ReAd files - Trimestrale di aggiornamento medico - Fondata da Mauro Moroni
cerca

Epidemiologia ed impatto dell’infezione da virus...

L’aumento di casi autoctoni riscontrati negli ultimi anni in...

N.3 2021
Clinica
Epidemiologia ed impatto dell’infezione da virus dell’epatite E in Italia

Maria Elena Tosti
Centro Nazionale per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità, Roma

L’aumento di casi autoctoni riscontrati negli ultimi anni in paesi europei come l’Italia ha spinto l’EASL a redigere specifiche linee guida nelle quali si raccomanda di testare per HEV tutti i pazienti con sintomi consistenti con l’epatite, come test di prima linea, a prescindere dalla storia di viaggi.

 

Per molti anni si è ritenuto che il virus dell’epatite E (HEV) si trovasse quasi esclusivamente nei paesi in via di sviluppo, dove rappresenta un grave problema di salute, in quanto è causa di larghe epidemie veicolate da acqua contaminata. È invece ormai dimostrato che l’HEV causa infezioni acute e croniche nei paesi sviluppati, dove si presenta come zoonosi (1).

In forma acuta si manifesta principalmente attraverso sintomi quali febbre, ittero, dolori articolari e addominali, perdita di appetito e nausea. Il periodo d’incubazione varia da 2 a 6 settimane, tuttavia un’alta percentuale delle infezioni è asintomatica. Dati recenti mostrano che l’HEV è associata a una serie di sindromi neurologiche tra cui la sindrome di Guillain-Barré e l’amiotrofia nevralgica (1), possibile quadro clinico che differenzia l’epatite E dalle altre forme di epatite virale acuta.

L’aumento di casi autoctoni riscontrati negli ultimi anni nei paesi europei, compresa l’Italia (2), ha spinto l’EASL (European Association for the Study of the Liver) a redigere specifiche linee guida nelle quali si raccomanda, tra l’altro, di testare per HEV tutti i pazienti con sintomi consistenti con l’epatite, come parte dei test di prima linea, indipendentemente dalla storia di viaggi (3).

Andamenti epidemiologici in Italia

La sorveglianza epidemiologica dell’epatite E in Italia nasce nel 2007 con l’introduzione, nel questionario epidemiologico SEIEVA (sorveglianza speciale dell’epatite virale acuta) (4), della ricerca delle IgM anti-HEV.

Dal 2007 al 2020 sono stati segnalati 471 casi di epatite E (il 2,7% di tutte le epatiti acute notificate), con un andamento annuo crescente. Oltre il 50% dei casi sono diagnosticati in 3 sole regioni, Lazio, Lombardia e Marche, nelle quali la diagnostica per l’epatite E viene già eseguita da molti anni presso laboratori di riferimento regionali. La distribuzione geografica dei casi sembra così riflettere la propensione ad eseguire i test e fa supporre che ci sia un forte problema di sottonotifica che limita la sorveglianza dell’epatite E.

Per approfondire questo aspetto, si può analizzare la percentuale dei casi di epatite acuta testati per le IgM anti-HEV tra quelli notificati al SEIEVA, nei quali è stata già esclusa la presenza dei virus dell’epatite A, B e C: casi possibili di epatite E. Complessivamente, meno del 50% di questi casi sono correttamente testati per rilevare la presenza delle IgM anti-HEV. La percentuale è cresciuta negli anni, anche se da qualche anno sembra essersi stabilizzata intorno al 60%.

La Figura 1 mostra come le notifiche di epatite E siano andate aumentando di pari passo con la maggiore propensione ad effettuare il test.

Impatto dell’epatite E negli ultimi anni: 2018-2020

Negli ultimi 3 anni sono stati notificati al SEIEVA 175 casi di epatite E. Nel 2019, si è osservato un picco di casi che ha interessato prevalentemente le regioni Abruzzo (23 casi), Marche (21 casi) e Lazio (13 casi). I casi hanno un’età mediana di 59 anni (range: 5-91) e sono prevalentemente maschi (74%). Il 91% delle infezioni risultano essere acquisite in Italia (casi autoctoni), mentre 15 casi riportavano di aver effettuato un viaggio in area endemica, principalmente nel Sud Asia (Bangladesh, Pakistan e India).

Riguardo i fattori di rischio, le esposizioni più frequentemente riportate dai casi autoctoni sono il consumo di carne di maiale cruda o poco cotta (75% dei casi) e di cinghiale (20%) soprattutto insaccati poco stagionati. Cinque casi riportavano una trasfusione di sangue.

Per quanto riguarda l’aspetto clinico, il 66% dei casi presentava ittero, un caso, congiuntamente all’ittero, presentava un quadro clinico neurologico (amiotrofia nevralgica). Sono stati notificati inoltre 6 decessi in soggetti prevalentemente maschi tra i 54 e gli 81 anni. Dodici casi riportavano in anamnesi una causa di immunodepressione che espone a rischio di evoluzione in forma cronica.

Conclusioni

È importante sottolineare che i casi che giungono all’osservazione della sorveglianza sono sicuramente la punta dell’iceberg delle nuove infezioni a causa dell’alta percentuale di infezioni asintomatiche; sono state infatti riscontrate alte prevalenze di anticorpi sui donatori di sangue (5), non giustificate dai casi clinici osservati. I dati SEIEVA dimostrano inoltre come una parte della sottonotifica sia attribuibile alla mancata ricerca delle IgM anti-HEV nei casi di epatite acuta. Le considerazioni fatte ci portano a concludere che il burden reale dell’epatite E è probabilmente ancora sconosciuto.

Riguardo alle trasfusioni di sangue, ormai è appurato che il virus dell’HEV può essere trasmesso per via ematica, anche se il rischio rimane basso. Per questo motivo, e per il crescente numero di casi di epatite E diagnosticati in Europa, 8 Paesi europei hanno introdotto lo screening sul sangue con 2 diverse modalità: screening universale (Irlanda, Regno Unito e Olanda) o selettivo sul sangue destinato a pazienti a rischio di complicazioni (Francia, Austria e Lussemburgo). In Italia la discussione è ancora aperta.


Nel corso del 2020 il SEIEVA ha registrato un numero di notifiche di epatite acuta nettamente inferiore a quanto registrato negli anni precedenti. Sicuramente le misure di contenimento adottate per la pandemia da SARSCoV-2 hanno contribuito a diminuire anche il rischio di contrarre altre malattie infettive, tra cui l’epatite. Non si può però escludere la possibilità che l’interesse massimo concentrato sulla pandemia possa aver ridotto l’attenzione su altre patologie, anche per ciò che riguarda la diagnostica e la conseguente notifica. I dati qui presentati possono risentire di questa problematica


Bibliografia

  1. Dalton HR, Kamar N, Izopet J. Hepatitis E in developed countries: current status and future perspectives. Future Microbiol 2014;9:1361-72.
  2. Alfonsi V, Romanò L, Ciccaglione AR, et al. Hepatitis E in Italy: 5 years of national epidemiological, virological and environmental surveillance, 2012 to 2016. Euro Surveill 2018;23:pii=1700517.
  3. European Association for the Study of the Liver. EASL Clinical Practice Guidelines on hepatitis E virus infection. J Hepatol. 2018;68:1256-1271.
  4. Tosti ME, Longhi S, de Waure C, et al. Assessment of timeliness, representativeness and quality of data reported to Italy’s national integrated surveillance system for acute viral hepatitis (SEIEVA). Public Health 2015;129:561-68.
  5. Spada E, Pupella S, Pisani G, et al. A nationwide retrospective study on prevalence of hepatitis E virus infection in Italian blood donors. Blood Transfusion 2018;16:413-421.

◂ Indietro

Richiedi gratuitamente la Newsletter
Richiedi gratuitamente
la Newsletter
×
icon