AIDS reversion, viremia soppressa ed immunoricostituzione in più del 90% dei casi trattati, stabili e convincenti schemi di terapia a lungo termine rendono praticamente retorica la domanda che viene fatta nel titolo: alla luce dei brillanti risultati ottenuti può essere considerata affermativa ed al di là di ogni ottimistica previsione fatta trent’anni fa. Se a questo aggiungiamo il grande ruolo che i farmaci antiretrovirali hanno nella prevenzione della infezione da HIV come nell’azzeramento del rischio di trasmissione per i PLWH con viremia negativa possiamo considerare ampiamente raggiunto il fine che cART aveva. La serie di acronimi accumulata in questi anni (PEP, U=U, PrEP, LA PrEP, zero MTC transmission) dall’uso di farmaci antiretrovirali lascia intravedere che la prevenzione farmacologica possa almeno in parte sopperire a ciò che l’inarrivabile (?!?) vaccino inizialmente faceva sperare.
Ovviamente quanto sopra vale purtroppo solo per i PLWH che vivono in aree geografiche che hanno risorse e strutture per garantire livelli di assistenza adeguati ai loro bisogni. Il know-how della cART impiegata da noi è stato comunque un input fondamentale per cercare di raggiungere standard di cura anche nei paesi in via di sviluppo (dove una accettabile copertura dei trattamenti necessari è ancora lontana) nei quali i risultati ottenuti sono promettenti. Da questo punto di vista, paradigmatici mi sembrano i dati dello studio CARES che ha dimostrato come lo switch ai long acting cabotegravir e rilpivirina negli adulti con viremia soppressa in Africa abbia dato ottimi risultati in termini di efficacia, safety e tollerabilità, pari se non superiori a quelli che stiamo ottenendo nei migliori centri occidentali. Non dobbiamo peraltro sottovalutare il fatto che anche alle nostre latitudini ci sono PLWH come immigrati/emarginati, e per altri versi donne in gravidanza e bambini, per i quali una terapia antiretrovirale ottimale non è ancora disponibile per diverse ragioni. Ad esempio, da poco tempo è disponibile in Italia la terapia con B/F/TAF anche per i bambini di età superiore ai 2 anni!!
Il concetto di ottimizzazione della terapia antiretrovirale, imperativo categorico per i primi regimi a tre farmaci, ha avuto nella sua lunga e favorevole evoluzione significati diversi, ed è stato declinato nella pratica clinica, come testimoniato nella ampia letteratura relativa alla cART di cui disponiamo, a seconda della priorità degli obiettivi che essa ha avuto nei vari periodi del suo sviluppo.
Se vogliamo considerare il risultato della cART nel suo complesso dobbiamo semplificare il più possibile un argomento molto vasto e dibattuto in modo assai approfondito in tutti questi anni. Schematicamente la scomposizione del principio della ottimizzazione della cART in base alla priorità degli obiettivi da raggiungere, anche seguendo un criterio cronologico, può essere la seguente: 1) efficacia 2) tollerabilità 3) durability 4) convenience.
È soltanto un ricordo il lungo percorso che è stato fatto negli anni ’90 del secolo scorso per arrivare alla HAART, triplice terapia di combinazione che dava incoraggianti segnali di efficacia e che lasciava intravedere quelle percentuali di successo che, passo dopo passo, oggi sono giunte a superare il 90% di casi con HIV Rna <50 copie/ml, viremia undetectable che viene mantenuta stabilmente per anni nei casi trattati. Quindi missione compiuta se consideriamo quello che ci aspettavamo trent’anni fa, ma lungi dall’esserlo se pensiamo ai molteplici problemi che una malattia cronica evolutiva così complessa come HIV ha svelato. Proprio la lunga storia di terapia in PWLH, oggi assimilabili a persone normali, ci ha posto di fronte a problemi diversi dall’efficacia della cART (principio irrinunciabile), in particolare quello della tollerabilità.
Il filo conduttore della complicata e concitata fase di ricerca di combinazioni antiretrovirali efficaci è stato per medici e pazienti quello di tradurre in efficacia clinica le potenzialità delle singole molecole registrate e della associazione tra loro per ottenere il massimo sul piano del rapporto efficacia e tollerabilità anche in base al principio della personalizzazione di schemi e modalità di assunzione della terapia disponibile (cART tailored).
Per ripercorrere questo cammino ci vorrebbe un libro intero, ricordando che alcuni farmaci che hanno contribuito, seppur in parte, alla riuscita della impresa sono usciti di scena o sono obsoleti. Va però considerata a mio parere, oltre all’eccezionale lascito in termini di vita e qualità di vita che la cART story ci ha messo a disposizione, anche la domanda di quanti schemi di terapia “personalizzati” (che si trascinano dagli anni precedenti all’Era-STR) siano attualmente anacronistici e migliorabili. Ancora oggi anche nelle casistiche delle più accreditate cliniche italiane ci sono centinaia di regimi di cART diversi da quelle 5 o 6 combinazioni di farmaci più usati (STR), che garantiscono efficacia e tollerabilità a lungo termine e di cui non si disponeva nell’era della forzata personalizzazione, che possono essere considerati un retaggio del passato.
È tempo che questi fantastici ed originali “manufatti” degli anni scorsi, anche laddove continuino a mantenere la loro efficacia e tollerabilità, vengano ammodernati ed adeguati agli standard di efficacia e tollerabilità a lungo termine che le ultime linee di STR garantiscono. Quante BID, quante mono o dual therapy, quanti NA, NNRTI, PIr, INSTI di vecchia generazione con modalità di assunzione diversificata possano essere migliorati impiegando cART più attuali è una domanda che medici (e pazienti!!) dovrebbero farsi più spesso.
È auspicabile che si arrivi in fretta a limitare a (pochi) casi particolari i vecchi schemi di terapia diversi dalle STR che oggi vanno per la maggiore, è tempo di “resettare” il vasto paniere degli schemi di terapia antiretrovirale e delle strategie di trattamento a medio/lungo termine, basandoci sui farmaci dell’ultimo decennio ed alle loro modalità di impiego, guidati quindi dal concetto che milestone del trattamento di HIV è attualmente una buona FDC INSTI based.
I soddisfacenti risultati raggiunti complessivamente sul piano clinico hanno scotomizzato il problema della persistente replicazione del virus all’interno dei reservoir nei quali si è integrato. La low level viremia è un limite noto della performance di tutte le combinazioni di antiretrovirali, anche le più recenti, e va ricordato che lo stato di immune activation che ne consegue è associato ad un maggior rischio di sviluppare malattie in genere: eliminarla è un impegno che la comunità scientifica si deve assumere! Lo stato di latenza come DNA provirale in un’ampia varietà di cellule e tessuti lo rende inattaccabile dai regimi antiretrovirali in uso. La complessità della natura dei reservoir è nota e metodiche in grado di quantificare la persistenza virale e la capacità del provirus di essere trascritto e/o tradotto sono disponibili, ma a tutt’oggi, nonostante la costante ed approfondita ricerca di base in questo campo, la loro applicazione clinica è limitata a studi sperimentali. Non accontentarsi di valutare il marker abituale di replicazione virale (HIV Rna quantitativo), ma introdurre nella diagnostica corrente metodi in grado di quantificare il viral load e misurarne il decay sembra essere un passaggio imprescindibile per puntare alla eliminazione della latenza ed alla eradicazione della infezione.
È indiscutibile che, a fronte dei notevoli investimenti fatti e i numerosi trial clinici che sono stati realizzati nel campo della cura funzionale e dell’eradicazione dell’infezione, i risultati siano a tutt’oggi molto deludenti. Anche negli studi con disegni sperimentali più sofisticati ed accurati con la scelta ottimale del PLWH candidato allo studio – come i casi selezionati in tutto il mondo per il trapianto allogenico di cellule staminali CCR5 delta 32 delete – l’eradicazione di HIV è stata ottenuta solo in 9 casi, il che porta alla conclusione che anche questa non sia una strada percorribile per ottenere una definitiva "CURE". In assenza peraltro di una completa conoscenza della dinamica di replicazione del virus latente nel PLWH trattato, con soppressione virologica, e del controllo immunitario nei reservoir del virus integrato e, soprattutto, senza informazioni sul reale processo di riattivazione della infezione nei casi di interruzione strutturata di terapia (ATI), è improbabile che anche i più ambiziosi programmi di eradicazione basati su gene therapy, LRAs (latency reversing agents), immunotherapy e stem cell transplantation, etc. (Figura 1) possano avere successo. Parafrasando un aforisma di Leonardo da Vinci: ciò che sappiamo è molto, ma ciò che non sappiamo è troppo. Le conseguenze si vedono: a tutt’oggi di tutte le sperimentazioni fatte a tal fine rimangono solo pochi casi di sustained remission, più che di vera eradicazione, con HIV RNA <1000 copie al giorno 84 (!).
A seguito dell’uso su larga scala degli INSTI, sembrerebbe proprio che la temibile e giustificata minaccia delle resistenze alla cART stia progressivamente diminuendo e che i casi di resistenza farmacologica alle quattro classi di antiretrovirali siano ormai limitati, da noi, a poche centinaia di pazienti con molteplici linee di terapia antiretrovirale (HTE), nei quali fortunatamente l’assistenza e lo sviluppo di strategie terapeutiche ottimali sono molto accurati. Trovare una terapia efficace per pazienti con HIV MDR è una priorità irrinunciabile: oltre a poter contare su farmaci ad alta barriera genetica (come gli INSTI) un notevole contributo alla soluzione di questo problema viene dato dai nuovi farmaci che stanno entrando nella pratica clinica come gli inibitori dell’ENTRY, ad esempio fostemsavir e lenacapavir, con risultati incorraggianti. Di grande interesse poi la scelta innovativa di supportare la cART con la immunoterapia (teropavimab e zinlirvimab oltre a ibalizumab) rivalutando il possibile ruolo positivo degli anticorpi neutralizzanti nelle strategie di rescue therapy. Il rischio che l’appagamento per i risultati raggiunti con le attuali cART smorzi l’interesse per l’introduzione in ampie casistiche di nuove molecole dotate di meccanismi di azione più intriganti (ad esempio islatavir e soprattutto lenacapavir che interferisce in tre punti differenti con la replicazione di HIV) è concreto; è necessario perciò che gli stakeolders si adoperino per evitare che le potenzialità di nuove modalità di trattamento finiscano nel dimenticatoio.
Attualmente il problema principale è quello della ottimizzazione del long term maintenance treatment e che ha visto in questi ultimi anni e vede ancora oggi il binomio tollerabilità/convenience come driver principale dello sviluppo della cART. Va ricordato che i grandi interrogativi su "quando cominciare la cura" e "quale è la persona a cui destinarla" hanno determinato ed ispirato per anni le linee guida di terapia antiretrovirale.
Per fortuna gli effetti collaterali di alcuni NRTI, NNRTi e PI di prima generazione sono un lontano ricordo, attualmente superato grazie ad un travagliato percorso fatto insieme da pazienti, medici e case farmaceutiche, che ha portato a piccoli passi agli attuali regimi che hanno definitivamente fatto cadere il muro delle restrizioni di qualsiasi tipo. Il mantra "HIV suppression for all: against all odds" è universalmente riconosciuto come valido. Più complessa appare ancora ai nostri giorni la valutazione delle principali tossicità sommerse (rene, osso, fegato, apparato cardiovascolare). La loro identificazione e gli algoritmi di prevenzione vanno definiti e devono costituire regole universalmente applicate. Le incertezze sulle prospettive di vita dei PLWH negli anni scorsi ha rallentato il processo di messa a punto di standard di sorveglianza e prevenzione delle patologie dell’anziano, cui oggi i sieropositivi devono avere diritto a pieno titolo.
La ottimizzazione di regimi long term in base al concetto della semplificazione (2D vs 3D) è troppo focalizzato sul principio della tossicità di abacavir e tenofovir. Per quest’ultimo, soprattutto alla luce della sua metamorfosi in TAF vanno valutati pro e contro dei regimi 3D forniti dalle ossevazioni a lungo termine degli studi di coorte. È auspicabile che la disputa tra 2D e 3D sia stemperata da una più aggiornata lettura delle tossicità del “terzo farmaco” e da una più diffusa abitudine ad applicare strategie di induction – maintenance.
In questo scenario sempre più governato da algoritmi di previsione e prevenzione delle tossicità abbinate all’irrinunciabile mantenimento della undectability lo spazio per la personalizzazione è diventato modesto.
La rincorsa alla convenience per una terapia quod vitam è inevitabile e si sta orientando negli ultimi anni su molecole long acting molto attraenti: è auspicabile che la loro modalità di somministrazione per via parenterale evolva anche verso le formulazioni orali.
Il ritorno sulla luna grazie ai progressi scientifici fatti in questi anni deve vedere la trasformazione delle iniziali utopie in sogni realizzabili: l’eliminazione della epidemia (vaccinazione?) e l’eradicazione della infezione da HIV (Figura 1) sono la nuova più difficile missione che la lotta all’AIDS deve prefigurare.
Le cose concrete da fare peraltro sono ancora molte, a partire dallo screening per far emergere il sommerso, e dalla eliminazione dello stigma e delle disuguaglianze. In ordine sparso possiamo elencare l’accesso alla cART a tutti i PLWH e dovunque, ottimizzazione della terapia in base a criteri più moderni di convenience, sviluppo di nuove cure per HTE/MDR. L’approccio clinico al paziente sieropositivo deve prevedere però anche di aggiornare schemi e strategie di trattamento con farmaci di nuova generazione, aprire la strada e favorire il percorso di place in therapy di nuove molecole/monoclonali, approfondire la diagnostica immunovirologica, creare le basi conoscitive ed i presupposti concreti nei PLWH che ci avvicinino agli obiettivi ambiziosi della cura funzionale e della eradicazione.
L’eventualità di sentirsi appagati dai risultati ottenuti e, di conseguenza, abbassare la guardia ed ipotizzare una pausa dagli investimenti in questo campo rischiano di ridare fiato all’epidemia di AIDS. Il successo è temporaneo e fragile ed il supporto istituzionale e delle associazioni del volontariato è essenziale per raggiungere il controllo dell’epidemia e mantenere lo status quo. Nella figura 2 impressionante appare lo scenario di un’ipotetica interruzione dei finanziamenti di PEPFAR sull’andamento dell’epidemia di AIDS.