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N.3 2021
Clinica
Epatite E: aspetti clinici e trattamento

Davide Giuseppe Ribaldone
Gastroenterologia-U, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Torino
 

È indicato un precoce trattamento dell’infezione da HEV in evoluzione cronica, perché sembra permettere di raggiungere tassi di risposta migliori e perché può bloccare la progressione del danno epatico verso la cirrosi.

 

Epatite E acuta

Il virus dell’epatite E (HEV) è una delle principali cause di epatite acuta nei cosiddetti “paesi in via di sviluppo”, sostenuta dai genotipi 1 e 2 trasmessi per via oro-fecale (1).

L’epatite da HEV era inizialmente conosciuta come un’epatite acuta, autolimitantesi, della durata di 1-3 mesi, in genere clinicamente silente, con decorso simile a quello dell’epatite A.

Il decorso in genere poco aggressivo contrasta nettamente con il decorso nelle donne gravide dove può decorrere come epatite fulminante con mortalità intorno al 25% nel terzo trimestre di gravidanza (2).

Purtroppo, le terapie attualmente utilizzate per trattare l’epatite cronica da HEV (ribavirina [RBV], interferon-alpha pegilato [peg-IFN], vedi sotto) da un lato sono controindicate in gravidanza a causa del loro rischio di teratogenicità, dall’altro hanno scarsa efficacia in un quadro di danno sistemico ormai instaurato. Anche un parto anticipato sembra non cambiare la prognosi, quindi, a oggi, tali pazienti possono essere trattate solo con una terapia di supporto (3).

Nei soggetti per altro sani, dato il suo decorso pressoché asintomatico e il bassissimo tasso di mortalità, anche se fosse disponibile,  la terapia avrebbe un ruolo nei pochi casi sintomatici, a patto di avere un basso tasso di effetti collaterali e un rapporto costo/beneficio favorevole.

In particolari classi di soggetti invece, oltre alle donne in gravidanza, quelli affetti da epatopatie croniche o altre comorbidità significative, la mortalità può arrivare fino al 25% e una terapia specifica sarebbe necessaria per cambiare la storia naturale della malattia (4).

A tal proposito, vi sono segnalazioni aneddotiche sull’utilizzo della RBV in pazienti con epatite acuta grave da HEV a decorso ingravescente, con possibile miglioramento dello stesso (5–7).

Per quanto riguarda i genotipi 3 e 4, questi sono patogeni zoonotici emergenti endemici nel mondo occidentale (8), la cui trasmissione avviene ingerendo carne di maiale, di cervo, di coniglio, frutti di mare non cotti a sufficienza, oppure venendo in contatto con maiali o animali selvatici infetti o, in rari casi, tramite trasfusione di sangue infetto (9). Il decorso in gravidanza non sembra essere diverso dal decorso al di fuori della gravidanza (10) ed è, in genere, autolimitantesi, senza la necessità di una terapia specifica (che peraltro ad oggi non è disponibile).

Epatite E cronica

L’infezione da HEV da genotipo 3 o 4 può diventare cronica, definita dalla persistenza della viremia per più di 3-6 mesi a livello sierico o fecale; i soggetti più a rischio sono gli immunodepressi a causa di trapianto di organo solido, i pazienti affetti da malattie ematologiche, da sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), da patologie immunomediate in terapia immunosoppressiva profonda; è rara l’evoluzione cronica nei soggetti immunocompetenti (11,12). Più è grave l’immunosoppressione, più è alto il rischio di cronicizzare l’infezione da HEV.

L’epatite cronica da HEV può evolvere verso la fibrosi epatica e anche la cirrosi dopo un intervallo di tempo relativamente breve (13,14): nonostante l’assenza di sintomi, il 60% dei pazienti sviluppa fibrosi epatica e il 10% cirrosi. Inoltre l’infezione cronica da HEV può causare diverse patologie extra-epatiche, coinvolgendo in particolare il rene (glomerulonefriti), il sistema emopoietico, il sistema nervoso centrale e periferico, il pancreas (15).

Per tale motivo è importante poter trattare l’infezione cronica da HEV.

Ad oggi nessun farmaco è stato testato in trial randomizzati controllati in doppio cieco, né tantomeno approvato con tale indicazione. I dati che ci provengono dalla letteratura e dalle linee guida al riguardo sono frutti di esperienza in real life (16).
Le strategie terapeutiche che ad oggi hanno mostrato di essere efficaci sono la riduzione della terapia immunosoppressiva, la RBV e il peg-IFN.

Riduzione della terapia immunosoppressiva
Quando possibile, la diminuzione della dose della terapia immunosoppressiva in corso è la prima linea terapeutica in questi pazienti, con tassi di risposta virologica sostenuta a 3 mesi (SVR) intorno al 33% (16). Ovviamente tale strategia mette il paziente a rischio di rigetto dell’organo trapiantato e va instaurato un accurato monitoraggio al riguardo.

Ribavirina
Da una recentissima meta-analisi si evince che ad oggi sono stati pubblicati in letteratura i dati riguardanti 395 pazienti trattati con RBV (17). In tali pazienti la terapia con RBV è cominciata dopo una media di 8 mesi dalla diagnosi di infezione da HEV; in poco meno di un terzo è stata ridotta anche la dose degli immunosoppressori. La durata media di terapia è stata di 3 mesi e il dosaggio utilizzato è stato compreso nel range da meno di 400 mg/gg a 1200 mg/gg. Il tasso di SVR è stato del 76%, il tasso dei non-responder del 6%, il tasso di recidiva nei primi 3 mesi dopo la fine della terapia del 18%. I ben noti effetti collaterali della RBV si sono manifestati nel 31% dei casi: la maggioranza ha manifestato anemia con un tasso di interruzione del trattamento del 2%, metà dei pazienti sono stati gestiti con una riduzione della dose e  metà con eritropoietina, sporadici casi con trasfusioni; solo 2 pazienti hanno dovuto sospendere il trattamento a causa di effetti collaterali di tipo psichiatrico.

In caso di persistenza dell’RNA virale dopo 3 mesi, l’ulteriore terapia con RBV per altri 3 mesi ha permesso di ottenere un tasso di SVR del 76%.  Da sottolineare che il meccanismo d’azione della RBV nell’infezione cronica da HEV ad oggi non è completamente chiaro.

Interferon-alpha pegilato
Sono disponibili in letteratura solo i  dati di 13 pazienti trattati con peg-IFN, la maggior parte dei quali hanno anche ridotto la terapia immunosoppressiva in corso (17). La terapia è stata iniziata dopo una media di 50 mesi dalla diagnosi, con un dosaggio di 90-180 microg/sett, per 3-8 mesi. Il tasso di SVR è risultato essere dell’84%. Uno su 13 pazienti ha dovuto sospendere la terapia a causa dell’insorgenza di effetti collaterali.

Un aspetto particolarmente delicato è il potenziale rischio dell’interferon di provocare il rigetto dell’organo trapiantato: 2 pazienti sono andati incontro a rigetto acuto e uno di questi è andato incontro a ritrapianto renale. Il peg-IFN è noto per aumentare il rischio di rigetto del trapianto di rene (18), ma si è dimostrato relativamente sicuro nel trapianto di fegato (16).

La combinazione della RBV con peg-IFN non sembra migliorare l’efficacia dei singoli regimi in monoterapia (17).

Farmaci in studio
È ancora lontana la possibilità di avere nell’armamentario terapeutico un farmaco diretto contro l’HEV, sul modello di quello che è accaduto negli ultimi 10 anni con il virus dell’epatite C. Il sofosbuvir, farmaco antivirale che inibisce l’enzima RNA polimerasi RNA-dipendente (NS5B), essenziale per la replicazione del virus dell’epatite C, è stato studiato per il trattamento dell’epatite cronica da HEV poiché aveva dato risultati promettenti in vitro (19), ma l’efficacia in questo contesto si è rivelata deludente (20).

Vaccino
Un vaccino ricombinante (HEV 239) ha dimostrato di essere ben tollerato e efficace nel prevenire l’infezione da HEV; è attualmente disponibile solo in Cina (21).

Nella Figura 1 viene proposta una potenziale flow-chart per la gestione del trattamento dei pazienti con epatite cronica da HEV. Dal momento che la RBV causa anemia emolitica dose dipendente, in pazienti anemici o con insufficienza renale, la dose deve essere di 600 mg/gg; inoltre bisogna evitare le interazioni farmacologiche che ne accentuano i rischi di effetti collaterali.

Conclusioni

È indicato un precoce trattamento dell’infezione da HEV in evoluzione cronica, sia perché sembra permettere di raggiungere tassi di risposta migliori (22), sia perché può bloccare la progressione del danno epatico verso la cirrosi.

Sono tuttavia necessari ulteriori studi prospettici, con ampia casistica, randomizzati e controllati per confermare l’efficacia delle terapie attualmente utilizzate, così come lo studio di nuovi agenti specifici per trattare l’HEV. Fino a quel momento la terapia con la RBV rimane il fondamento per la cura dei pazienti affetti da epatite cronica da HEV.

 

Bibliografia

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  7. Péron JM, Abravanel F, Guillaume M, et al. Treatment of autochthonous acute hepatitis E with short-term ribavirin: a multicenter retrospective study. Liver Int. 2016;36:328-33.
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