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L’edizione 2025 della Conference on Retroviruses and...

Una selezione ragionata delle novità e gli studi presentati...

N.2 2025
Congress Report
L’edizione 2025 della Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections in sintesi

Andrea Giacomelli, Francesco Saladini, Camilla Tincati

Una selezione ragionata delle novità e gli studi presentati quest’anno al CROI

 

Viral rebound e bNAbs

Camilla Tincati, Dipartimento Scienze della Salute, Clinica di Malattie Infettive, ASST Santi Paolo e Carlo - Presidio Ospedaliero San Paolo, Università degli Studi di Milano

tab1Nuove strategie di cura dell’infezione da HIV sono state presentate nella sessione HIV Reservoirs and Cure Strategies.

Di particolare interesse lo studio RIO: A Randomised Placebo-Controlled Study of 2 LS-bNAbs in People Treated in Early HIV [OC107 Fidler], che ha indagato se la somministrazione di anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro (bNAbs) fosse in grado di controllare la viremia da HIV in assenza di terapia antiretrovirale combinata (cART). Sessantaquattro partecipanti, che avevano iniziato una cART virosoppressiva in fase di infezione acuta da HIV o con un nadir dei CD4+ >500/μL, sono stati randomizzati a ricevere due bNAbs o un placebo al momento della sospensione della cART.

Alla ventesima settimana dall’interruzione terapeutica, il 75% dei partecipanti trattati con bNAbs non ha mostrato ripresa della replicazione virale, rispetto all’8.8% del gruppo placebo (HR: 0.09; IC 95%: 0.04–0.21). I partecipanti che mostravano soppressione virologica a 20 settimane hanno ricevuto un secondo ciclo di trattamento (bNAbs o placebo) e sono stati seguiti fino a 72 settimane, evidenziando tre diverse cinetiche di rebound virologico (Tabella 1).

Risultati simili sono stati osservati nello studio Evaluation of 2 bNAbs Plus Vesatolimod in Early-Treated South African Women With HIV-1 During ATI [OC105 Dong], il primo studio sulla cura dell’HIV condotto in Africa.

È stato svolto in una coorte di donne sudafricane che avevano iniziato la cART durante l’infezione acuta (studio FRESH). Le partecipanti sono state arruolate in uno studio open-label, a braccio singolo, di fase 2a, e hanno sospeso la terapia cinque settimane dopo la somministrazione di due bNAbs più vesatolimod, con osservazione di tre diversi pattern di rebound virologico (Tabella 1).

Questi studi, condotti in popolazioni e contesti geografici differenti, dimostrano che i bNAbs sono in grado di controllare la replicazione virale in circa il 20% dei soggetti sottoposti a interruzione strutturata del trattamento (STI).

Possibili meccanismi alla base di tali risultati sono descritti nei poster 513 [Fumagalli] e 506 [Altaf], che mostrano rispettivamente una riduzione dei provirus intatti e l’emergere di robuste risposte T gag-specifiche nei pazienti trattati con bNAbs.

Coerentemente con questi dati, il controllo della viremia durante la STI è associato alla non rilevabilità del DNA provirale [poster 103 Kuhn] e a un potenziamento della risposta T-linfocitaria HIV-specifica [poster 486 Duette; poster 493 Karuna].


Novità su antivirali per HIV, MPOX e COVID-19

Andrea Giacomelli, Dipartimento di Malattie Infettive, ASST Fatebenefratelli Sacco, Milano; Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche, Università degli Studi di Milano

Sono stati presentati nuovi dati su terapie a lunga durata per l’HIV (Tabella 1). Lo studio CARES (96 settimane, Sud Africa) ha confermato la non inferiorità della combinazione cabotegravir/rilpivirina ogni 8 settimane rispetto alla terapia orale (96.9% vs 97.3% HIV RNA <50 copie/ml) [OC 202 Kityo]. Nello studio EMBRACE (fase IIb), l’anticorpo N6LS (VH109) con cabotegravir, somministrati ogni 4 mesi, ha mostrato soppressione virologica nel 96% (endovena) e nell’88% (sottocutanea), con più reazioni nel sito d’iniezione nel gruppo sottocutaneo (14%) [OC 203 Taiwo]. La combinazione lenacapavir con anticorpi monoclonali (teropavimab e zinlirvimab) ogni 6 mesi in persone con HIV soppresse ha mostrato un’efficacia del 96% con minime reazioni al sito di iniezione [OC 151 Ogbuagu]. Uno studio di farmacocinetica ha valutato lenacapavir intramuscolare ogni 12 mesi in volontari sani, mostrando concentrazioni adeguate per tutto il periodo [OC 154 Singh].

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Sono stati presentati nuovi dati su terapie orali per l’HIV. La combinazione islatravir/doravirina è risultata non inferiore a bictegravir/tenofovir alafenamide/emtricitabina in uno studio di fase III in doppio cieco (91.5% vs 94.2% VL <50 copie/ml a 48 settimane) senza differenze negli eventi avversi o conta CD4 [OC 204A Colson]. Un altro studio open-label ha confermato l’efficacia di islatravir/doravirina nel 95.6% dei partecipanti rispetto al 91.9% della terapia di base (duplice o triplice) [OC 204B Orkin]. In entrambi gli studi non sono state evidenziate problematiche relative alla conta dei linfociti CD4. Tra le nuove molecole, l’inibitore dell’integrasi di terza generazione VH-184 in monoterapia ha mostrato una potente attività antivirale (>2 log10 copie/ml di riduzione della viremia), buona tollerabilità e nessuna mutazione significativa dopo 10 giorni di trattamento [OC 152 Rogg]. L’inibitore del capside VH-499 in monoterapia ha dimostrato una riduzione media di 2.2 log10 copie/ml, con buona tollerabilità dopo 11 giorni di trattamento [OC 153 Benn].

Per SARS-CoV-2, lo studio SCORPIO-PEP (fase III) ha dimostrato che l’ensitrelvir riduce del 63% il rischio di sviluppare COVID-19 rispetto al placebo quando somministrato entro le 72 ore dall’esordio dei sintomi del contatto indice convivente [OC 200 Hayden] (Tabella 1). Per Mpox, lo studio ACTG A5418/STOMP (fase III) ha mostrato che tecovirimat non è efficace contro il clade II in termini di risoluzione clinica e controllo del dolore [OC 201 Wilkin] (Tabella 1).


Resistenza agli inibitori di integrasi

Francesco Saladini, Dipartimento di Biotecnologie Mediche, Università di Siena

tab1Durante il simposio Making sense of integrase strand transfer inhibitor failure and resistance sono state presentate le criticità riguardo alla diffusione delle mutazioni emergenti verso dolutegravir (DTG) nei paesi in via di sviluppo [OC 46 Ndembi]. Considerato l’aumento costante della prevalenza dei casi di mutazioni emergenti a carico degli inibitori di integrasi, la prevalenza della resistenza trasmessa verso DTG potrebbe salire fino al 8.8% entro il 2040 in assenza di azioni per mitigare il rischio di insorgenza delle mutazioni.

In uno studio multi-coorte condotto in Malawi, Ucraina, Mozambico e Uganda i fattori predittivi associati all’insorgenza di resistenza nei trattamenti con dolutegravir sono stati identificati nel sesso maschile, età 30-49 anni, viremia compresa fra 10.000 and 100.000 copie/mL, esposizione a DTG >1 anno e presenza di resistenza a carico di NRTI o NNRTI. Il riciclo di NRTI in seconda linea può favorire l’insorgenza di mutazioni verso DTG, in alcuni casi utilizzato come monoterapia funzionale [poster 747 Da Silva]. Tra le azioni che potrebbero limitare l’insorgenza della resistenza verso DTG è stato proposto di considerare la misurazione della concentrazione plasmatica del farmaco, il cui costo è molto limitato e può servire per escludere il test genotipico nei casi di scarsa o assente aderenza al trattamento [OC 47 Nel].

Dati rassicuranti sulla resistenza alla terapia long acting cabotegravir/rilpivirina sono emersi dallo studio CARES condotto in Africa. Il fallimento virologico è stato riscontrato nell’1.6% dei casi con mutazioni emergenti verso entrambi i farmaci che non hanno impedito la successiva soppressione della viremia con regime a base di DTG [OC 202 Kityo].

Esperimenti in vitro hanno dimostrato come l’esposizione a DTG abbia favorito la selezione di mutazioni in Env e nella regione che codifica per la proteina del nucleocapside (NC) prima della comparsa di mutazioni in integrasi (IN) [OC 155 Hikichi]. Mutazioni off-target sono state ricercate nei fallimenti alla terapia tenofovir/lamivudina/DTG all’interno dello studio A5381. In 6 individui sono state riscontrate mutazioni all’interno di NC, fra queste le mutazioni N27I e M46I già identificate in studi in vitro, in due casi insieme a mutazioni in integrasi con livelli di TFV nel plasma, indicativi di aderenza alla terapia. Alcune delle mutazioni in NC hanno dimostrato di diminuire di circa 2-3 volte la suscettibilità a DTG anche in assenza di mutazioni in integrasi [OC 156 Penrose] (Tabella 1).

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