La Malattia multicentrica di Castleman (MCD) associata al virus KSHV, noto anche come HHV8, è un disordine linfoproliferativo definito dalla recente classificazione WHO dei linfomi, come un disordine simil-neoplastico con predominanza di cellule linfoidi B, che insorge nell’ospite con deficit o deregolazione immunitaria.
La MCD associata al KSHV (KSHV-MCD) si sviluppa in >90% dei casi nelle persone con infezione da HIV (Persons living with HIV, PLWH) e può manifestarsi nel corso della terapia antiretrovirale di combinazione (combined antiretroviral therapy, cART) come sindrome infiammatoria da immunoricostituzione o in PLWH con viremia HIV soppressa e alta conta dei CD4. La malattia si manifesta con segni e sintomi di un severo stato infiammatorio, ha un decorso intermittente con recrudescenze alternate a remissioni spontanee, ma se non trattata ha un esito fatale.
Incidenza e prevalenza
L’incidenza e la prevalenza della KSHV-MCD sono sconosciute nel mondo, perché il quadro clinico è spesso indistinguibile da altri gravi stati infiammatori o dalle altre patologie associate al KSHV, quali il sarcoma di Kaposi viscerale, il linfoma primitivo delle cavità sierose (primary effusion lymphoma, PEL), il linfoma diffuso a grandi cellule KSHV-positivo e la sindrome infiammatoria da citochine associata al KSHV (KICS).
In uno studio inglese, l’incidenza della KSHV-MCD è risultata significativamente aumentata nell’era cART rispetto al pre-cART, con un numero di casi/10.000 anni-persona di follow-up, rispettivamente di 8.3 (intervallo di confidenza, IC 4.6-12.6) vs 2.3 casi (IC 0.02-4.2).
Il sarcoma di Kaposi è presente nel 50-70% dei casi alla diagnosi della MCD e spesso coesiste nello stesso linfonodo; i linfomi si sviluppano per lo più nel corso della malattia con un rischio stimato 16 volte superiore rispetto a quello delle PLWH senza MCD. L’associazione MCD-PEL ha una prevalenza del 13-26% e si manifesta soprattutto in pazienti con bassa conta dei CD4.
Patogenesi e manifestazioni cliniche
La KSHV-MCD è la variante plasmablastica della malattia di Castleman ed è caratterizzata dalla proliferazione nella zona mantellare del follicolo linfoide di linfociti B policlonali o oligoclonali con morfologia plasmablastica, che non mostrano riarrangiamento dei geni delle immunoglobuline (Ig), ma presentano nel citoplasma IgM monotipiche, tutte con catene leggere λ. Questi plasmablasti sono infettati dal KSHV (l’infezione viene documentata con la positività del latent-associated nuclear antigen, LANA), esprimono l’antigene CD38 e molto raramente il CD20. La sua patogenesi include l’attivazione litica del KSHV ed una severa deregolazione citochinica con aumento dei livelli sierici dell’interleuchina (IL)-6 virale (vIL-6) ed umana (human, h) (hIL-6) e di hIL-10, durante la fase attiva della malattia. La vIL-6, la cui espressione aumenta durante la fase litica del ciclo virale di KSHV, è il principale driver dello stato infiammatorio delle patologie da KSHV ed agisce solo in presenza di una certa quantità di hIL-6. La vIL-6 ha però uno spettro di attività più vasto della hIL-6, perché attiva il recettore gp130 (ubiquitario) senza attivare il recettore rIL-6, presente solo su linfociti, monociti/macrofagi ed epatociti. Il recettore gp130 è un importante trasduttore del segnale tra membrana cellulare e nucleo, che agisce attivando le vie di Janus Kinase (JAK)-Signal Tranducer and Activator of Transcription (STAT) e di Mutagen Activated Protein Kinase. La vIL-6 svolge attività proinfiammatoria, proangiogenetica e mitogena su un circuito sia autocrino che paracrino.
Le manifestazioni cliniche più comuni sono la presenza di severi sintomi sistemici (febbre, calo ponderale, sudorazioni notturne), diffusa linfoadenomegalia, splenomegalia, edema e/o versamenti sierosi, meno frequentemente rash, disturbi respiratori (tosse, dispnea, ostruzione nasale) o gastroenterici (anoressia, nausea e vomito). Durante la fase acuta gli esami di laboratorio evidenziano la presenza di citopenia, in particolare anemia iporigenerativa, anemia emolitica e piastrinopenia autoimmune, iposodiemia, ipoalbuminemia, marcato aumento della proteina C reattiva e della viremia di KSHV. Circa il 10% dei pazienti presenta una polmonite interstiziale ed il 9% una sindrome emofagocitica a rapida evoluzione. L’aggressività biologica della MCD correla con il carico virale di KSHV e con la concentrazione ematica sia di vIL-6 che di hIL-6.
Diagnosi e terapia
La diagnosi di MCD richiede sempre una biopsia linfonodale, la cui sede può essere guidata dalla position emission tomography (PET) con 18-fluorodesossiglucosio (FDG). La PET con FDG è un esame fondamentale per la stadiazione, la valutazione della risposta al trattamento ed il monitoraggio post-terapia. Essa mostra un’ipercaptazione simmetrica sui linfonodi sovra e sottodiaframmatici ed un’ipercaptazione omogenea in sede splenica e midollare. La presenza di un’ipercaptazione linfonodale asimmetrica è sospetta per la coesistenza di un linfoma e necessita di una biopsia mirata. Di recente, è stata identificata una forma liquida di KSHV-MCD, distinguibile dalla KICS per la presenza nei versamenti sierosi o nel sangue di plasmablasti LANA+, CD38+ e IgM monotipiche λ+.Questo dato è di grande rilevanza clinica perché la KICS, la cui diagnosi esclude la presenza della MCD, si associa spesso a patologie da KSHV molto aggressive.
La terapia standard della KSHV-MCD si basa sull’associazione della cART con l’immunoterapia con rituximab (R), un anticorpo monoclonale anti-CD20 (Tabella 1). Alcuni studi prospettici ed un’analisi multicentrica retrospettiva hanno dimostrato che 4 dosi settimanali di rituximab forniscono una sopravvivenza globale a 5 anni compresa nel range del 70-95%. Le attuali linee guida internazionali raccomandano la monoterapia con rituximab nelle forme di MCD-KSHV di lieve-media gravità e la sua associazione con la chemioterapia (etoposide o adriamicina liposomiale, ADM-L) nelle forme più aggressive. La combinazione di R-etoposide fornisce una sopravvivenza globale a 5 anni del 92% e quella di R-ADM-L a 5 e 10 anni rispettivamente del 90% e 71%. La prognosi della KSHV-MCD associata al PEL è molto più sfavorevole, con una sopravvivenza globale a 5 anni del 38%. Poiché rituximab stimola la riattivazione del sarcoma di Kaposi, in caso di coesistenza delle due patologie è sempre raccomandato il regime R-ADM-L.
In corso di rituximab, si riduce drasticamente il rischio di evoluzione della MCD verso un linfoma. Il meccanismo d’azione di rituximab nella MCD è oggetto di studio perché i plasmablasti nella maggioranza dei casi non esprimono l’antigene CD20; si ipotizza pertanto che esso agisca bloccando i linfociti attivati, presenti nel microambiente. La terapia con tocilizumab, un anticorpo monoclonale anti-rIL-6, e la terapia antivirale (ganciclovir, valganciclovir) forniscono un beneficio di breve durata, quindi non possono essere usate come unica forma di terapia. Nei pazienti che recidivano dopo rituximab, il ritrattamento con questo farmaco si è dimostrato efficace e privo di tossicità rilevante. In uno piccolo studio pilota, l’associazione di zidovudina ad alte dosi con valganciclovir (AZT/VGC) ha ottenuto una sopravvivenza libera da progressione (Progression Free Survival, PFS) a 5 anni del 26% come terapia di prima linea, ma in una serie retrospettiva come terapia di mantenimento post-rituximab il PFS a 5 anni è risultato del 71%. Il ruolo di una terapia di mantenimento vs un ritrattamento con rituximab alla recidiva dovrà essere valutato con uno studio randomizzato. Altre opzioni terapeutiche in corso di studio comprendono l’utilizzo della terapia a bersaglio molecolare con daratumumab, un anticorpo monoclonale anti-CD38 o con pacritinib, un inibitore di JAK-STAT. La terapia della MCD associata alle altre patologie da KSHV è molto più complessa e richiede l’associazione di rituximab con una polichemioterapia (Figura 1).
La cART ha ridotto in modo significativo la morbidità e la mortalità delle patologie da immunodepressione ma non delle patologie da immunoattivazione/infiammazione cronica. In questo nuovo scenario stanno emergendo nuovi quadri clinici, fra cui le patologie da KSHV. Esse sono complesse, intrecciate fra loro in >70% dei casi e richiedono un alto livello di sospetto da parte dei clinici. Una diagnosi errata o un ritardo diagnostico annulla la possibilità di attivare in tempi brevi un trattamento specifico per le varie patologie da KSHV ed ha un impatto drammatico sulla loro prognosi.
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