Gli analoghi di terza generazione
Gli studi disponibili con entecavir evidenziano infatti tassi di resistenza inferiori al 2% in pazienti trattati per oltre 6 anni in monoterapia (4). È importante sottolineare che ciò è vero esclusivamente per i pazienti trattati con entecavir in assenza di precedenti trattamenti con analoghi anti-HBV, poiché un precedente trattamento con lamivudina aumenta nettamente il rischio di resistenza ad entecavir. I dati con tenofovir risultano ancora più incoraggianti in quanto questo farmaco si è dimostrato del tutto esente dal rischio di creare resistenza quando utilizzato in monoterapia per oltre 4 anni (5). Inoltre l'efficacia di tenofovir non viene influenzata da un precedente trattamento con lamivudina. Questi risultati hanno quindi convinto la maggior parte degli esperti sulla possibilità di utilizzare una monoterapia antivirale anche a lungo termine nel paziente con epatite B, fermo restando l’assoluta raccomandazione all’impiego esclusivo di farmaci ad alta barriera genetica quali appunto entecavir e tenofovir, come si evince anche in tutte le linee guida nazionali ed internazionali più recenti (1,2).
 
Questi risultati hanno negli ultimi anni senz’altro contribuito a rendere il clinico più confidente e convinto nell’uso della terapia antivirale orale nel trattamento del paziente con infezione cronica da HBV con la necessità di attuare la scelta più opportuna di volta in volta tra le diverse opzioni terapeutiche. La scelta terapeutica peraltro deve essere ovviamente guidata da considerazioni di efficacia, tollerabilità e costo. Per quanto riguarda l’ efficacia antivirale non esistono confronti diretti tra la maggior parte delle opzioni terapeutiche e può essere pertanto interessante per il clinico ciò che è emerso da alcune recenti meta-analisi condotte con metodologia che rende adeguato e valutabile anche un confronto indiretto tra i diversi farmaci (6,7).