I dati della Rete Regionale Lombarda per l’epatite C
Figura 1

Per quanto questi dati non debbano essere considerati come studi di confronto tra trattamenti, è significativo notare come generalmente in queste coorti i regimi comprendenti un inibitore della proteina NS5A avessero dei vantaggi in termini di efficacia rispetto a regimi che non includevano questa classe di farmaci.

Particolarmente rilevante è il dato della Rete Lombarda per l’epatite C che ha analizzato i 2432 pazienti arruolati nei 28 centri erogatori e che hanno ricevuto una terapia antivirale tra gennaio e dicembre 2015. I tassi complessivi di SVR sono stati del 90% con punte del 93% nei pazienti con genotipo 1 (Figura 2).

Figura 2

Non bisogna dimenticare che questi tassi, che possono apparire leggermente inferiori rispetto ad altri registri, sono influenzati dalla severità di malattia dei pazienti trattati (82% con fibrosi avanzata, 8% cirrotici scompensati e 5% post trapianto di fegato). La maggior parte dei pazienti era infettata dal genotipo 1 (63%) e rientrava nei criteri 1 (cirrosi e/o HCC) e 4 (Fibrosi Metavir F3) di AIFA con solo piccoli numeri di pazienti negli altri gruppi identificati da AIFA come prioritari (Figura 3-4).

Figura 3

 

Figura 4

Inoltre l’efficacia complessiva è stata influenzata dagli schemi di trattamento utilizzati in Italia poiché i regimi di combinazione sono stati introdotti solo negli ultimi 6 mesi di arruolamento. Questo fatto si evidenzia bene analizzando separatamente i pazienti con genotipo 1 dove i tassi di SVR ottenuti con le combinazioni di DAA erano del 95% contro solo 79% nei pazienti trattati con sofosbuvir + ribavirina, ed in modo ancora più marcato analizzando in dettaglio i dati di efficacia nei pazienti con genotipo 3.

In questo gruppo di pazienti, il 17% complessivo della casistica, il tasso complessivo di SVR è stato del 81% che però deriva dalla somma del 79% ottenuto con 24 settimane di sofosbuvir + ribavirina, 90% ottenuto con pegIFN + ribavirina + sofosbuvir e 93% ottenuto con lo schema raccomandato dalle linee guida EASL di sofosbuvir + daclatasvir + ribavirina per 24 settimane nel paziente cirrotico e per 12 settimane nel paziente non cirrotico. Questo è dato, presentato al congresso ICAR da Giuliano Rizzardini dell’AO “Luigi Sacco” di Milano, è ancora più significativo quando si analizzano solo i pazienti con cirrosi epatica (80% della coorte), dove la SVR con sofosbuvir + ribavirina era del 77% contro il 92% ottenuto con sofosbuvir + daclatasvir (Figura 5). Il tasso complessivo di SVR ottenuto con la combinazione di sofosbuvir + daclatasvir (93%) in qualche modo sconfessa il genotipo 3 come l’ultimo virus rimasto difficile da guarire.

Figura 5

Questa caratteristica era infatti emersa dai primi studi di Fase II e III con sofosbuvir e ribavirina dove l’infezione da HCV genotipo 3 era associata a tassi di SVR ridotti rispetto a pazienti con simili caratteristiche ma infezione da genotipo 2. Per questo motivo nello studio europeo Valence la durata di trattamento con sofosbuvir + ribavirina era stata emendata a 24 settimane per tutti i pazienti con HCV-3. Il trattamento di 24 settimane si era dimostrato efficace nei pazienti senza cirrosi ed in coloro con cirrosi che non avevano ricevuto alcun trattamento antivirale in precedenza, mentre si era dimostrato subottimale nel gruppo di pazienti con cirrosi e precedente fallimento a pegIFN e ribavirina (SVR 60%). Per questo motivo le raccomandazioni europee del 2015 non supportano questo regime come ottimale nei pazienti con cirrosi epatica.

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