HBV e farmacoresistenza
Profili di resistenza a tenofovir
 
Dopo 6 anni di trattamento in prima linea con tenofovir, nessun paziente arruolato nei trial clinici ha finora sviluppato ceppi farmacoresistenti (Figura 3).
 
 
Gli studi condotti su gruppi di pazienti che provengono dalla cosiddetta “real clinical practice” stanno confermando l’elevata potenza e barriera genetica di tenofovir nella pratica clinica quotidiana (Figure 4 e 5) (10,11).
 
 
 
Data la somiglianza strutturale di adefovir con tenofovir, è possibile in linea teorica che le mutazioni conferenti resistenza ad adefovir possano ridurre in vitro la suscettibilità del virus a tenofovir (4). Studi in vitro hanno rilevato una ridotta sensibilità a tenofovir in presenza della mutazione rtA181V sia da sola che in combinazione con la mutazione rtN236T. Come per adefovir, tale riduzione è superiore a quella osservata in presenza della A181T (4).
Diversi studi hanno pertanto valutato se ciò si traduce anche in una ridotta risposta virologica in vivo (12-15). In primis, va anche segnalato che la risposta virologica a tenofovir non è compromessa in quei pazienti, pre- trattati con adefovir, senza aver sviluppato ceppi farmacoresistenti (12) (Figura 6).
 
 
Per quanto riguarda le mutazioni A181V/T e N236T, le attuali linee guida dell’EASL le riportano associate a resistenza piena ad adefovir ed intermedia a tenofovir (13). Peraltro, i dati ad oggi disponibili non hanno evidenziato la selezione delle mutazioni in posizione 181 e 236 in pazienti trattati con tenofovir. E’ quindi evidente che le mutazioni in oggetto, se pre-esistenti, possono inficiare l’attività antivirale di tenofovir, ma non sono selezionate da tale farmaco. Ciò supporta il concetto, di notevole rilevanza clinica, di tenofovir come farmaco ad alta barriera genetica.
In particolare, i dati disponibili, derivati sia da studi registrativi che indipendenti, mostrano come il trattamento con tenofovir, in pazienti che hanno sviluppato resistenza ad adefovir, di norma non impedisce il raggiungimento del successo virologico, soprattutto nel contesto di viremie contenute e quando le mutazioni di adefovir siano presenti singolarmente (Figura 7) (14,15).
 
 
Nei casi in cui la viremia si mantenga persistentemente rilevabile nonostante il trattamento con tenofovir, l’aggiunta di un secondo farmaco, quale lamivudina o entecavir, può consentire di abbattere in tempi rapidi la viremia al di sotto dei livelli di rilevazione. L’uso della terapia di combinazione è stato supportato anche da un altro recente studio, in cui si è mostrato come in pazienti difficili, con viremia elevata e profili di resistenza complessi (in grado di compromettere l’efficacia degli analoghi nucleosidici e/o nucleotidici), l’uso combinato di tenofovir ed entecavir sia in grado di garantire la soppressione virologica nella stragrande maggioranza dei pazienti (16). L’importanza di sopprimere al massimo la replicazione virale rimane cruciale per ridurre drasticamente il rischio di sviluppare epatocarcinoma. In quest’ottica, l’uso di strategie terapeutiche potenti è pertanto mandatorio.
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