La trasmissione verticale dell’HBV (ovvero dalla madre al neonato durante la gravidanza o al parto) rappresenta una delle principali vie di cronicizzazione del virus, soprattutto in contesti ad alta endemia.
Oggi la prevenzione della trasmissione verticale rappresenta una priorità di sanità pubblica, in linea con l’obiettivo dell’OMS di eradicare le epatiti virali come minaccia per la salute globale entro il 2030. Tale obiettivo è tecnicamente realizzabile grazie a strategie efficaci già disponibili (1,2)
Principali strategie di prevenzione
Counseling prenatale e screening universale
- Lo screening sistematico per l’HBsAg nelle donne in gravidanza è essenziale.
- In contesti a risorse limitate, lo screening con test rapidi (ad esempio con il dosaggio dell’antigene core-relato di HBV – hepatitis B core-related antigen; HBcrAg) può facilitare l’identificazione precoce delle donne ad alta viremia, consentendo l’avvio tempestivo di interventi.
Vaccinazione e immunoglobuline al neonato
- Tutti i neonati di madri HBsAg-positive devono ricevere la prima dose di vaccino contro l’epatite B entro 12 ore dalla nascita, seguita da 3 dosi successive secondo il calendario vaccinale.
- Inoltre, è raccomandata la somministrazione di immunoglobuline anti-HBs (HBIG) contemporaneamente al vaccino, idealmente entro 12 ore dalla nascita.
Profilassi antivirale materna nel terzo trimestre
- Le linee guida internazionali (OMS, EASL, AASLD) raccomandano l’uso di antivirali orali (come tenofovir disoproxil fumarato, TDF) a partire dalla 28a-32a settimana di gestazione nelle donne con carica virale >200.000 UI/mL o HBeAg positivo.
- L’obiettivo è ridurre la viremia materna prima del parto, abbassando così il rischio di trasmissione perinatale, anche quando sono correttamente somministrati vaccino e HBIG al neonato.
- TDF è generalmente ben tollerato e sicuro in gravidanza.
La nostra esperienza
Le strategie di prevenzione raccomandate dalle linee guida internazionali, anche nei paesi ad alto reddito e bassa endemia come l’Italia, vengono spesso disattese a causa della mancanza di percorsi assistenziali o per la scarsa aderenza agli stessi, per cui persiste ancora un rischio di trasmissione verticale. Pertanto, abbiamo condotto uno studio monocentrico presso l’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, per valutare i risultati di un intervento volto all’implementazione delle strategie di prevenzione adottate per la trasmissione verticale dell’HBV.
Partendo da un’analisi retrospettiva (3) dei nati da madri HBsAg positive e delle strategie di prevenzione adottate dal 2015 al 2019 (work package 1, WP1), è stato condotto prospetticamente da settembre 2020 a settembre 2022 un intervento di implementazione attraverso un nuovo protocollo di gestione per prevenire la trasmissione verticale dell’infezione nella fase pre- peri-e post-natale, così articolato:
Fase prenatale
- Ottimizzazione della classificazione delle gravide HBsAg positive con completamento dei test virologici (sierologia completa per HBV + dosaggio della viremia per HBV), ove mancanti.
- Determinazione dello stato di HBsAg con adeguata tempistica (invio urgente del campione anche nei giorni festivi) in caso di stato sierologico materno sconosciuto al momento del parto, al fine di somministrare l’immunoprofilassi entro 12 ore dal parto in caso di positività all’HBsAg.
- Implementazione dell’invio allo specialista nel post-partum per la presa in carico, ove mancante prima.
Fase perinatale
- Ottimizzazione della tempistica dell’immunoprofilassi nei neonati di madri HBsAg positive (esecuzione di vaccino e immunoglobuline il prima possibile, entro un massimo di 12 ore e non più entro 24 ore dal parto) e presa in carico epatologica pediatrica.
Fase postnatale
- Esecuzione di test sierologici post-vaccinazione (TSPV) nei neonati di madri HBsAg positive, per confermare la risposta al vaccino ed escludere la trasmissione verticale dell’infezione. Il TSPV è stato eseguito a 18/24 mesi per escludere la possibile presenza di portatori occulti (past-HBV).
Infine, attraverso uno studio di confronto post-intervento, abbiamo valutato i risultati di tale implementazione e proposto ulteriori strategie per ottimizzare gli attuali percorsi di cura (WP3).
Nelle nostre due coorti, la prevalenza complessiva di donne in gravidanza HBsAg positive era dello 0.6%, la maggior parte delle quali era di origine straniera (88.3%). Il 100% dei neonati in entrambe le coorti è stato sottoposto a immunoprofilassi alla nascita. Tuttavia, a seguito del nostro intervento di implementazione, la tempistica dell’immunoprofilassi è migliorata (p=0.049), con un notevole aumento dell’immunoprofilassi molto precoce (<4 h dal parto). Il parto notturno è stato associato a un ritardo dell’immunoprofilassi. Dopo il nostro intervento, nella coorte prospettica, il 100% delle madri HBsAg positive è stato testato per HBV-DNA, mentre la viremia non è stata sempre testata nella coorte retrospettiva. Questo potrebbe essere considerato un effetto indiretto del nuovo protocollo con una migliore gestione anche nella fase prenatale. Ciononostante, nel 37.5% delle donne la viremia è stata testata solo al parto, non in tempo per l’eventuale profilassi antivirale in gravidanza.
Inoltre, solo circa il 30% delle donne in gravidanza con infezione cronica da HBV risultava già in follow-up, mentre solo il 15% era stata indirizzata a una consulenza epatologica.
Nella coorte prospettica, il TSPV, che prima del nuovo protocollo era stato disatteso, è stato istituito ed eseguito a 18-24 mesi di vita per garantire l’identificazione di pregressa infezione da HBV (HBsAg-/HBcAb+). Nella nostra coorte non sono stati evidenziati casi di trasmissione verticale o pregressa infezione da HBV. In due casi il tasso di risposta al vaccino (titolo anti-HBs) è diminuito nel tempo ed è stata necessaria una dose di richiamo del vaccino (4).
Alla luce dei risultati emersi, è stato successivamente messo a punto nella nostra azienda un nuovo percorso diagnostico-terapeutico assistenziale (PDTA) finalizzato a creare un percorso di gestione che garantisca un approccio multidisciplinare integrato sia tra le diverse figure professionali coinvolte (ostetrici, pediatri, gastroenterologi, medici dei centri vaccinali, ...) sia a livello strutturale tra ospedale e territorio. Gli obiettivi di questo PDTA sono principalmente l’identificazione precoce delle donne infette per ottimizzarne la gestione in gravidanza (garantendo la profilassi antivirale in gravidanza, ove indicata), al parto (attraverso una profilassi neonatale tempestiva) e nel post-partum (attraverso l’inclusione della donna, del bambino e dell’intero nucleo familiare in un percorso di screening e trattamento per ottenere un’adeguata gestione a lungo termine).
HBcrAg: in mancanza di test DNA
Misurare l’HBV-DNA per decidere l’inizio del trattamento è lo standard, ma non sempre disponibile. In questi casi, il dosaggio dell’HBcrAg può rappresentare una valida alternativa visto che ha una buona correlazione con l’HBV-DNA e la possibilità di valutazione tramite un test rapido immunocromatografico. Pertanto, può essere uno strumento utile per il triage clinico, in particolare nelle aree dove non si dispone di test molecolari. Tale test rapido, integrato alle strategie di prevenzione disponibili, può rafforzare le azioni di sanità pubblica per eliminare la trasmissione verticale dell’HBV, soprattutto nei contesti con accesso limitato alla diagnostica avanzata (5,6).
HBcrAg: ruolo clinico e diagnostico
L’antigene core-relato di HBV è un marcatore composito che rileva un complesso di proteine virali prodotte dalla regione precore/core del genoma dell’HBV, comprendente l’HBeAg, l’HBcAg e una proteina di 22 kDa (p22cr), caratteristica delle particelle di Dane difettive (empty particles) (7).
I livelli circolanti di HBcrAg variano nel corso dell’infezione cronica da HBV, risultando più elevati nelle fasi di infezione ed epatite cronica HBeAg-positiva, e progressivamente più bassi nell’epatite cronica HBeAg-negativa e nei portatori inattivi (infezione cronica HBeAg-negativa).
In particolare, recenti dati provenienti da una coorte multicentrica europea di oltre 1500 pazienti HBsAg-positivi hanno dimostrato che una singola misurazione dell’HBcrAg, utilizzando un cut-off di 3.1 Log U/mL, consente di distinguere con elevata accuratezza i soggetti con infezione cronica inattiva dai pazienti con epatite cronica HBeAg-negativa (8).
L’HBcrAg mostra un’elevata correlazione sia con i livelli di HBV-DNA circolante sia con la quantità e l’attività trascrizionale di HBV-DNA intraepatico nella sua forma episomica (HBV covalently-closed-circular DNA; HBV cccDNA) (9). Questo ne fa uno strumento non invasivo di particolare valore per lo studio del reservoir virale, consentendo di superare i limiti legati all’uso della biopsia epatica e alle tecniche di PCR, ancora prive di standardizzazione per la quantificazione di HBV cccDNA.
Misurazione dell’HBcrAg
La misurazione dell’HBcrAg viene effettuata tramite un saggio immunoenzimatico in chemiluminescenza (CLEIA), attualmente disponibile su piattaforme completamente automatizzate (intervallo analitico di misurazione 2.0-7.0 Log U/mL). Tuttavia, la necessità di strumentazione dedicata e condizioni di laboratorio centralizzate ne ha finora limitato l’uso in contesti a risorse limitate. Recentemente, è stato sviluppato un test rapido point-of-care (POC) basato su immunocromatografia (Figura 1) (10,11), in grado di rilevare l’HBcrAg da sangue capillare, che ha dimostrato un’elevata accuratezza diagnostica nell’identificare donne in gravidanza ad elevata viremia (HBV-DNA > 200.000 UI/mL) (7).

Il basso costo del test, unito al fatto che non richiede tecnologie di laboratorio sofisticate, lo rende adatto allo screening dell’epatite B nei centri periferici dei paesi a basso e medio reddito.
Valutazione dell’HBcrAg post-vaccinale
In 32 pazienti nati da mamma HBsAg positiva, durante il TSPV abbiamo eseguito la valutazione anche dell’HBcrAg a 18 mesi di vita. Esso è risultato negativo in 21 casi, con valori borderline (2.0-2.5 Log U/mL) in 7 casi e con valori positivi (>3.0 Log U/mL) in 4 casi; tutti i pazienti in cui è stato testato avevano sierologia e viremia HBV negativa. Questo profilo (HBV-DNA neg e HBcrAg pos) è detto divergent pattern. Non è stata evidenziata una correlazione con la viremia materna.
Tale dato è difficilmente ascrivibile, per i dati di intrinseca sensibilità e specificità del test, a dei falsi positivi, ed è pertanto da chiarire il significato clinico di tale risultato. È in programma un ricontrollo di tale esame a distanza, per valutare se ci sono eventuali modifiche nel tempo.
Conclusioni
La profilassi antivirale nel terzo trimestre è raccomandata per le donne con alta viremia HBV per ridurre il rischio di trasmissione verticale. In assenza del test HBV-DNA, in contesti decentralizzati e con risorse limitate, il dosaggio rapido di HBcrAg può aiutare a identificare le donne da trattare. L’approccio combinato madre-neonato (antivirali+vaccino+HBIG) può ridurre il rischio di trasmissione a meno dell’1%. Il successo della prevenzione dipende da screening prenatale sistematico, educazione e interventi precoci.
Per quanto riguarda il test in chemiluminescenza per l’HBcrAg eseguito nella valutazione post-vaccinazione dei bambini nati da mamma HBsAg positiva nei paesi ad alto reddito, sono necessari ulteriori studi volti a chiarire i meccanismi molecolari e il significato clinico del relativo frequente riscontro di valori borderline/positivi in pazienti non viremici.
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