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Update da CROI - Seattle, 19-22 febbraio 2023 | Update dal CROI...

Update dal CROI 2023 su HIV e MTS, problematiche nelle donne e...

N.1 2023
Congress Report
Update da CROI - Seattle, 19-22 febbraio 2023

     

Update dal CROI 2023 su HIV e MTS, problematiche nelle donne e nei bambini, studi sul microbioma, farmaci LA, salute mentale dei pazienti, Mpox e cura di HBV

 

From STI to HIV and back

Roberto Rossotti, Ospedale Niguarda, Milano

Il tema delle infezioni sessualmente trasmesse (IST) affrontato in diverse sessioni come conseguenza di un uso sempre più diffuso e perfezionato della profilassi pre-esposizione (PrEP)

La disponibilità - almeno negli Stati Uniti - di cabotegravir (CAB) long-acting ha ulteriormente potenziato l’efficacia di questo strumento preventivo biomedico. Una volta dimostrata la superiorità di CAB rispetto a FTC/TDF sia nella popolazione MSM/TGW che nella popolazione femminile, la necessità di contrastare le IST è divenuta sempre più rilevante.

Lo studio DOXYPEP presentato allo scorso IAS da A. Luetkemeyer aveva dimostrato l’efficacia della profilassi post-esposizione (PEP) con doxiciclina nella riduzione dei casi di Chlamydia e sifilide: al CROI 2023 sono stati discussi dati aggiuntivi che hanno risposto ad alcune domande lasciate aperte dallo studio di Luetkemeyer.

Fig 1J.M. Molina ha presentato i risultati dello studio DOXYVAC (abs#118), in cui i 502 pazienti arruolati erano randomizzati 2:1 a ricevere doxiciclina e 1:1 a ricevere la vaccinazione contro il meningococco B per contrastare la diffusione di gonorrea. Il DSMB ha interrotto precocemente lo studio per la superiorità degli approcci rispetto al gruppo di controllo. Al di là dell'(ormai) atteso dato di efficacia contro sifilide e Chlamydia, lo studio francese ha riscontrato anche un’efficacia contro la gonorrea (AHR 0.49, 95% CI 0.32-0.76, p=0.001) e il Mycoplasma genitalium (adjusted Hazard Ratio 0.55, 95% CI 0.34-0.89, p=0.015) che non viene, generalmente, considerato suscettibile ad una monoterapia con doxiciclina (Figura 1). I pochi test di biologia molecolare sui ceppi di Chlamydia riscontrati nei soggetti in PEP non hanno evidenziato mutazioni determinanti resistenza.

Anche la parte vaccinale del trial è stata interrotta per la superiorità del braccio interventistico: il vaccino anti-meningococco B è risultato capace di dimezzare i casi di gonorrea (AHR 0.49, 95% CI 0.27-0.88, p=0.016). Sono ormai tre, quindi, i grossi studi che hanno documentato l’efficacia della PEP con doxiciclina e i CDC hanno già cominciato a discutere di una sua introduzione nella pratica clinica.

Questa efficacia può essere spiegata anche dai livelli di farmaco a livello genitale. R. Haaland ha presentato uno studio in cui si sono misurate le concentrazioni di antibiotico a livello plasmatico, uretrale, vaginale e rettale (in queste due ultime condizioni non soltanto sulle secrezioni mucose ma anche su materiale tissutale da biopsia, abs#117). Dopo la somministrazione di 200 mg di doxiciclina, la concentrazione massima è risultata pari a 11 volte la MIC per l’attività contro la Chlamydia a livello rettale, 16 volte quella plasmatica e 20 volte quella vaginale, rimanendo a valori superiori a 4 volte la MIC per tempistiche sopra alle 40 ore. Per quanto riguarda il Treponema pallidum, i risultati sono risultati simili: la concentrazione massima è risultata pari a 7 volte la MIC a livello rettale, 10 volte a quello plasmatico e 12 volte a quello vaginale, rimanendo a valori superiori a 4 volte la MIC per un intervallo variabile fra le 30 e le 50 ore.

Per quello che riguarda il gonococco, invece, i dati di TDM non sembrano altrettanto soddisfacenti: la concentrazione massima è risultata pari a 3 volte la MIC a livello rettale, 4 volte nel plasma e 5 volte nella mucosa vaginale, rimanendo a valori superiori a 4 volte la MIC per un intervallo variabile fra le 3 e le 11 ore. Le secrezioni uretrali hanno presentato concentrazioni complessivamente superiori agli altri distretti per tutti e tre i patogeni. Nonostante questi valori favorevoli a livello vaginale, J. Stewart ha dimostrato che la PEP non è risultata efficace nelle donne cis (abs#121) dove, quindi, al momento non appare raccomandabile il suo utilizzo.

Un’altra domanda lasciata aperta dallo studio DOXYPEP è l’impatto dell’impiego di doxiciclina sullo sviluppo di resistenze sulle neisserie commensali oltre al gonococco e sullo S. aureus. A. Luetkemeyer ha presentato un sottostudio sui 637 partecipanti a DOXYPEP mirato proprio alla definizione di queste problematiche (abs#120). L’esecuzione degli antibiogrammi di N. gonorrhoeae è notoriamente difficoltosa, per cui sono stati ottenuti risultati per pochi campioni, per lo più uretrali (80 su 213 diagnosi effettuate).

Con tutti questi limiti metodologici, la resistenza alle tetracicline è risultata oscillante fra il 70% e il 90% nel corso del tempo, senza però evidenza di una differenza statisticamente significativa.

Per quanto riguarda le altre neisserie commensali del faringe, il 60% è risultata resistente a doxiciclina senza modifiche dopo l’esposizione alla PEP. La colonizzazione da stafilococco è scesa del 14% nel braccio esposto all’antibiotico (p<0.01), cosa non osservata nel braccio di controllo (p=0.15). L’uso di tetracicline non si è, però, rivelato significativo sulla quota di MRSA che è rimasta stabilmente attorno al 5% in entrambi i bracci dello studio.

Sebbene dati a lungo termine e su campioni più ampi sulla resistenza alle tetracicline di Treponema pallidum e Chlamydia non siano ancora disponibili, così come manchino ancora informazioni sul microbiota, senza dubbio la PEP con doxiciclina sembra rappresentare una svolta nella lotta contro queste infezioni.


HIV issues in women and kids

Manuela Ceccarelli, Università di Catania

Forte attenzione data alle problematiche neuropsichiatriche di donne con infezione da HIV e bambini con infezione da HIV o esposti alla ART durante la gravidanza

Di particolare interesse, durante la sessione intitolata Insights into Prevention and Treatment of HIV in Women and Children è stato l’intervento di J. Kabami, Uganda, che ha presentato uno studio riguardante l’efficacia di un intervento multimodale costituito da counseling e supporto tra pari nell’aumentare la virosoppressione delle donne in gravidanza (abs#130). Nello studio di Parra-Rodriguez Let al. (abs#469) è stato mostrato che l’uso di inibitori delle proteasi boosterati o di inibitori delle integrasi boosterati in associazione a tenofovir alafenamide si associa a un aumento dei sintomi somatici quali una peggiore capacità di concentrazione, una peggiore qualità del sonno e una minore motivazione. Una minore capacità di concentrazione e una minore motivazione sono state invece associate a una peggiore qualità del sonno nelle donne con infezione da HIV e disturbi neurocognitivi nello studio di Dastgheyb RM et al. (abs#473), senza tuttavia evidenziare un’associazione con regimi terapeutici.

Un interessante spunto di riflessione per quanto riguarda bambini e adolescenti è arrivato dalla Danimarca: uno studio di Moseholm Eet al (abs#473) ha mostrato come i bambini non infetti, esposti al virus durante la gravidanza (HEU), abbiano un rischio aumentato di sviluppare disturbi psichiatrici durante l’infanzia e l’adolescenza rispetto ai bambini non infetti e non esposti (HUU) (Figura 2).

Fig 2

Numerosi altri studi hanno dato risalto agli effetti dell’uso della ART sul microbiota del latte materno, sugli effetti dell’esposizione all’HIV e alla ART e lo status puberale (Serghides L et al, abs#805).


Microbiome and HIV: is it time?

Andrea De Vito, Università degli Studi di Sassari

Al CROI molti gli studi in questo ambito, in linea con l’aumento esponenziale della produzione scientifica su microbioma e HIV, con oltre 200 pubblicazioni annue tra il 2020 e il 2022

Fig 3Uno studio di Jiang D et al. sul microbiota dei macachi ha individuato due lachnospiraceae (Clostridium immunis e Rumonococcus gnavus) che, agendo sul triptofano, esercitano un importante potere inibitorio su HIV (Figura 3) (abs#251).

Goyal R et al. hanno collegato le dinamiche del reservoir virale alla disbiosi intestinale e all’infiammazione locale (abs#420).

Pinto-Cardoso S et al. hanno studiato il microbioma e il peso nelle PLWH che modificavano la terapia da EFV a BIC. A 48 settimane 49/63 hanno riportato aumento ponderale con riduzione di Proteobatteri e Fusobacterioti, e aumento dei Faecalibacterium (abs#248).

Riguardo al microbioma cutaneo, Sereti I et al. hanno rilevato una maggiore espansione dei funghi nelle PLWH con bassi CD4, e maggior rappresentazione di viriomi nelle persone con una linfopenia idiopatica dei CD4, rispetto a controlli sani. L’inizio dell’ART ne comporterebbe la modifica, riavvicinandolo a quello dei controlli sani (abs#250). Al contrario, la disbiosi cervicovaginale persisterebbe anche dopo l’inizio dell’ART, con preponderanza delle Gardnerelle a discapito dei Lactobacillaceae (Bricker KM et al, abs#252). Kuhn L et al. studiando il microbioma orale nei bambini con e senza HIV, hanno riscontrato nei primi aumento di Granulicatella, Streptococcus e Gemlia e riduzione di Neissariae ed Haemophilus, senza modifiche dopo l’inizio della ART (abs#815).

Infine, Trøseid M et al. hanno riportato un’associazione tra cardiopatia stenotica e la presenza di Tuminococcus gnavus (produttore di polisaccaridi pro-infiammatori) e Veillonella (associato a fibrosi) (abs#667). Luo K et al. hanno riportato una correlazione tra i livelli plasmatici di acido indol-3-propionico prodotto da alcuni batteri intestinali e placche carotidee nelle donne con HIV (abs#668). Quest’ultime sono state associate anche a Fusobacterium nucleatum (Wang Z et al. abs#669).


Long-acting agents in different settings

Federico Conti, ASST Lecco

Lo studio SOLAR dimostra che la terapia long-acting con CAB + RPV è non inferiore alla “classica” TARV orale

Fig 4Sono stati presentati i risultati a 12 mesi dello studio SOLAR, uno studio di fase 3b, randomizzato e open-label, che ha confrontato l'efficacia dello switch a CAB + RPV long-acting, LA (con o senza oral lead-in) con la prosecuzione della terapia orale con bictegravir/emtricitabina/tenofovir alafenamide (B/F/TAF) in soggetti adulti virologicamente soppressi, dimostrandone la non inferiorità (Figura 4) (Ramgopal MT et al, abs#191).

Le terapie LA, oltre ad essere un’alternativa per coloro che le preferiscono alla TARV giornaliera orale, rappresentano un valido strumento da utilizzare nelle popolazioni “difficili” che mostrano scarsa compliance alla TARV orale. M. Gandhi et al. ha presentato i dati provenienti dalla Ward 86 HIV Clinic di San Francisco, dove la terapia LA è stata somministrata in pazienti con scarsa aderenza e problematiche sociali (homeless, abuso di sostanze, malattia mentale) anche in soggetti che avevano carica virale non soppressa. Alla 42° settimana tutti i pazienti avevano raggiunto soppressione virologica (abs#518).

Al CROI 2023 sono stati presentati diversi dati sull’utilizzo di CAB LA come PrEP e alcune presentazioni si sono focalizzate sulle nuove infezioni da HIV in corso di farmaci LA.

R.J. Landovitz ha descritto le caratteristiche delle nuove infezioni da HIV nei pazienti in PrEP con terapie LA. Si tratta di infezioni prevalentemente asintomatiche, con lenta replicazione virale, con RNA virale presente a più basse copie o talvolta non rilevabile e con una produzione di Ab diminuita o ritardata. Ciò comporta che i test diagnostici abitualmente utilizzati possano risultare negativi pur in presenza di infezione, con possibilità anche di test prima positivi e poi negativi, rendendo più difficoltosa la diagnosi (abs#160). D’altro canto, la diagnosi precoce delle nuove infezioni da HIV nei soggetti in PrEP con CAB LA risulta fondamentale per evitare che la prolungata esposizione del virus ad un singolo antivirale porti all’insorgenza di resistenze agli inibitori dell’integrasi.

Quali novità in ambito LA aspettarsi dal futuro? J.J. Eron ha illustrato dati preliminari dell’utilizzo di lenacapavir, un inibitore del capside, in associazione agli anticorpi neutralizzanti teropavimab e zinlirvimab che permettono la somministrazione della TARV ogni 6 mesi (abs#193), mentre altri gruppi hanno presentato i dati della sperimentazione su animale di formulazioni ultra-LA contenenti CAB (Young I et al, abs#991) e bictegravir (Nayan MS et al, abs#540).


Mental health and HIV

Gabriele Pagani, Ospedale di Legnano

Si amplia l’interesse non solo dal punto di vista farmacologico ma anche psicologico, per il benessere delle persone con infezione da HIV, al centro di una intera sessione scientifica.

Parra-Rodriguez L et al (abs.#469) hanno studiato gli effetti delle più comuni combinazioni di antiretrovirali sulla sintomatologia depressiva nelle donne che vivono con infezione da HIV, arruolando 1538 donne dalla coorte Women’s Interagency HIV Study (WIHS), e suddividendo le partecipanti in tre gruppi sulla base della gravità della sintomatologia utilizzando uno score longitudinale per la depressione (CES-D).

La novità di questo studio è il non essersi concentrato sugli effetti dei singoli farmaci, ma sulle combinazioni (utilizzando un modello Bayesiano). Gli autori concludevano che, oltre alla nota associazione tra sintomatologia neuropsichiatrica e INSTI e NNRTI (in particolare EFV), esiste anche un’associazione significativa tra sintomi depressivi e combinazioni contenenti TAF e PI boosted, mentre non risultavano associati TDF né PI unboosted. Gli autori concludono esortando a considerare le combinazioni tra farmaci negli studi futuri.

Meeder EMG et al (abs.#472) hanno analizzato su una coorte multicentrica europea (2000HIV) di 1615 pazienti la prevalenza di sintomatologia psichiatrica utilizzando un network-model (Ising) per correlare tra loro i dati riguardanti l’abuso di sostanze, ansia e depressione, impulsività, qualità di vita e aderenza alla TARV. La coorte, principalmente olandese, si distingueva per un’alta prevalenza di abuso di sostanze.

Fig 5Per quanto riguarda la sintomatologia psichiatrica, la depressione era presente nel 6% circa dei soggetti, mentre il 9% riferiva sintomi ansiosi. Inoltre, circa l’8% era classificabile come “altamente impulsivo”. La sintomatologia ansioso-depressiva, l’abuso di sostanze e i fattori di rischio sessuali risultavano collegati fra di loro ed in particolare i sintomi depressivi incidevano sulla QoL. È invece interessante notare come nessun collegamento sia stato trovato tra l’aderenza alla TARV e la sintomatologia ansioso-depressiva o l’abuso di sostanze (Figura 5).

Petersen KJ et al (abs.# 475) e Rakshasa-Loots AM et al. (abs.#476) hanno approfondito la nota associazione tra infiammazione cronica e depressione.

I primi hanno studiato diversi marker infiammatori in una coorte comprendente sia PLWH sia PLWoH (person livinh without HIV), concentrandosi sulle differenze tra sierostato e tra sesso biologico, trovando un’associazione tra IL-6 e sintomi depressivi (rilevati utilizzando la scala BDI-II, che risultava più forte nel sesso maschile. Il sierostato non risultava invece indipendentemente associato a depressione (più frequente in ogni caso nei PLWH in quanto presentanti livelli di marker infiammatori mediamente più alti).

I secondi hanno invece utilizzato 125 PLWH dalla coorte inglese COBRA, confrontandoli con un analogo gruppo di 79 PLWoH, concentrandosi sui marker neuroinfiammatori (marker su liquido cefalorachidiano, LCR, e sangue, neuroimaging), trovando una correlazione significativa con i livelli plasmatici di TNF-alfa e MIG (un mediatore della chemotassi) ed i livelli di IL-6 e MIP1 (altro mediatore della chemotassi) misurati su LCR. Non hanno invece trovato alcuna associazione con cambiamenti al neuroimaging, ipotizzando quindi un processo periferico più che centrale. Fra i limiti dello studio vale la pena citare la mancanza di diversità etnica e di genere e il numero relativamente ristretto di pazienti.

Una linea di ricerca poco rappresentata nello studio di PLWH, seppur gravemente impattante sulla qualità di vita e sulle funzioni cognitive, è relativa ai disturbi del sonno, affrontata da Dastgheyb RM et al (abs.#473), che si concentrano sull’associazione tra performance neuropsicologiche e disturbi del sonno (sfruttando la medesima coorte interamente femminile WIHS già citata nell’abs.#469, stratificando in due gruppi, uno presentante performance neuropsicologiche normali e l’altro con impairment al baseline), trovando un’associazione nei soggetti che già presentavano deficit neuropsicologici, ma non nei pazienti con performance normale al baseline. Nel primo di questi gruppi sono in particolare risultati associati la scarsa qualità del sonno e il deficit dell’attenzione, della memoria di lavoro e della velocità di processazione delle informazioni. Più in particolare al deficit delle funzioni esecutive erano associati frequenti risvegli notturni, russamento, durata del sonno inferiore alle 6 ore; risultavano associati a deficit nella capacità di processazione delle informazioni risvegli notturni ed incubi e associato a deficit dell’attenzione il sonno <6 ore.

Vale la pena citare anche lo studio della nostra connazionale D. Zizoli et al., che ha studiato su modello animale (Pesce Zebra) l’interazione tra dolutegravir (DTG) e recettori dopaminergici, utilizzando la riduzione del movimento in relazione al cambiamento di luce ambientale come proxy di sintomatologia ansiosa (modello animale precedentemente validato), trovando che la supplementazione di folati è efficace nel prevenire la riduzione nel movimento causata dall’esposizione a DTG. Il loro è il primo studio a dimostrare (su modello animale) l’interazione diretta tra DTG e metabolismo della dopamina, aprendo contemporaneamente un possibile approccio farmacologico alla prevenzione dei sintomi neuropsichiatrici.


Mpox

Valentina Mazzotta, INMI L.Spallanzani, Roma

Nonostante l’attuale calo dei casi di mpox a livello globale, il CROI conferma l’importanza di continuare la ricerca sulle questioni ancora irrisolte di questa nuova pandemia

Il tema che ha fatto più eco a Seattle è stata la descrizione di forme più severe di mpox in pazienti con infezione da HIV con conta di linfociti T CD4 inferiore a 350 cellule/mmc, da parte di C. Orkin della Queen Mary University di Londra.

Tramite la rete SHARE-NET sono stati raccolti in 19 paesi del mondo 382 casi di mpox (Mitijà O et al.) di cui circa il 10% non era a conoscenza dell’infezione da HIV al momento della diagnosi di mpox e, tra coloro con nota sieropositività, solo il 60% era in trattamento antiretrovirale (di cui solo metà con soppressione virologica). Il 7% aveva ricevuto la vaccinazione per mpox. I pazienti con più bassi CD4 presentavano eruzioni cutanee più invasive, spesso con caratteristiche necrotizzanti, e contemporaneo coinvolgimento multiorgano.

La mortalità nei pazienti con conta dei CD4 minore di 100 cellule/mmc si avvicinava al 30% e, a parità di numero di CD4, la mortalità era più alta nei soggetti con viremia HIV incontrollata.

Il gruppo di SHARE-NET ha evidenziato il possibile rischio di sindrome da immunoricostituzione (IRIS) in coloro che assumevano la terapia antiretrovirale (o per la prima volta o la riprendevano dopo molto tempo), con manifestazioni di mpox più gravi e ha proposto l’introduzione delle forme invasive di mpox nell’elenco delle patologie opportunistiche AIDS-defining.

I temi affrontati dalla maggior parte dei poster riguardavano le disparities nell’accesso al test HIV, agli antivirali e alla vaccinazione (Woodhouse EW et al. abs#1003, Mara ES et al. abs#1000), la dinamica virale (Spagnuolo V et al. abs#291, Matic N et al. abs#953, Castagna A et al. abs#293) e la variabilità genomica dei ceppi circolanti (Ghosn J et al. abs#236).

La risposta immunitaria e la sua persistenza dopo infezione da mpox è stata oggetto di due poster (Benet S et al. abs#378, Mazzotta V et al. abs#376) che mostravano la discesa a tre mesi dall’infezione dei titoli anticorpali e la contemporanea espansione delle cellule T memoria/effettrici, suggerendo la persistenza della protezione immunitaria.

Rispetto alla vaccinazione con MVA-BN (terza generazione Ankara modificato), sono stati presentati risultati sull’implementazione dei programmi vaccinali (Oom A et al. abs.#1001), sulla modalità di somministrazione intradermica risultata più reattogena e immunogena di quella sottocutanea (Mazzotta V et al. abs#364) e dati a supporto dell’effettuazione di una schedula vaccinale consistente in due dosi anche negli individui precedentemente vaccinati per vaiolo e specialmente se con infezione da HIV, al fine di migliorare la risposta neutralizzante e T cellulare (Mazzotta V et al. abs#374) (Figura 6).

Fig 6

Data la difficoltà tra i centri di standardizzare le metodiche di misurazione dei titoli anticorpali, sono state presentate proposte di nuovi test mpox specifici (Kupritz J et al. abs#379) da validare su larga scala.


HBV cure and other viral infections

Vincenzo Malagnino, Università Tor Vergata di Roma

Necessario un utilizzo routinario dei nuovi marcatori per valutare il reservoir di infezione e l’efficacia della terapia in senso più ampio della sola soppressione virologica e controllo dell’evoluzione di fibrosi e danno epatico in attesa di nuove prospettive di trattamento

Il percorso verso la cura dell’infezione da HBV non potrà prescindere dall’eradicazione del cccDNA e dell’HBV integrato. Questo il messaggio della lettura di A. Lok (abs. #16). Alla luce dei risultati dei lavori concernenti la coinfezione HIV/HBV presentati, che descrivono un decay estremamente limitato di cellule infette in corso di terapia antivirale con NUC in pazienti HBeAg negativi (Taddese M, abs#115) e la rara perdita dell’antigene S (15.8% a 5 anni nei coinfetti HIV/HBV nello studio condotto in Zambia dal gruppo di G. Wandeler della coorte svizzera) (abs#587), il follow-up del paziente HBV monoinfetto o coinfetto HIV/HBV dovrà basarsi sull’uso routinario dei nuovi marcatori di infezione.

Lo dimostra un lavoro della coorte svizzera, guidata in questo caso da Begré L (abs#586), in cui il decay di HBV-RNA e HBcrAg, surrogati di cccDNA, misurati in corso di terapia antivirale con TDF/TAF, vengono correlati ad un raggiungimento più frequente di rilevazioni di HBsAg <0.05 UI/ml (definizione nello studio di cura funzionale).

Riguardo la progressione di fibrosi epatica e condizione di ESLD, il già citato studio africano conferma il ruolo degli antivirali TDF/TAF nel mantenere in pazienti HIV/HBV coinfetti la soppressione virologica di HBV, controllare la progressione della fibrosi e in ESLD e permettere una seroclearance di HBsAg maggiore rispetto ai pazienti monoinfetti HBV (Vinikoor M, abs#587). Alla luce di questi dati in pazienti trattati con NUC, diventa ancor più rilevante l’aggiornamento dei risultati a 48 settimane dello studio Alliance (Avihingsanon A, abs#116) sui pazienti coinfetti HIV/HBV: maggior tasso di soppressione di HBV-DNA nei pazienti con TAF rispetto a TDF e di perdita dell’antigene S in pazienti con CD4 >200 cellule/mmc.

In evidenza l’unico lavoro sulla coinfezione HIV/HBV/HDV di una coorte real life francese di pazienti in trattamento contenente TDF/TAF con accesso a bulevirtide al dosaggio di 2 mg QD con o senza PEG IFN, in cui i dati a un anno descrivono una risposta biochimica e virologica graduale nel tempo (un anno di osservazione) sostanzialmente sovrapponibile nei sottogruppi con o senza PEG IFN nell’analisi ITT (De Lédinghen V, abs#586) (Figura 7).

Fig 7

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