L’AIDS è stato uno dei primi dieci problemi di salute pubblica del secolo passato e la comunità scientifica all'inizio di questo periodo ha saputo rispondere in maniera estremamente efficace in quanto si è verificata una serie di circostanze, in parte fortuite ed in parte costruite da uomini visionari e lungimiranti, che ha offerto la possibilità di mettere in atto modelli di risposta anche grazie ad una notevole sensibilità politica e sociale per il problema. In qualche modo paragonabile a quella che si sta costruendo intorno all'attuale PNRR.
Per affrontare l’epidemia di AIDS furono promulgate leggi speciali e furono realizzati atti normativi per avviare un programma di prevenzione generale, per definire modelli di assistenza sanitaria ma soprattutto per costruire un programma di ricerca che oltre a contribuire in modo concreto alla lotta alla malattia, ha fatto fare un balzo in avanti all'Italia soprattutto nel campo della ricerca di base.
Il sistema di registrazione dei casi di AIDS in Italia fu attivato nel 1984 (poi trasformato in sistema si sorveglianza), mentre è dell'85 il primo sistema di sorveglianza basato sui laboratori nella Regione Lazio (in assoluto il primo in Italia): siamo dovuti però arrivare al 2008 per avere un sistema di sorveglianza dell'infezione da HIV. In quegli anni molte persone hanno segnato un tratto di questo percorso: Fernando Aiuti all'inizio dell'84 presentò in pubblico alla New York Academy of Sciences i risultati di uno studio sulle popolazioni a rischio condotto a Roma con Gianni Rezza, mentre Adriano Lazzarin pubblicava i dati sulla diffusione della malattia tra i tossicodipendenti a Milano. Un anno dopo Gioacchino Angarano pubblicava i dati sulla diffusione endemica dell’AIDS tra i tossicodipendenti della Puglia. Nello stesso anno Fernando Aiuti fondava ANLAIDS, tangibile e visibile segno della scelta di campo degli scienziati e delle ONG nella lotta all’AIDS, e contemporaneamente si gettavano le basi per quel progetto nazionale di ricerca AIDS che grazie alla “visione” di Giovanni Rossi, ricco della propria esperienza negli Stati Uniti, è poi diventato un modello per i programmi di ricerca in questo campo. Dal progetto AIDS nascono i famosi incontri di “Progress Report” a Orbetello in cui i ricercatori discutevano i risultati ottenuti nelle quattro aree della ricerca sull'AIDS che venivano finanziate. Con la scienza di base che la “faceva da padrone” con quasi il 70 per cento del finanziamento, a seguire le scienze “applicate”: l’epidemiologia, la clinica e la ricerca sui servizi sanitari. Erano anni in cui un così consistente finanziamento per la ricerca era eccezionale: 8 miliardi di lire il primo anno, 16 miliardi il secondo, 30 negli anni successivi. L'ultimo grande investimento è stato fatto nel 1998 con 10 milioni di euro, che sono stati poi spalmati su quattro anni perché non c'era più la capienza del fondo. La nostra quota rispetto al finanziamento NIH (corretto per popolazione) è arrivata nel 1991 ad essere l'8 per cento del finanziamento totale della ricerca.
Nessun altro Paese inclusa la Francia aveva stanziato una quota simile ed era questo il motivo per cui Fauci su Lancet diceva che era un'epoca di aspirazioni illimitate ma purtroppo con risorse limitate.
I risultati ottenuti con i progetti finanziati dal Ministero con il Programma nazionale portarono immediatamente all'aumento del numero di pubblicazioni specifiche del Paese e non solo nel campo dell'AIDS ma di tutte le malattie infettive e anche di altre discipline, perché lo studio dell’eziopatogenesi della malattia prevedeva il coinvolgimento di molte aree della scienza di base. Il progetto AIDS fu un modo per lanciare un programma estremamente accattivante che servì a dare nuova vita alla ricerca, soprattutto di base, ed a costruire forti collaborazioni interdisciplinari. Dal 2009 sono stati finanziati dal Ministero della Salute 252 progetti per 20 milioni di euro.
Un notevole contributo a mantenere in vita programmi di ricerca avviati e a generarne di nuovi lo hanno dato iniziative lungimiranti di gruppi di ricercatori, come la coorte ICONA fondata da Mauro Moroni.
Nell'88 a Montréal l’OMS diceva che i Paesi devono darsi uno strumento di intervento concreto ed un articolo di Owen su AIDS Watch faceva osservare che “l'Italia è un Paese in cui l'AIDS ha avuto un enorme impatto sui tossicodipendenti ma manca una reale consultazione tra lo Stato e le periferie per sapere quello che bisogna fare”. In realtà a gennaio dell'87 il ministro Donat Cattin aveva formalizzato una commissione, con lo stesso modello usato ora per il CTS, organizzato al suo interno con una serie di attività, incluse iniziative per i paesi in via di sviluppo, e per la prima volta un programma specifico per le persone con l'AIDS. Il professor Elio Guzzanti riuscì a trasformare il pragmatismo di Donat Cattin in un accordo con le Regioni per arrivare infine all'adozione di un modello di implementazione delle attività che trovò la sua conclusione nel piano di azione approvato nel 1988 e nel 1990 nella famosa legge 135. I dieci articoli della legge hanno nei fatti scritto in Italia un capitolo nuovo per le malattie infettive. Guzzanti in occasione dell'inaugurazione dei nuovi reparti allo Spallanzani ed al Sacco diceva “Il volume fa l'esperienza, la struttura fa la difesa”; era un modo per definire che da un lato bisognava concentrare sulle strutture le malattie infettive e AIDS, dall'altro di avere un modello allargato e diffuso di organizzazione. Lo stesso modello che la Società di Malattie Infettive ha ripreso molti anni dopo nel suo libro bianco.
Un aspetto di questo grande investimento e ricerca sono le ricadute positive della ricerca in altre aree della medicina. Nella sua introduzione al CROI 2019 Fauci parlò dei risultati ottenuti dalla ricerca sull’HIV con la scoperta del sistema di regolazione del sistema immune, la definizione dei bersagli dei farmaci antivirali, l’identificazione del repertorio delle cellule T, una via tracciata per ottenere un vaccino con le tecnologie che si andavano rendendo disponibili e disse che il modello dell’HIV era di esempio per lo studio di modelli di patogenesi di molte altre malattie.
Vanno anche considerate le ricadute positive della ricerca sull’HIV, che all'inizio non erano neanche lontanamente immaginabili. Era solo il 1981 quando fu provato per la prima volta acyclovir nei pazienti trapiantati, il primo vero antivirale. Grazie allo sviluppo determinato dall’AIDS lo studio degli antivirali ha avuto successi inattesi ed ha agito da propulsore dell’innovazione nella cura delle infezioni virali. Senza questi modelli di intervento originali ed innovativi oggi non avremmo una cura per l’epatite B e la possibilità di eliminare l’epatite C.
Una eredità che la ricerca su HIV/AIDS ci ha lasciato è quella della collaborazione tra diversi scienziati cioè il concetto di lavorare su principi biologici a partire dai sistemi fisiologici, alla biochimica, ai sistemi del metabolismo e alla loro complementarietà. Un grande ed attuale esempio è lo studio dell'invecchiamento, uno dei grandi temi della medicina moderna: le attese per le ricadute degli studi sull'invecchiamento sono assolutamente importanti. In questi ultimi anni la situazione si è molto modificata: dieci anni fa quando Science metteva sulla copertina che il trattamento come prevenzione era la frontiera della risposta all’epidemia e quando The Economist si chiedeva se eravamo alla fine dell’AIDS sembrava fantascienza. Non pensavamo si potesse mai determinare una situazione favorevole come quella attuale.
E solo tre mesi fa l'NIH ha presentato il piano 2022 della propria ricerca e ha detto che oggi l'investimento di ricerca sull'AIDS negli Stati Uniti è meno di un decimo di quanto era dieci anni fa perchè gli altri temi di ricerca hanno bisogno di più fondi. Horizon 2020, il piano di finanziamento della ricerca europea, in questi anni ha portato in Europa una quantità notevole di fondi che sono sembrati insufficienti forse anche perché non sempre sono stati usati in modo strategico: 45 milioni di euro per due piattaforme vaccinali che forse non erano così solide e convincenti come si ipotizzava, dieci milioni di euro di finanziamento per mettere a punto nuovi test per la misurazione della carica virale e 110 milioni di euro di investimento per l'Africa.
In 40 anni l'NIH ha investito per la ricerca sull’AIDS 69 miliardi di dollari ed oggi ribadisce che i grandi benefici di tale ricerca sono a favore di altre malattie. Non dobbiamo dimenticare che senza l'AIDS probabilmente non avremmo avuto i vantaggi dello sviluppo della diagnostica molecolare che oggi è disponibile in tutti i contesti per SARS-CoV-2, come per molte alte malattie, infettive e non. La diagnostica molecolare nasce da una grande intuizione di Kary Mullis, che per la scoperta della PCR, una tecnica che ha rivoluzionato il mondo della chimica e della genetica e per questa scoperta ricevette il premio Nobel. Eppure Mullis ricevette dalla Cetus Corporation, la società per la quale lavorava, un premio di 10mila dollari per l’invenzione della PCR, tre anni dopo la pubblicazione su Science della scoperta. La società diventò proprietaria dei brevetti per la Taq e per la PCR che furono così ceduti a Roche per 300 milioni di dollari. La storia di Mullis, un contestatore nella Berkeley negli anni Sessanta, e della scoperta della PCR è raccontata nel suo libro “Ballando nudi nel campo della mente”. Un piacevole booklet di uno scienziato estroso ed irriverente, considerato una delle menti più brillanti ed indipendenti del XX secolo che cerca di mettere in discussione l'autorità della scienza dogmatica.
Senza la scoperta della PCR John Mellors non avrebbe potuto nel 1996 parlare per la prima volta di quantificazione dell’HIV nel sangue. Una cosa che all'epoca sembrava veramente impossibile.
A distanza di quarant'anni le parole chiave rimangono le stesse che vengono citate ad ogni epidemia: cooperazione, investigazione e operatività. Va anche tenuto presente che i tre tipi della ricerca con i quali noi andiamo a finanziare le nostre attività (ricerca di base, ricerca applicata e ricerca valutativa) hanno tutte la stessa dignità. Ogni volta che si presenta un problema scientificamente e socialmente importante ci dobbiamo chiedere se abbiamo davvero risposto a tre obiettivi: descrivere i fenomeni, predire gli eventi e avere una visione del futuro.