ReAd files - Trimestrale di aggiornamento medico - Fondata da Mauro Moroni
cerca

La biopsia epatica nella diagnostica non neoplastica: quale...

Metodica consolidata ed attendibile per definire diagnosi e...

N.1 2022
Clinica
La biopsia epatica nella diagnostica non neoplastica: quale ruolo oggi

Ezio David 
Specialista in Anatomia Patologica e Gastroenterologia, già Dirigente I° livello Anatomia Patologica Città della Salute e della Scienza di Torino
 

Metodica consolidata ed attendibile per definire diagnosi e stadio di malattia, la biopsia epatica rimane un elemento fondamentale nella valutazione di situazioni complesse e ad etiologia plurifattoriale come l’insufficienza epatica acuta, le epatiti autoimmuni, la sindrome overlap, le colestasi di lunga durata e le steatoepatiti

 

Tradizionalmente l’iter diagnostico delle epatopatie croniche si concludeva con la biopsia epatica (BE). Nelle decadi passate il maggior interesse epatologico era rappresentato dall’epatite virale tipo B e C che richiedevano la biopsia per definire lo stadio fibrotico ed il grado infiammatorio come elementi di valutazione per la cura e la prognosi della malattia (score di Ishak, Metavir). Sono ora disponibili metodiche di laboratorio e strumentali non invasive che portano alla definizione eziologica e strutturale della malattia virale nella gran maggioranza dei casi; soprattutto sono state sviluppate efficaci terapie che affrontano con successo ogni tipo clinico ed istologico delle malattie virali e rendono dunque superfluo il preliminare esame bioptico.

La biopsia rimane utile quando i dati complessivi clinici ed analitici non consentono di definire la natura della malattia, se dovuta a danno parenchimale o biliare, steatosi, o danno degenerativo tossico; a fronte della natura comunque invasiva della biopsia, negli anni recenti è maturata sensibilità a rivolgersi alla biopsia epatica soprattutto quando ne deriva presumibilmente un vantaggio non solo diagnostico, ma anche terapeutico. Ad esempio, di fronte ad anomalie isolate degli enzimi epatici senza segni clinici di epatopatia evolutiva, l’atteggiamento più corretto appare ora essere la sorveglianza, mentre si ricorre alla biopsia solo in caso di evidente progressione della malattia; in questo contesto l’esame istologico può essere nondimeno risolutivo dimostrando ad esempio malattia di Gaucher, malattia di Tangier, accumulo di fibrinogeno, amiloidosi, malattia di Wilson, lesioni epatocellulari che richiamano al deficit di alfa 1 antitripsina.

Attualmente la BE trova indicazione in situazioni complesse, ad etiologia plurifattoriale, soprattutto l’insufficienza epatica acuta, le epatiti autoimmuni, la sindrome cosiddetta overlap, le colestasi di lunga durata, le steatoepatiti; seppure la richiesta di BE sia significativamente diminuita da vari anni, nella pratica corrente sono posti al patologo quadri istologici di più difficile interpretazione e che richiedono un maggiore impegno diagnostico (1).

Le principali problematiche diagnostiche attuali

Epatiti ad esordio acuto di natura non determinata (Acute Liver Failure, ALF)
Sono situazioni in cui la BE, condotta preferenzialmente per via transgiugulare, serve a valutare l’entità del danno acuto, che spesso insorge su epatite cronica, ai fini di una rapida decisione trapiantologica. In questo contesto la BE può anche rilevare possibili indizi eziopatogenetici quali l’origine autoimmune, tossica o vascolare del danno (sindrome di Budd Chiari) (2).

Epatiti autoimmuni (AIH) e sindromi autoimmuni overlap (Overlap Syndrome, Sindrome OS)

  • Epatiti autoimmuni. La diagnosi viene spesso suggerita dall’insieme dei dati clinici/sierologici/immunologici (autoanticorpi) e confermata da lesioni istologiche tipiche quali l’interface hepatitis, l’infiltrato linfo-plasmocitico portale con associato interessamento lobulare, l’emperipolesi (presenza di linfociti T all’interno del citoplasma epatocitario) e rosette epatocitarie.
    Non raramente l’esame clinico non è suggestivo e la diagnosi è solo istologica. Nel 25% dei casi l’esordio è acuto con necrosi estesa e perivenulite; l’istologia serve a distinguerlo da altre situazioni acute gravi, quali intossicazioni o virosi ad eziologia sconosciuta. La motivazione per ottenere quanto prima la biopsia è che le AHI possono evolvere molto rapidamente verso la cirrosi ed il loro accertamento istologico consente di instaurare subito la terapia immunosoppressiva che ne previene l’evoluzione (3, 4).
  • Sindrome OS. Colestasi, aumento degli enzimi APH e GGT associate a AIH classica identificano l’OS, di cui si riconoscono tre fenotipi (Tabella 1) che istologicamente sono caratterizzati da vari elementi morfologici in varia combinazione: danno infiammatorio dei dotti biliari (proliferazione duttulare, colatostasi, edema portale, fibrosi periduttulare e duttupenia), associati a lesioni epatitiche croniche (lymphocitic portal infiltrate, interface hepatitis) (Figura 1) (5).
    Portano alla diagnosi di OS la combinazione dei seguenti dati clinici:
    • persistenza di GGT elevate in AIH durante il trattamento corticosteroide
    • positività per anticorpi anti-mitocondrio (AMA) in AIH associata a lesioni istologiche di colangite biliare primitiva (PBC)

    con le seguenti lesioni istologiche:

    • AIH associata a danno biliare di colangite florida, distruttiva o fibrosi obliterativa periduttulare concentrica.

Ulteriore conferma può venire dallo studio radiologico dell’albero biliare con Risonanza Magnetica (5, 6).

Colestasi indeterminate e ricorrenti
Il termine colestasi comprende un ampio numero di condizioni patologiche (Tabella 2). Compito principale del patologo è distinguere la colestasi intraepatica dall’extraepatica, quest’ultima spesso suggerita dalla dilatazione delle vie biliari in Risonanza Magnetica. L’intraepatica è dovuta per lo più a danno tossico, epatite virale, sepsi o alterazioni del meccanismo di secrezione biliare, l’extraepatica a danni ostruttivi (litiasi, carcinoma del pancreas, stenosi dell’albero biliare …) (7).

Chiavi di lettura dell’etiologia tossica sono la steatosi, la presenza di eosinofili, granulomi e gli epatociti ground-glass-like. Il danno biliare tossico può evolvere nella cosiddetta vanishing bile duct syndrome (Figura 2).

Caratteristiche istologiche dell’ostruzione extraepatica sono l’edema portale, l’infiltrato neutrofilo, la reazione duttulare; nei casi di subostruzione il reperto morfologico è più sfumato e aspecifico.

La colestasi protratta per mesi o anni determina un effetto detergente da parte dei sali biliari che causa la degenerazione piumosa (feathery degeneration) degli epatociti periportali associata ad accumulo di proteine leganti rame e a corpi di Mallory periportali (7, 8). Ai fenomeni degenerativi e infiammatori consegue fibrosi, che può assumere aspetto puzzle-like e quindi evolvere in cirrosi biliare. Lesioni di questo tipo, associate a colangite cronica non suppurativa, sono caratteristiche della colangite primitiva biliare, della colangite autoimmune e della colangite sclerosante primitiva (PSC); la definizione diagnostica di quest’ultima è principalmente di competenza radiologica.

Nella diagnosi differenziale sono da considerare i casi più rari di colestasi di lunga durata quali le condizioni sindromiche e non sindromiche di malattie duttopeniche come la sindrome di Alagille, la colestasi familiare ricorrente, l’adulthood ductopenia.

Infine una situazione con caratteristiche istologiche peculiari è quello della colangiolite in corso di sepsi o shock (c.d. long standing cholangitis) caratterizzata da trombi biliari nei colangioli e pericolangiolite.

Steatoepatite non alcolica (NASH)
La BE rimane il gold standard diagnostico della NASH. Solo con la BE si può rilevare se v’è epatopatia infiammatoria indotta dalla steatosi o steatosi semplice e valutarne grado di attività e stadio di fibrosi che condizionano il rischio di progressione alla cirrosi. La NASH è caratterizzata da alterazioni cito-morfologiche quali la degenerazione idropica degli epatociti, peraltro di non banale valutazione, dalla componente infiammatoria lobulare e dalla fibrosi prevalentemente reticolare (Figura 3) non valutabili con le altre metodiche. Sono disponibili per la diagnosi anche score ecografici ed elastografici, ma trattandosi di metodiche che utilizzano sistemi di rilevazione fisica indiretta non sono sovrapponibili per accuratezza alla BE (9, 10).

L’accertamento istologico della NASH entra anche nella diagnosi differenziale con l’epatopatia alcolica e con cause metaboliche primitive (abetalipoproteinemia, malattia di Wilson) o secondarie (malattie infiammatorie intestinali idiopatiche, bypass digiuno-ileale, cachessia …).

Conclusioni

La BE rimane un elemento fondamentale nella valutazione delle malattie epatiche, la cui forza sta nell’esperienza lunga e consolidata e nella sua attendibilità per definire diagnosi e stadio di malattia. Di fatto la BE è una metodica di elevato peso diagnostico, richiede preparazione, patologi dedicati e rimane core element of Hepatology (1).

L’evidenza morfologica non sempre corrisponde alle aspettative che il quadro clinico aveva fatto presupporre: ad esempio un paziente obeso e diabetico con transaminasi alterate può presentare caratteristiche di AIH o di AIH e steatoepatite. Al contrario una AIH trattata, con steroidi, può mimare una NASH (1).

Negli anni sessanta il patologo era coinvolto nella diagnostica di epatiti nella maggior parte dei casi ad etiologia ignota, ma in realtà già da allora il suo vero compito, e peraltro il suo vero interesse, è stato quello di intercettare malattie solo su base morfologica.

L’attenta valutazione morfologica permette al patologo una obiettiva e iniziale descrizione del danno, ma alla diagnosi si giunge solo con una discussione collegiale, correlando i dati microscopici con quelli clinico-sierologici e di imaging; talvolta solo la revisione a posteriori dell’istologia, dopo adeguato follow-up, può essere l’elemento conclusivo.

La stretta collaborazione fra patologo e clinico è pertanto indispensabile per ottenere il massimo delle potenzialità di questo raffinato, ancorché invasivo, strumento diagnostico. Lo sviluppo di nuove tecnologie, dalle analisi digitali di immagini ad approfondimenti molecolari e caratterizzazioni immunofenotipiche multiple, certamente forniranno utili informazioni complementari all’avanzamento della precisione dell’indagine patologica (2, 3).

 

  1. Caldwell S. Liver biopsy: the reports of its demise are greatly exaggerated. Clin and Transl Gastroenterol. 2016; 7:e171 1-2.
  2. Van Leeuween DJ, Alves V, Balabaud C, et al. Acute-on-chronic liver failure 2018: a need for (urgent) liver biopsy? Expert Rev Gastroenterol Hepatol. 2018; 12:565-573.
  3. Stravitz RT, Lefkowitch JH, Fontana RJ, et al. Autoimmune acute liver failure: proposed clinical and histological criteria. Hepatology. 2011; 53:517-525.
  4. Hennes EM, Zeniya M, Czaja AJ, et al. Simplified criteria for the diagnosis of autoimmune hepatitis. Hepatology. 2008; 48:169-176.
  5. Czaja AJ, Carpenter HA. Autoimmune hepatitis overlap syndromes and liver pathology. Gastroenterol Clin North Am. 2017; 46:345-364.
  6. Sebode M, Hartl J, Vergani D, et al. Autoimmune hepatitis: from current knowledge and clinical practice to future research agenda. Liver Int. 2018; 38:15-22.
  7. Lefkowitch J. Histological assessment of cholestasis. Clin Liver Dis. 2004; 8:27-40.
  8. Li MK, Crawford JH. The pathology of cholestasis. Sem Liver Disease. 2004; 24:21-42.
  9. Franque SM, Marchesini G, Kautz A, et al. Non-alcoholic fatty liver disease: a patient guideline. JHEP Rep. 2021; 3:100322.
  10. Kleiner DE, Brunt EM, van Natta M, et al. Design and validation of a histological scoring system for nonalcoholic fatty liver disease. Hepatology. 2005; 41:1313-1321.

◂ Indietro

Richiedi gratuitamente la Newsletter
Richiedi gratuitamente
la Newsletter
×
icon