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Le terapie con anticorpi monoclonali/terapie biologiche per la...

N.3 2018
Percorsi clinici
La profilassi delle infezioni nel paziente trattato con anti-TNF

Luigi Ruffo Codecasa
SSD Tisologia Clinica e Preventiva, Centro Regionale di Riferimento per il Controllo della Tubercolosi, Istituto Villa Marelli - ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

Le terapie con anticorpi monoclonali/terapie biologiche per la cura di alcune patologie autoimmuni dovrebbero comportare un rischio di infezione inferiore rispetto alle terapie immunosoppressive tradizionali, ma in molti pazienti l’impiego di questi agenti aumenta il rischio di infezioni specifiche.

 

Numerose ed in continuo sviluppo per i benefici clinici che apportano sono le terapie con anticorpi monoclonali/terapie biologiche per la cura di alcune patologie autoimmuni (reumatologiche, dermatologiche, gastro-intestinali, oncologiche) (Tabella 1).

In teoria queste terapie dovrebbero comportare un rischio di infezione inferiore rispetto alle terapie immunosoppressive tradizionali, ma si è visto che l’impiego clinico di questi agenti in un vasto numero di pazienti nella popolazione (osservazione dopo la messa in commercio del farmaco) aumenta il rischio di infezioni specifiche, rischio che non era emerso negli studi clinici randomizzati controllati, dove risultava basso. E’ spesso difficile stabilire in questi pazienti, già ad alto rischio di infezione, in quale modo esse si possano sviluppare.

Queste terapie hanno come target alcune citochine e recettori cellulari di superficie. Il notevole incremento dell’incidenza di casi di tubercolosi (TB) in pazienti trattati con anti-TNF alfa accresce l’interesse nel suo ruolo fisiologico, rispetto ad altri recettori anticorpali.

TNF alfa sembrerebbe, infatti, non solo avere un ruolo fondamentale nella formazione del granuloma e nell’induzione dell’apoptosi dei macrofagi coinvolti nel contenere i primi passaggi dell’infezione tubercolare, subito dopo l’esposizione al micobatterio (1), ma anche in una successiva riattivazione da infezione latente (LTBI) a malattia attiva (Tabella 1 e 2).

Studi clinici randomizzati hanno inserito infliximab nel gruppo di fattori di rischio elevato (TB risk: 1,6-25,1) per l’attivazione della tubercolosi (TB), al pari di HIV, contatti stretti di casi di TB, trapiantati di organi, dializzati o affetti da insufficienza renale cronica (2). Il rischio di riattivazione esiste per tutti gli anti-TNF alfa, anche se un rischio minore sembrerebbe esistere per i farmaci biologici con recettore solubile.

Un interessante studio del 2017 di Lee EH et al. (3) ha evidenziato come l’incidenza della TB in pazienti trattati con antagonisti del TNF fosse aumentata anche in soggetti sottoposti a terapia preventiva (TP) per infezione tubercolare latente (LTBI) o che allo screening basale per la prevenzione dell’LTBI fossero risultati negativi.

Valutazione e percorso gestionale

Durante i primi mesi di terapia immunosoppressiva, ma anche successivamente a distanza di anni, è perciò sempre molto importante uno stretto monitoraggio clinico per individuare segni-sintomi di attivazione della malattia tubercolare. La TP deve essere offerta a tutti i candidati a praticare terapie biologiche con anti-TNF alfa. Lo screening e la TP per LTBI sono identici indipendentemente dalla malattia sottostante (artrite, psoriasi etc.). Anche le linee guida per la gestione dell’infezione tubercolare latente messe a punto dalle WHO nel 2015 (4), pensate per i Paesi ad incidenza tubercolare alta o medio-alta (incidenza di TBC ≥100 per 100.000 abitanti), inseriscono i pazienti candidati a terapie anti-TNF nel gruppo ad alto rischio di attivazione della TB e, quindi, enfatizzano lo screening per LTBI (sia con Test Mantoux che con Test IGRA) ed il successivo eventuale trattamento con TP prima di iniziare la terapia con anti-TNF.

Un approccio pratico al paziente affetto da patologia autoimmune e candidato a terapia immunosoppressiva, sia essa glucocorticoidea (prednisolone 20 mg/die o equivalenti per due o più settimane), con farmaci immunomodulatori o con farmaci biologici, non deve mai prescindere da un’accurata anamnesi per escludere precedenti contatti noti con casi di TB: un test Mantoux e un test IGRA, una radiografia standard del torace, per escludere esiti specifici mai trattati (5).

Si deve anche tener conto dei fattori di rischio paziente-correlati (per es. copatologie), oltre che delle variabili correlate alla terapia.

Opzioni terapeutiche

Per quanto riguarda le opzioni di trattamento le linee guida WHO (4) concordano nella equivalenza di efficacia per la terapia con isoniazide per 6 mesi e per 9 mesi, e per la terapia con rifampicina e isoniazide per 3 mesi, e con la sola rifampicina per 4 mesi. I regimi di trattamento consigliati devono essere scelti tenendo conto dell’efficacia, del rischio di epatotossicità e della compliance. La terapia con anti-TNF alfa può essere introdotta, secondo la maggior parte degli esperti almeno dopo 4 settimane di trattamento per LTBI. Pazienti screenati per LTBI e risultati negativi dovrebbero essere rivalutati, se nel frattempo non hanno iniziato la terapia biologica, almeno ogni 12 mesi; nel caso abbiano avuto contatto con casi di TB noti, lo screening e l’eventuale terapia per LTBI deve essere immediatamente garantita (6). Nonostante l’applicazione della terapia antitubercolare, numerose evidenze in letteratura indicano una significativa alta incidenza di attivazione della TB, soprattutto nei primi 12 mesi, nei pazienti sottoposti a farmaci anti-TNF (7).

Da alcuni studi è emerso che possibili fattori favorenti sarebbero da attribuire ad una compliance inadeguata alle linee guida per la terapia preventiva da parte del curante, ai test diagnostici attualmente disponibili non ottimali, ad una scarsa aderenza nell’assunzione della terapia preventiva da parte del paziente o ad una nuova infezione intercorsa. Nei pazienti con TB attiva il trattamento con anti-TNF alfa deve essere interrotto e laddove necessario reintrodotto, se possibile, alla fine del ciclo di trattamento anti-TB.

Alcuni studi hanno dimostrato che esiste la possibilità di terapia concomitante ma sono necessari studi di maggiore durata su gruppi più numerosi (8). In pazienti già trattati, in assenza di nuovi segni di malattia tubercolare, non è indicato un ritrattamento anti-TB per iniziare una terapia con anti-TNF alfa.

E’ auspicabile che, soprattutto in pazienti con malattie polmonari croniche sottostanti ed in trattamento con biologici, alla comparsa di sintomi respiratori/sistemici venga effettuata una attenta valutazione per TB e NTM (NonTuberculous Mycobacteria).

 

Bibliografia

  1. Delogu G, Sali M, Fadda G. The biology of mycobacterium tuberculosis infection. Mediterr J Hematol Infect Dis. 2013; 5(1):e2013070.
  2. JW Ai, Zhang S, Ruan QL, et al. The Risk of Tuberculosis in Patients with Rheumatoid Arthritis Treated with Tumor Necrosis Factor-α Antagonist: A Metaanalysis of Both Randomized Controlled Trials and Registry/Cohort Studies. J Rheumatol. 2015; 42(12):2229-37.
  3. Lee EH, Kang YA, Leem AY, et al. Active Tuberculosis Incidence and Characteristics in Patients Treated with Tumor Necrosis Factor Antagonists According to Latent Tuberculosis Infection. Sci Rep. 2017; 7(1):6473.
  4. Guidelines on the management of latent tuberculosis infection. World Health Organization 2015.
  5. Abreu C, Sarmento A, Magro F. Screening prophylaxis and counselling before the start of biological therapies: a practical approach focused on IBD patients. Digestive and liver disease 2017; 49:1289-1297.
  6. Duarte R, Campainha S, Cotter J, et al. Position paper on tubercuolosis screening in patients with immune mediated inflammatory diseases candidates for biological therapy GE J Port Gastrenterol. 2012; 19(6):290-299.
  7. Sichletidis L, Settas L, Spyratos D. Tuberculosis in patients receiving anti-TNF agents despite chemoprophiyaxis Int J Tuberc Lung Dis 2006; 10(10):1127-1132.
  8. Matsumoto T, Tanaka T. Continuation of Anti-TNF therapy for Reumatoid arthritis in patients with active tuberculosis reactivated during anti-TNF medication is more beneficial than its cessation. Journal of Infectious Diseases and Therapeutics, 2015; 3:35-37.

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