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La retention in care nella malattia da HIV | Presupposto per una...

Presupposto per una buona aderenza, la retention in care aumenta...

N.4 2018
Percorsi clinici
La retention in care nella malattia da HIV

Enrico Girardi
UOC Epidemiologia Clinica, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani-IRCCS, Roma

Presupposto per una buona aderenza, la retention in care aumenta il successo terapeutico e controlla la diffusione dell’epidemia. Medici esperti nella cura di HIV hanno identificato i fattori che determinano la tempistica dei controlli clinici per sviluppare un algoritmo che, date le caratteristiche di un singolo paziente, permette di identificare i periodi di follow-up “in care” o “out of care”.

 

La retention in care è stata definita come l’instaurarsi ed il mantenersi di un rapporto stabile tra la persona con HIV e un curante o, meglio, un team di cura. È il presupposto indispensabile per una buona aderenza alla terapia antiretrovirale ed offre la possibilità di implementare altri interventi sanitari, ad esempio di prevenzione delle complicanze infettive e non infettive dell’infezione da HIV. Questo si traduce da un lato in un aumento della probabilità di successo virologico della terapia e in un minor ricorso alle cure ed ai ricoveri ospedalieri e, quindi, a minori costi globali dell’assistenza. Dall’altra, favorendo la soppressione virale ed il suo mantenimento nel tempo, una efficace retention in care contribuisce a rendere le persone non contagiose e, quindi, al controllo della diffusione dell’infezione (1). In definitiva, la retention in care appare un elemento centrale di quel continuum delle cure sulla cui ottimizzazione sono centrate le strategie attuali volte a garantire il controllo della malattia da HIV sia a livello individuale che a livello di popolazione.

Misurare la retention in care

Una serie di misure sono state proposte e utilizzate, in primis negli Stati Uniti, per analizzare la retention in care. Queste misure sono basate sugli appuntamenti per prestazioni sanitarie non mantenuti dalla persona in cura, o di converso su quelli mantenuti, o su di un numero minimo di prestazioni sanitarie in un determinato periodo di tempo (Tabella 1).

In uno studio pubblicato nel 2012 Mugavero et al mostrano che tutte queste misure correlano con la mancata soppressione virale e che non esiste una misura con una performance chiaramente migliore tra quelle considerate (2).

Più di recente ricercatori dello studio UK CHIC hanno sviluppato un approccio differente alla misurazione della retention in care, partendo dalla considerazione che la frequenza con cui ci si aspetta che una persona si presenti ai centri di cura può cambiare al variare delle sue condizioni di salute e delle pratiche assistenziali (3). Sulla base di interviste con medici esperti nella cura della malattia da HIV sono stati identificati i fattori che determinano la tempistica dei controlli clinici ed è stato sviluppato un algoritmo che, date le aratteristiche di un singolo paziente, permette di identificare i periodi di follow-up “in care” o “out of care”.

In alcuni studi il paziente non in cura è stato definito come quello per il quale il follow-up presso un centro clinico si è interrotto per almeno 12 mesi. Tuttavia, anche in questo caso l’interpretazione presenta una qualche incertezza, infatti non raramente i pazienti persi al follow-up non sono persi alla cura ma sono in realtà seguiti in un altro centro clinico.

Infine, misure della retention in care sono state proposte anche come misure di qualità dell’attività dei centri clinici.

Ad esempio, gli standard 2018 della British HIV Association propongono come misura di retention in care la proporzione di pazienti in cura in un determinato anno che hanno contatti con il centro clinico nell’anno successivo, ed il livello di performance desiderabile è stabilito al 90% o più.

Frequenza della non-retention in care e la situazione italiana

Negli Stati Uniti è stato stimato che la proporzione di pazienti mantenuti in cura costantemente per 3 anni nel 2011-2013 era inferiore al 50% (4).

Nello studio UK CHIC, utilizzando la metodologia descritta più sopra, la proporzione di persone in care è risultata dell’83% (3). In una revisione sistematica che ha analizzato oltre 30 studi, il predittore di scarsa retention più frequentemente riportato in paesi industrializzati è stato l’uso di sostanze, insieme ad alcune caratteristiche demografiche come appartenere a minoranze etniche; due studi riportavano un’associazione tra il non ricevere ART e l’abbandono delle cure (5).

Per quanto riguarda il nostro paese, in uno studio condotto a Modena, i pazienti persi al follow-up per più di un anno tra quelli diagnosticati nel 1996-2011 erano il 21%, e l’esser nati all’estero era associato ad un rischio triplo di uscire dalla cura (6).

In uno studio condotto a Roma nel periodo 2005-11, il 23% dei pazienti è risultato perso al follow-up, più frequentemente quelli nati all’estero, con livelli più bassi di CD4 e con carica virale rilevabile (7).

In Piemonte tra le persone con una infezione da HIV diagnosticata prima del 2015, di cui non era noto il decesso o il trasferimento fuori regione, il 78% era in cura nel 2015. L’età inferiore a 40 anni, la residenza fuori regione e la tossicodipendenza erano associate al rischio di non rimanere in cura (8).

In una coorte ospedaliera a Genova il tasso di retention in care, misurato dall’assenza di gap di cura superiore a 6 mesi, è risultato del 78%, ed i predittori del non essere in cura sono risultati l’essere nati all’estero, una conta di CD4 < 200/mmc e non essere in trattamento antiretrovirale (9).

Infine, in una indagine realizzata intervistando oltre 1.000 persone con HIV in 10 centri clinici Italiani, il 17% dei partecipanti riferiva periodi di sospensione delle cure decisi autonomamente (10).

Interventi per migliorare la retention in care

Alcuni studi suggeriscono la potenziale efficacia dei cosiddetti patient navigator, operatori non necessariamente socio-sanitari che aiutano la persona con HIV a muoversi nei servizi sanitari, facilitano la comprensione dei problemi legati alla cura di una condizione cronica ed i rapporti con il personale dell’assistenza. Un approccio attivo orientato al paziente e basato sull’impiego di case manager ha anche dimostrato una buona efficacia in confronto con l’approccio tradizionale “di attesa” dei servizi sanitari. Dati non univoci esistono sull’efficacia di reminder inviati su telefoni cellulari (11, 12).

La tabella 2 riporta alcuni interventi potenzial-mente efficaci per la retention in care.

Va ricordato che, oltre agli interventi rivolti alle singole persone con HIV, ogni servizio di cura dovrebbe realizzare un monitoraggio dei tassi di retention, analizzare l’esistenza di possibili barriere all’accesso e programmare gli eventuali interventi correttivi.

Infine andrebbero messi in opera, in collaborazione tra i servizi clinici e quelli di sanità pubblica, interventi per riportare alle cure le persone che le hanno abbandonate. Una valutazione del tasso di drop-out, le ragioni che li determinano e le contromisure da introdurre per evitarli stanno diventando di prioritaria importanza nel percorso assistenziale del paziente con HIV.

 

Bibliografia

  1. Horstmann E, Brown J, Islam F, et al. Retaining HIV-Infected Patients in Care: Where Are We? Where Do We Go from Here? Clin Infect Dis. 2010; 50:752-76.
  2. Mugavero MJ, Westfall AO, Zinski A, et al. Measuring Retention in HIV Care: The Elusive Gold Standard J Acquir Immune Defic Syndr. 2012; 61(5):574-580.
  3. Howarth AR, Burns FM, Apea V, et al. Development and application of a new measure of engagement in out-patient HIV care. HIV Med. 2017; 18:267-274.
  4. Dasgupta S, Oster AM, Li J, et al. Disparities in Consistent Retention in HIV Care - 11 States and the District of Columbia, 2011-2013. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 2014; 65:67-82.
  5. Bulsara SM, Wainberg ML, Newton-John TRO. Predictors of Adult Retention in HIV Care: A Systematic Review. AIDS Behav. 2018; 22:752-764.
  6. Lazzaretti C, Borghi, Franceschini V, et al. C Engagement and retention in care of patients diagnosed with HIV infection and enrolled in the Modena HIV Surveillance Cohort. Journal of the International AIDS Society 2012, 15(Suppl 4):18393.
  7. Fusco FM. Factors determining the Retention in Care in 798 persons living with HIV newly diagnosed at National Institute for Infectious Diseases “L. Spallanzani”, Rome, in 2005-2011: a retrospective cohort study. Italian Conference on AIDS and Retrovirus. Roma, 25-27 maggio 2014.
  8. Camoni P, Pezzotti C, Pasqualini, et al. HIV positive people not-retained in care in Piedmont: an evaluation of data from the regional surveillance. Italian Conference on AIDS and Retrovirus. Siena 12-14 giugno 2017.
  9. Prinapori R, Giannini B, Riccardi N, et al. Predictors of retention in care in HIV-infected patients in a large hospital cohort in Italy. Epidemiol Infect. 2018; 146:606-611.
  10. Piselli P, Chiaradia G, Breveglieri M. Perceptions of barriers for optimal Retention in Care in people with HIV: a national survey. Italian Conference on AIDS and Retrovirus. Siena 12-14 giugno 2017.
  11. Brennan A, Browne JP, Horgan M. A systematic review of health service interventions to improve linkage with or retention in HIV care. AIDS Care 2014; 26:804-12.
  12. Higa DH, Crepaz N, Mullins MM. Prevention Research Synthesis Project. Identifying best practices for increasing linkage to, retention, and re-engagement in HIV medical care: findings from a systematic review, 1996-2014. AIDS Behav 2016; 20:951-66.

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