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40 anni di lotta all'AIDS: obiettivi raggiunti, gaps e visione |...

Pochi anni fa era impensabile disegnare un obiettivo mirato ad...

N.4 2021
Clinica
40 anni di lotta all'AIDS: obiettivi raggiunti, gaps e visione

Filippo von Schloesser
NADIR Onlus

Pochi anni fa era impensabile disegnare un obiettivo mirato ad annientare il virus che in 40 anni ha cambiato la storia dell’umanità producendo morti e sofferenza, danni sociali, psicologici, economici e politici. Oggi non si può ancora parlare di sconfitta di HIV, ma la ricerca aumenta l’armamentario di farmaci per terapia e prevenzione.

 

Oggi e domani
Il consenso di tutti i paesi delle Nazioni Unite (ad eccezione di Russia, Bielorussia e Nicaragua) merita tutta l’energia degli stakeholders per raggiungere l’obiettivo di zero nuovi contagi del Programma di Sviluppo Sostenibile.
Solo pochi anni fa era impensabile disegnare un obiettivo mirato ad annientare l’HIV che in 40 anni ha cambiato la storia naturale dell’umanità producendo, oltre a morti e sofferenza, danni sociali, psicologici, economici e politici. 
Ma si stima che circa 38 milioni di persone oggi vivano con l’HIV e che 36 milioni di persone siano decedute dall’inizio delle rilevazioni epidemiologiche. In Italia, secondo il Centro Operativo AIDS dell'Istituto Superiore di Sanità, con oltre 130 mila persone viventi con HIV, si contano 500 morti/anno per AIDS, mentre il tasso di nuove infezioni è di circa 10 persone al giorno. 
Di seguito alcune riflessioni su cosa hanno rappresentato questi 40 anni.

Ieri
È stata una biologa molecolare francese a isolarlo, Francoise Barré Sinoussi scoprendo che si trattava di un retrovirus. Già nel 1981 Mathilde Krim, medico del St. Vincent di New York con il dermatologo Friedman Kien avevano ipotizzato il coinvolgimento di un virus nelle centinaia di decessi causati da pneumocistosi e sarcoma di Kaposi, ma senza che se ne conoscesse la patogenesi. I primi indizi mostravano che queste morti avevano qualcosa in comune: tutti i soggetti colpiti tornavano da Haiti. I casi gravi si associavano con l’abbassamento delle difese immunitarie. Dovevano avere qualcos’altro che li accumunava. A Manhattan e a San Francisco le persone che si ammalavano e morivano erano in aumento esponenziale. Interi quartieri di altre città statunitensi si spopolarono in breve. Eravamo nel 1981. I medici che visitavano persone con quei sintomi, stavano vedendo solo “la punta dell’iceberg che accomunava gay, sex workers, drug users” (Anthony Fauci). Poco dopo, arrivò la notizia che in Africa migliaia di uomini, donne e bambini erano deceduti con sintomi analoghi.

Lo stigma
Con sincronia perfetta, osservando le caratteristiche comuni delle vittime in Europa e in America, prese corpo l’emarginazione dei malati di quella sindrome che a breve verrà definita AIDS, che si nutrì di pregiudizio e diede vita allo “stigma” che fece delle vittime i colpevoli della propria malattia: “the gay cancer”. Ancora oggi lo stigma è definito come patologia sociale che provoca l’auto-stigma e fa esplodere drammi nelle personalità e nei comportamenti di chi ha minor capacità di resilienza e deve affrontare una malattia grave. Ancora oggi ascoltiamo l’eco di chi si sentiva invulnerabile (“a me non succederà mai”) e stampa, integralisti e conformisti coniavano il termine che condanna il portatore di HIV come “l’untore”.

Paura e speranza
Nel 1987 l’unica consolazione che era possibile dare era “Aspetta, stai tranquillo, qualcosa si troverà”, frase di circostanza che confermava l’impotenza di fronte al terrore che incuteva l’AIDS. Dopo pochi mesi, la zidovudina cominciò a dare risultati di efficacia contro il retrovirus. Anche allora, come oggi c’erano i detrattori e i negazionisti. “L’AZT ti ammazza di anemia. L’AIDS non si cura!”. Ma in Italia, alcuni clinici, con grande lungimiranza, iniziarano a prescriverla come terapia.

La nuova tappa
La monoterapia con AZT durava pochi mesi. Ma si viveva alla giornata e ogni ora di vita era un’ora regalata. Poi arrivò il secondo farmaco, la sentenza venne rimandata, ma già nel 1991 si manifestarono le prime resistenze. Il "fallimento terapeutico" arrivò a breve. Ma già si parlava di un nuovo farmaco… Un giorno, camminando nel West Village fui avvicinato da una ragazza che mi diede un flyer: lamivudina. Pensai a un ristorante, ma vidi un numero verde e chiamai. Sentito il mio caso, la voce all'apparecchio mi disse: sì, ne ha diritto. Ma io sono italiano. Non si preoccupi: basta solo che il suo medico faccia un fax e mandiamo il farmaco a Roma. 
E fu così che lamivudina arrivò prima di me e fu così che anche in Italia iniziò il più grande accesso allargato della storia della medicina. La sentenza fu rimandata ancora.

Lo studio DELTA
Nel 1996, lo studio DELTA1 aprì il cammino all’era della terapia di combinazione e si fece strada quella dell’attivismo.
La curiosità vinse sulla paura e decisi di assistere alla mia prima conferenza sulla terapia per l’HIV, a Glasgow. Mai avrei pensato che 4 anni dopo vi sarei tornato per testimoniare la svolta che ha comportato l’uso della triplice terapia. E meno ancora avrei immaginato la via che stavo per intraprendere.

L’attivismo
La strada era la stessa che a livello mondiale stavano percorrendo in molti per dare supporto alle persone con HIV, per assistere quelli che avevano perso l’autonomia fisica e psichica, per imporre l’etica negli studi clinici, reclamare accessi allargati e la rapida approvazione delle terapie. 
Non si era mai vista una mobilitazione tale ed in grado di cambiare lo scenario dell’epidemia. “L’attivismo è riuscito a cambiare la storia naturale di un retrovirus” dice ancora Anthony Fauci. Gli europei crearono un network pan-europeo, l’European AIDS Treatment Group (EATG), che lanciò un nuovo modello (imitato poi anche dalle associazioni USA): discutere e collaborare nello sviluppo di studi clinici, negoziare e accelerare l’accesso (il fast track).
Gli attivisti di Act Up Parigi, intanto avevano gettato le ceneri di un loro compagno morto di AIDS sul tavolo di un’industria farmaceutica, gridavano che noi cittadini dei paesi ricchi, con il nostro silenzio, stavamo assecondando il genocidio nei paesi poveri: Silence = Dead.

L’Africa
Nel 2000 Nelson Mandela uscito di prigione si rese conto delle condizioni in cui era ridotta l'Africa; circa il 50% degli studenti delle università africane aveva l’HIV ma non aveva accesso a nessuna terapia perché troppo cara rispetto al valore che la politica dell’apartheid dava alla vita delle popolazioni di colore. 
Non era ancora maturo il tempo di mandare farmaci, medici e strutture alle popolazioni africane più gravemente colpite. 
L’autorità morale di chi avrebbe dovuto e potuto invocare l’aiuto dei paesi ricchi, si bloccò di fronte al conflitto tra scienza, sessualità ed etica. Confusione diabolica che continua tuttora ma è costata all’umanità un numero enorme di orfani: 18 milioni secondo le stime UNAIDS 2020.
Ma il tempo diede ragione alla scienza e alle istanze sociali: dal 2004 le terapie cominciarono ad essere disponibili anche in Africa. Ci sono voluti molti anni per poter distribuire “la salute” anche nelle zone rurali, ove sia le aziende farmaceutiche produttrici di farmaci antiretrovirali, sia il governo USA con l’aiuto della Bill Gates Foundation, si sono impegnati per ridurre le morti (Figura 1). Oggi tre paesi africani hanno superato gli obiettivi delle Nazioni Unite di avere il 90% delle persone con diagnosi, il 90% di esse con terapie, il 90% di successi terapeutici. 

Dopo 40 anni, le zone più critiche per l’accesso al test e la lotta alla criminalizzazione cui sono sottoposte le persone con HIV si trovano in Europa Orientale e nell’Asia Centrale ove è proibito dalle leggi avere rapporti sessuali se vi è il rischio di contagiare e di conseguenza, tutti gli omosessuali sono ancora oggi considerati potenziali “untori”. 

Treatment as prevention
È stata la strategia applicata per combattere l’HIV in assenza di un vaccino. Iniziare la terapia precocemente permette di prevenire nuovi contagi e conservare il patrimonio immunitario. LILA e Nadir furono le associazioni che per prime, nel 2008, stilarono una position paper per promuovere il concetto che sostiene che la non rilevabilità della viremia plasmatica impedisce il contagio attraverso i rapporti sessuali. Nel 2019 un documento di consenso di SIMIT con le associazioni italiane ha confermato il concetto sintetizzato nella formula U equals U.

Un armamentario
Se i problemi sociali, psicologici, di informazione, di emarginazione e auto-stigma non permettono ancora l’emersione del sommerso e la sconfitta dell’HIV, la ricerca aumenta l’attuale armamentario di farmaci per la terapia e per la prevenzione, arricchendosi di nuove classi di farmaci: integrasi, maturazione, attachment, monoclonali, sono i vocaboli che ci avvicinano al futuro, insieme alla prospettiva che propone la terapia somministrata per via intramuscolare a lunga durata di azione. Due iniezioni ogni due mesi sarà il prossimo traguardo, poi ogni sei mesi, poi chissà. Se si recupera il percorso senza ostacoli, la sentenza sarà deviata verso un diverso binario: l’invecchiamento.

I 90-90-90 dell’Italia
Con gli obiettivi delle Nazioni Unite (90-90-90) iniziava a diffondersi il concetto U = U, ma l’arrivo della pandemia da coronavirus ha paralizzato il percorso di miglioramento e attività clinica dimostrando la vulnerabilità del sistema salute. Le istituzioni italiane, in particolare, hanno omesso l’inclusione della Profilassi pre Esposizione tra le strategie di prevenzione per l’HIV, approvate per la distribuzione in tutto il resto d’Europa. AIFA ha paura dei costi, ma non applica criteri di sostenibilità senza considerare quanto costi una persona che si infetta nel 2021. E, peggio ancora, l’accesso ai test nelle strutture pubbliche, a causa della pandemia, nel 2020 ha registrato un calo del 60%.

Le persone con HIV hanno visto rallentare lo sforzo per migliorare la qualità della vita, obiettivo primario in Italia per superare i tre 90. Il vaccino contro il coronavirus ha riportato l’idea del rilancio. Riusciremo di nuovo a rimandare la sentenza? Al momento, come allora, dobbiamo credere che “qualcosa si troverà”.

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