[ n. 4 - Maggio 2013 ]
 
 
 
Epatite cronica B: l'esperienza clinica
nella comunità cinese in italia
a cura di Massimo Puoti, Leonardo Chianura, Giorgia Cocca
SC Malattie Infettive AO Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano
 
Nel mondo, 2 miliardi di persone hanno avuto un contatto con il virus dell’epatite B e circa 240 milioni presentano un’infezione cronica. La distribuzione di queste persone non è eterogenea; esistono zone a bassa endemia in Europa occidentale e nell’America del Nord, dove la prevalenza dell’infezione cronica è inferiore al 2% della popolazione, e zone a endemia intermedia, dove la prevalenza dell’infezione va dal 2 al 7%. La maggior parte delle infezioni si riscontra in Africa sub-sahariana ed Estremo oriente, aree ad alta endemia, nelle quali la percentuale di portatori cronici arriva all’8-15% (Figura 1) [1]. Circa un terzo dei soggetti con infezione cronica da HBV del mondo vive in Cina, paese in cui ogni anno muoiono 300 milioni di persone per le complicanze dell’epatite B, delle quali 180.000 per cancro del fegato [2].
 
Epidemiologia dell’epatite B
tra gli immigrati in Italia
Dei 5.011.000 migranti presenti in Italia almeno 900.452 provengono da paesi ad alta endemia per l’infezione da HBV, mentre 3.774.428 provengono da paesi ad endemia intermedia. Questo significa che se la prevalenza dell’infezione tra gli immigrati è assimilabile a quella dei loro paesi d’origine, si può stimare che tra loro siano presenti tra i 150.000 ed i 400.000 soggetti con infezione da HBV, che, aggiungendosi ai 600.000 portatori stimati tra la popolazione nativa, costituiscono tra il 20 ed il 40% dei soggetti portatori di HBsAg che vivono in Italia. Per quanto riguarda la comunità cinese residente in Italia sulla base dei dati di prevalenza si può stimare che vi siano tra 22.000 ed 41.000 portatori di HBsAg. » continua
L’immigrazione dalla Cina
Il XXII Rapporto Dossier Statistico Immigrazione della Caritas [4] stima la presenza di 5.011.000 immigrati nel 2012 in Italia. In particolare, l’Italia è lo Stato membro dell’Unione Europea che accoglie le collettività più numerose di cinesi (277.570 soggiornanti nel 2011). La comunità cinese è la quarta per numero di residenti, dopo la romena, l’albanese e la marocchina. L’immigrazione cinese in Italia risale al 1918 con l’arrivo dei primi immigrati a Milano provenienti dalla Francia. Successivamente, la popolazione cinese si è insediata a Roma, Firenze e Prato, città con la più alta concentrazione di cinesi in Italia (la cui presenza regolarizzata ammonta al 6,3% della popolazione complessiva del comune) e nell'intera Europa, nonché la seconda comunità cinese per residenza dopo Milano. Le principali "Chinatown" italiane si trovano a Prato, Milano e Roma [4]. Secondo uno studio condotto nel 2010 congiuntamente dal CESNUR e dall'Università di Torino su oltre 4.000 individui della comunità cinese di Torino, il 48% sono donne e il 30% minori; il 90% viene dallo Zhejiang. Per quanto riguarda l'occupazione, il 70% lavora nella ristorazione e più del 20% nel commercio [5].
   
La gestione del paziente cinese
Un recente studio trasversale ha arruolato 3.760 soggetti tra tutti i pazienti osservati consecutivamente in 74 centri ambulatoriali di Malattie Infettive in Italia [6]. Di questi 932 (25%) erano immigrati e 358 cinesi che costituivano il 9% di tutta la casistica. Le caratteristiche che differenziano i pazienti di origine cinese dagli altri immigrati sono: l’età più giovane e la preponderanza di donne. Inoltre, circa il 50% dei cinesi presentava un’infezione cronica HBeAg positiva con una minore percentuale di co-infezione da HCV (0,6%), HDV (1,2%) e HIV (2,2%) rispetto ai soggetti provenienti dall’Europa orientale (8,7% coinfezione da HDV, 3,8% HCV e 3,4% HIV), dal nord Africa (2,3% HDV, 12,8% HCV, e 12,5% HIV) e dall’Africa sub-sahariana (4,1% HDV, 1,9% HCV e 2,2% HIV). » continua
Approccio clinico
all’assistito cinese
In prima istanza, occorre definire e disporre di strumenti di counselling per il paziente, semplici, comprensibili, eventualmente scritti in lingua cinese, anche in collaborazione con i mediatori culturali, come una recente pubblicazione curata dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali (SIMIT) disponibile alla pagina web www.simit.org [10].
Il corretto trasferimento delle informazioni è indispensabile per poter coinvolgere il paziente nella gestione clinico-terapeutica dell’infezione, evitare lo stigma, ridurre la trasmissione secondaria, e avviare screening e vaccinazione dei familiari. » continua
 
 

Conclusioni

Sulla base dei dati di prevalenza si può stimare che vi siano tra i 22.000 ed i 41.000 portatori di HBsAg nella comunità cinese residente in Italia. Tutti i cinesi non nati in Italia dopo il 1979 devono essere sottoposti a screening per HBsAg, anti HBc ed anti HBs per identificare i soggetti con infezione cronica e i soggetti da vaccinare (negativi per i tre marcatori).
La gestione dell’infezione da virus dell’epatite nella popolazione cinese immigrata in Italia deve tener conto dei seguenti aspetti:
la barriera culturale
le caratteristiche anagrafiche degli immigrati cinesi con epatite B
la cogestione delle cure con la medicina cinese tradizionale e con la medicina cinese occidentale
le peculiarità della storia naturale dell’infezione da HBV nella popolazione cinese.
L’approccio al paziente deve essere sostenuto da strumenti di counselling adeguati, mentre le linee guida EASL sembrano essere le più idonee per la gestione di questi pazienti.
Tra gli antivirali, tenofovir è il farmaco di scelta nelle giovani donne in età fertile e nei soggetti con storia terapeutica non chiara, anche in relazione al minore costo.
Nella gestione delle gravide HBsAg positive con valori estremamente elevati di HBVDNA è raccomandato il trattamento antivirale durante il terzo trimestre di gravidanza, che si aggiunge alle misure tradizionali per la prevenzione della trasmissione perinatale dell’infezione.
Bibliografia
 
www.readfiles.it
 
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