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I primi 40 anni di HIV/AIDS | In occasione del quarantennale, il...

In occasione del quarantennale, il ricordo delle scoperte che...

N.4 2021
Editoriale
I primi 40 anni di HIV/AIDS

Adriano Lazzarin
Divisione di Malattie Infettive, IRCCS S. Raffaele, Università Vita-Salute, Milano

In occasione del quarantennale, il ricordo delle scoperte che hanno consentito di raggiungere monumentali successi nella lotta contro HIV/AIDS e l’auspicio per il prossimo futuro di vedere realizzati l’eliminazione dell’epidemia, l’eradicazione dell’infezione, la messa a punto di un vaccino e la fine dello stigma.

 

1981/2021: ReAd files partecipa con piacere alle numerose “celebrazioni” che ricordano questo quarantennale di scoperte/invenzioni che hanno consentito di raggiungere monumentali successi nella lotta contro HIV/AIDS. I brevi articoli che seguono sono dei “documentari“ dei fatti vissuti in prima persona che hanno portato a quasi vincere questa micidiale sfida che ha avuto inizio con la notifica dei primi casi quarant’anni fa. Va sottolineato però che ripercorrere quanto è accaduto senza contestualizzarlo con quanto accadeva nella società oltre che nella sanità e soprattutto senza accompagnarlo con la enorme carica di pathos, di paura, di emozione, di entusiasmo, di solidarietà, di speranza, di deteminazione etc, con le quali questi fatti sono stati vissuti da molti di noi ne impoverisce purtroppo la narrazione. Senza gli stessi ingredienti, i prossimi obiettivi come l'eliminazione dello stigma, la terapia antiretrovirale a tutti gli aventi diritto (terzo mondo!!!), l'eradicazione di HIV, il vaccino per la prevenzione dell'infezione, ed infine l'eliminazione dell'epidemia sembreranno difficili da raggiungere nei prossimi anni.

Il report di un cluster di polmoniti da P. carinii tra giovani gay di Los Angeles del giugno 1981 è la prima notifica di casi inusuali sempre più numerosi che cominciavano a destare preoccupazione nei colleghi d’oltreoceano e di fatto si configura come l’annuncio di una nuova inaspettata epidemia destinata a lasciare un segno indelebile nella storia della medicina e della umanità. Come spesso accade i casi sintomatici/morti sono un segnale tardivo della diffusione epidemica di una infezione virale perché ne rappresentano solo una piccola parte, la classica punta dell’iceberg. La nuova sindrome (da immunodeficienza acquisita-AIDS) viene via via arricchita dalla osservazione di infezioni da patogeni opportunisti, mai visti prima se non in via del tutto eccezionale nell’uomo (criptosporidiosi atipiche e micobatteri), e da tumori a diffusione epidemica (come il sarcoma di Kaposi) e si configura da subito come una malattia gravissima molto complessa ad eziologia ignota non facile da inquadrare anche sotto l’aspetto nosografico perché completamente nuova: una sfida micidiale da iniziare immediatamente e da vincere in fretta per la sua elevatissima mortalità. Nonostante il fulmineo sviluppo della diagnostica avanzata per le infezioni opportunistiche e il necessario adeguamento della assistenza in emergenza ai bisogni di cure conseguenti alla esplosione della epidemia di cui nei paesi industrializzati ci siamo potuti avvalere, i risultati in termini di successi terapeutici sono stati nei primi anni demoralizzanti (nei primi anni il burn-out del personale medico e paramedico in buona parte indotto dal senso di frustrazione per l’insuccesso delle cure era molto alto!). Motivo principale l’inevitabile recidiva della OI, anche dopo temporanea remissione, perché non veniva rimossa la causa reale che ne era alla base cioè il deficit di linfociti CD4. La spinta alla ricerca dell’agente causale è stata fortissima in tutta la comunità scientifica e la agognata scoperta del virus della immunodeficienza umana da parte di Montagnier/Barrè Sinoussi e di Gallo tre anni dopo i primi casi di AIDS è stata accolta con grande entusiasmo ed ha dato uno slancio eccezionale alla ricerca scientifica. La scoperta va contestualizzata agli inizi degli anni 80 del secolo scorso quando pochissimi laboratori di microbiologia di alto livello erano in grado di fare ricerca virologica: l’identificazione del retrovirus (human immunodeficiency virus type 1) è stata - e così è stata vissuta - la scintilla che non solo ha portato a lottare contro l’AIDS in modo completamente diverso ed efficace ma che ha anche radicalmente cambiato il modo di affrontare le malattie causate da virus ed ha fatto esplodere la diagnostica virologica molecolare (PCR e sequenziamento).

Sinergiche a sostegno di questa impresa le coincidenti e contemporanee messe a punto di metodiche laboratoristiche che hanno dato la possibilità di fare diagnosi di infezione su larga scala (ELISA) e di stadiare la malattia da HIV, con l'analisi al citofluorimetro delle sottopopolazioni linfocitarie (CD4), bersagli di HIV e driver della storia naturale dell'infezione nella sua allora inarrestabile corsa verso la malattia conclamata. 

Il modo di affrontare l’AIDS nella pratica clinica ha lasciato delle tracce indelebili nei percorsi di assistenza, diagnosi e cura delle infezioni dell’ospite immunocompromesso e dato inizio ad una era in cui malattie infettive come PML, CMV, micobatteriosi, criptococcosi, criptosporidiosi, pneumocistosi e neurotoxoplasmosi (OI così frequenti nell'ospite con deficit di CD4 da essere considerate AIDS-defining) hanno cominciato ad avere i loro standard di diagnosi e cura (almeno transitoria). La visione drammatica che ricordiamo dei primi anni di AIDS ed il suo devastante impatto su salute, comportamento e sentimenti dei giovani di un’intera generazione è una rappresentazione molto reale dei fatti. Agli operatori sanitari che se ne sono occupati si è imposta una dedizione totale alla causa, seppur solo in pochi casi seguita da successi terapeutici: è stata in ogni modo una fondamentale palestra di formazione professionale per medici e infermiere/i delle cliniche di malattie infettive. 

La scoperta del nuovo virus è stata il fattore che ha generato una eccitazione ed una passione nella ricerca di base ed applicata fino ad allora sconosciute. Le caratteristiche di HIV, la sua integrazione con le cellule bersaglio, il suo particolarissimo rapporto con l’ospite (le difese immunitarie, i santuari), il suo ciclo replicativo per cercare di garantirsi la sopravvivenza nell’ospite per lungo tempo hanno scatenato un interesse scientifico trasversale che ha portato, passo dopo passo, ad una ampia conoscenza (quasi completa) delle caratteristiche e del ciclo di replicazione del "nemico". Se riconoscere l’agente causale dell’AIDS è stata una grande scoperta, la terapia antiretrovirale è stata una grande invenzione (fino ad allora la terapia delle malattie virali era limitata ad aciclovir per gli herpes virus o poco più): per una decina di anni (David Ho Time Man of the year 95 e Vancouver declaration del 96 sull’efficacia della triplice HAART) partendo da un background praticamente inesistente una rete di collaborazione internazionale interdisciplinare di ricercatori, pazienti, clinici, istituzioni, industria ha saputo costruire un itinerario di ricerca e sviluppo di farmaci antiretrovirali che, seppur tortuoso con prove e controprove, risultati favorevoli e sfavorevoli, ha portato al controllo della infezione da HIV.

Le innumerevoli ricerche fatte sulla storia naturale della malattia non sono più soltanto di grandissimo interesse teorico ma acquistano un valore inestimabile (seppur nella loro semplificazione in CD4 e viremia) come markers surrogati sia di progressione o meno di malattia, sia di efficacia della terapia. La quasi scomparsa di alcune OI e EKS e la apparizione degli “AIDS revertant” sono segnali evidenti e molto forti che siamo di fronte ad una svolta epocale nel controllo della malattia e forse dell’epidemia.

Parafrasando Leonardo da Vinci (ciò che sappiamo è molto ma quello che non sappiamo è troppo) senza nulla togliere all’importanza di ciò che è stato fatto finora, molto è ancora quello che resta da fare!

In un breve editoriale ci si deve limitare a considerazioni sulla storia dell’AIDS nel nostro Paese non dimenticando che rappresenta ancora oggi il principale problema di salute pubblica in molti altri paesi del mondo. Va ricordato peraltro che la lotta all’AIDS ha creato sinergie, alleanze, collaborazioni, "complicità" (nella logica di global health) tra ricchi e poveri, tra pubblico e privato, tra salute e società prima sconosciuti o poco praticati. Purtroppo anche la più tenace ed integralista/integerrima politica del "non lasciare indietro nessuno", che ha, come esempio paradigmatico, la messa a disposizione dei farmaci antiretrovirali nei paesi a risorse limitate, a prezzi contenutissimi, si va concretizzando ancora troppo lentamente e lascia intravedere limiti insormontabili alla sua completa realizzazione (90/90/90 UNAIDS Programme). 

Riflessione telegrafica sul modo in cui l’AIDS è stato affrontato e combattuto in Italia e di cui parlano gli articoli che seguono: seppur (col senno di poi) in tempi non brevi, l’intervento dello Stato venne pianificato: legge 135/9, commissione nazionale e regionali AIDS, Centro operativo AIDS, destinazione breve/medio termine di risorse per l’assistenza e per la ricerca. Ospedali di riferimento con centri di malattie infettive, assistenza domiciliare, hospice, esenzione ticket per patologia etc etc ne sono una prova tangibile. Ma una più sentita, almeno per quanto mi riguarda, citazione meritano i programmi di ricerca MdS/ISS, pilastri concreti sui quali sono stati costruiti i risultati (eccellenti) ottenuti in termini di salute e conoscenza. 

Luci e ombre sul fronte epidemiologico. Da una parte va considerata ed apprezzata la notevole massa di informazioni che sono state raccolte all’esplodere dell’epidemia con l’avvenuta disponibilità del test di diagnosi sierologica, che ha permesso di diagnosticare le persone HIV positive e di conoscere la ragnatela della trasmissione di HIV, portando rapidamente laddove possibile all’azzeramento delle infezioni per via trasfusionale o attraverso gli emoderivati ad esempio. Per contro il fuorviante tracing centrato sui comportamenti a rischio, che ancor oggi proietta l’ombra dello stigma sulle persone sieropositive o sospette tali, è tra le principali cause del “sommerso” responsabile del persistere dell’epidemia.

I primi 40 anni saranno certamente il trampolino di lancio per raggiungere gli obiettivi dei prossimi 40, nei quali speriamo possano essere realizzati quei sogni che ci hanno accompagnato fino a qui: eliminazione dell'epidemia da HIV, eradicazione dell'infezione (o almeno lunghi periodi di remissione dopo la interruzione pianificata della HAART (ATI) in alcuni casi con viremia soppressa!), nuove classi di farmaci antiretrovirali diretti contro target diversi, vaccino terapeutico e/o preventivo (in alternativa alla profilassi farmacologica di cui già disponiamo), fine dello stigma. Tutti obiettivi che vanno inseriti in un contesto di abolizione delle differenze tra i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo e tra emarginati e non, dovunque. Tra i sogni metterei anche il moderno tema della transizione dalla salute al benessere che per i sieropositivi trattati può essere sintetizzato nello slogan del quarto 90, che appare integrare al meglio i percorsi assistenziali in senso stretto a quelli più orientati al miglioramento della salute mentale e di qualità della vita della persona nel suo complesso. 

Gli appaganti risultati finora ottenuti, soprattutto con i farmaci antiretrovirali che hanno scacciato gli incubi di una incalzante epidemia e di una malattia letale nei primi quarant’anni non devono essere un deterrente alla necessità e volontà di mettersi in gioco per puntare ad obiettivi diversi e più ambiziosi. 

La maratona che ha caratterizzato la messa a punto della terapia antiretrovirale che ha visto lo sviluppo e la commercializzazione di molte molecole di diverse classi di farmaci, da sole o in fixed doses combination, non ha avuto solo l'efficacia come obiettivo, ma anche la tollerabilità a breve/medio/lungo termine come driver del processo di ottimizzazione che ha portato anche in termini di "convenience" alle indicazioni di cura di maggiore attualità come STR e same day treatment. Va ricordato che in pochissimi anni la più parte degli analoghi nucleosidici (timidinici) e degli inibitori delle proteasi (di prima generazione) non sono sopravvissuti al lungo percorso di ottimizzazione della cART. Le aspettative e la necessità di un ricambio per l'insorgenza di resistenze a tre/quattro classi di ARV che penalizza oggi l’efficacia della cura negli HTE/MDR sono una priorità non procrastinabile. Nei prossimi anni credo si debba puntare principalmente, oltre che su una convincente policy di soluzione per il controllo della replicazione di HIV multiresistenti, su programmi di semplificazione della terapia a lungo termine: long-acting drugs o altre immaginifiche strategie terapeutiche che possano sostituirsi alla chemioterapia diretta contro i target enzimatici di cui disponiamo attualmente.

Negli articoli dedicati ai primi 40 anni di AIDS, che seguono su questo numero di ReAd files e che sono focalizzati sulle diverse tessere che compongono il mosaico dei passaggi chiave che hanno caratterizzato la storia della lotta all’AIDS, verranno esposti dagli autori in modo più dettagliato ed articolato gli argomenti cui ho fatto menzione.

La ricerca, in particolare quella di base, è il filo di Arianna che traccia il percorso dei loro interventi tematici. Le storie che ci raccontano hanno come pilastri a loro supporto i grandi temi della ricerca di base e clinica senza i quali non si sarebbe potuto sconfiggere un avversario così micidiale. La scoperta del virus in primis ma anche la messa a punto delle metodiche di diagnosi immuno-virologiche sono il presupposto fondamentale dei successi della clinica descritti da Antonella d’Arminio Monforte. Gli intriganti aspetti sulla eziopatogenesi della immunodeficienza, il ruolo di cofattore che HIV ha in altre patologie soprattutto oncologiche, l'interazione con il genoma dell’ospite, la scoperta di target per interromperne la replicazione hanno fatto esplodere quella fase di rinascimento della ricerca virologica così ben orchestrata (una volta tanto), come dice Beppe Ippolito, anche in Italia. Ed infine la coinvolgente storia che ci racconta Filippo von Schloesser mette in evidenza il ruolo cardine della terapia antiretrovirale nel sovvertire le aspettative di vita delle persone sieropositive. Tutto questo non rende giustizia all’enorme contributo dato dalla ricerca di base ed ai suoi più o meno visibili protagonisti, che non solo hanno portato ai tangibili risultati ricordati negli articoli che pubblichiamo, ma anche e soprattutto hanno fatto esplodere l'interesse per le conoscenze di virologia, immunologia, medicina molecolare che hanno fatto fare un balzo in avanti alla ricerca con ricadute in tutti i campi della medicina. Chi avrebbe detto quarant'anni fa che HIV sarebbe stato "addomesticato" fino a farne un candidato vettore di terapia genica!! Descrivere con maggiori dettagli questi aspetti delle scoperte dei laboratori dedicati, che sono i presupposti per vincere le sfide del futuro come "HIV CURE", è un compito che ci assumiamo per l’anno prossimo al di là dell'occasione della celebrazione del quarantennale. 

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