiano le probabilità di SVR nei pazienti non responder a peg-IFN alfa2b e RBV
- consentono di raggiungere la SVR nella metà dei pazienti relapser al trattamento con peg-IFN e RBV
Nei pazienti candidati al ritrattamento occorre:
 
- intervenire preventivamente sulle cause modificabili di non risposta
- favorire l’aderenza del paziente agli schemi terapeutici, evitando riduzioni delle dosi dei farmaci impiegati
Nei pazienti relapser e non responder è importante intervenire precocemente per non compromettere la possibilità di risposta
 
Bibliografia
 
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