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European Meeting on HIV & Hepatitis - Roma 7-9 giugno 2023 |...

HIV: focus su tossicità dei farmaci, cura di HIV, test di...

N.3 2023
Congress Report
European Meeting on HIV & Hepatitis - Roma 7-9 giugno 2023

Alessia Lai, Annalisa Bergna
Università degli Studi di Milano

HIV: focus su tossicità dei farmaci, cura di HIV, test di resistenza con metodiche di next generation sequencing; update sui virus emergenti e riemergenti causa di infezioni respiratorie come RSV e COVID-19

 

L’European Meeting on HIV & Hepatitis 2023 si è aperto con due letture magistrali in onore dei colleghi Andrea De Luca e Charles Boucher, che sono recentemente venuti a mancare in giovane età. La prima, di L. Waters (Central & North West London NHS Foundation Trust), focalizzata sulla tossicità dei farmaci antiretrovirali, ha sottolineato l’importanza di migliorare la segnalazione degli eventi avversi valutandone il gradiente in relazione al tempo con maggiore puntualità e l’impatto sulle attività quotidiane oltre che sulla qualità generale della vita. Per implementare gli studi sulle nuove tossicità bisogna partire dalla definizione di un consenso di partenza e di precisi endpoint attraverso una migliore collaborazione tra le diverse figure professionali. è, inoltre, necessaria una migliore equità negli studi in termini di inclusione di tutte le categorie escluse dai trial clinici, valutazione contemporanea di più categorie in parallelo, e di prescrizioni e discussioni con le PLWH sulla tossicità come programma educazionale. Nella seconda, N. Lubke (University Hospital Dusseldorf) ha ricostruito la storia del paziente di Dusseldorf e le analisi condotte per la verifica dell’efficacia della cura sterilizzante (1): ad oggi presenta assenza di virus competente alla replicazione, tuttavia singoli segnali positivi per DNA e RNA sono stati trovati mediante ibridazione in situ e droplet digital PCR. Nonostante le analisi sulla quantificazione del reservoir virale siano fondamentali, è necessario interpretare correttamente i dati ottenuti anche avvalendosi di indagini immunologiche. Rimane da chiarire l’importanza di eliminare fino all’ultimo virione infetto, è però fondamentale ridurre il reservoir a funzionalmente non rilevabile. L’unico modo per validare una cura/remissione a lungo termine rimane quindi una Interruzione Analitica della Terapia.

L. Fiaschi (abstract #1) ha presentato le analisi ex-vivo sul reservoir di un paziente con HIV di Modena che da 2 anni non presenta evidenza di infezione dopo trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche da donatore CCR5 wild type. Dopo trapianto il paziente presentava sierologia positiva (gp160 egp41) ma era negativo per la ricerca del DNA. Le analisi di droplet digital PCR su DNA (CAD) e RNA (CAR) e saggi in vitro dopo stimolazione dei CD4 per indurre attivazione sono risultate negative a diversi tempi pre e post stimolazione confermando la remissione; va precisato che la cART non è stata ancora interrotta anche considerando che il paziente aberga un ceppo di virus multiresistente.

C. Mussini (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) ha evidenziato nei pazienti immunocompromessi la maggior proporzione di pazienti che a oggi si presentano in ospedale con un’infezione severa da COVID-19. Su tali pazienti, poichè le fasi dell’infezione possono durare mesi, un solo farmaco può non essere sufficiente per ottenere una riposta duratura e questo apre un nuovo scenario per la ricerca e il trattamento. Ad oggi l’unica combinazione possibile è nilmatrevir + ritonavir + remdesevir. Le nuove varianti hanno, infatti, compromesso l’uso degli anticorpi monoclonali con l’unica eccezione di sotrovimab, che mantiene un certo grado di efficacia.

Ad oggi gli inibitori dell’integrasi sono la strategia globale per il trattamento dell’infezione da HIV. Nonostante nei pazienti naive nessuna mutazione di resistenza sia stata rilevata per dolutegravir (DTG) o bictegravir (BIC) e anche nella pratica clinica la resistenza sia rara, la mutazione R263K sembra essere caratteristica per la resistenza a questi farmaci (A. Wensing, University Medical Center Utrecht; C. Charpentier, Hopital Bichat-Claude Bernard, France). Fattori come infezione da sottotipo non-B, alta carica virale, basso numero di CD4, e presenza di coinfezioni, possono facilitare la selezione di varianti DTG resistenti (4). Diversi studi (5,6) sottolineano il ruolo di mutazioni in regioni genomiche diverse dall’integrasi, come la regione 3’PPT (3' polypurine tract), envelope e nucleocapside, nel conferire resistenza in coloro che falliscono DTG o BIC senza mutazioni nel gene dell'integrasi. Cabotegravir (CAB) è associato a bassa percentuale di fallimento virologico (1.3%) ma ad un’elevata emergenza di mutazioni (~75% dei casi) (trial ATLAS, FLAIR e ATLAS-2M).

La distribuzione globale dei sottotipi di HIV decritta da M. Parczewski (Pomeranian Medical University, Polonia), si è focalizzata su quelli a maggiore patogenicità, come il sotto-sottotipo A6 (K. Serwin, abstract #5), attualmente il più diffuso in Est Europa, che presenta mutazioni di resistenza per rilpivirina (RPV), una delle cause principali del fallimento dei regimi CAB+RPV. Questo lavoro ha identificato nei migranti e rifugiati le popolazioni più coinvolte nei network di trasmissione in Polonia dopo febbraio 2022. Recenti studi hanno mostrato una riduzione delle varianti con resistenza nei soggetti con soppressione virologica; V. Calvez (abstract #7) ha indagato i fattori associati alla scomparsa della mutazione M184V nel reservoir di HIV analizzando 22 pazienti soppressi, con la presenza nel DNA di questa mutazione, per 5 anni. A 2.5 anni la mutazione scompare nel 50% dei pazienti indipendentemente dal cutoff (2-5%). I fattori associati alla clearance sono risultati carica virale e conta dei CD4; a 5-6 anni la maggior parte dei pazienti aveva raggiunto la clearance.

La pandemia da SARS-CoV-2 ha contribuito allo sviluppo di siti web e algoritmi (S. Fourati) per la tipizzazione, l’identificazione delle mutazioni di resistenza e per l’analisi delle diversità genetiche nel tempo e nello spazio, anche per virus diversi da SARS-CoV-2 e HIV-1/2 come RSV (Figura 1).

 

Fig1

 

Il test di resistenza di HIV con NGS sta diventando sempre più importante nella pratica clinica seppure necessiti di standardizzazione e di un cutoff che garantisca l’affidabilità nella rilevazione delle resistenze senza compromettere l’accuratezza della sequenza (M. Santoro, Università di Roma Tor Vergata). I dati dell’NGS Network italiano (D. Armenia, abstract #8), suggeriscono che l’affidabilità del test di resistenza con NGS è influenzata negativamente dalla viremia (<10,000 copie/mL) e dai sottotipi non-B; solo le mutazioni con frequenza >10% sembrano essere rilevate con una concordanza accettabile tra i differenti tool di interpretazione. In pazienti viremici o virologicamente soppressi, l’NGS permette di rilevare circa il 70% delle mutazioni storiche, informazione utile anche in pazienti HTE (high treatment experieced)-MDR (multidrug resistant) di cui non si conosce il genotipo storico. Il cutoff del 5% permette di eliminare il "rumore di fondo" (mutazioni minoritarie in APOBEC e non indotte dal farmaco) e si rileva utile per individuare delle mutazioni minoritarie che potrebbero essere responsabili del fallimento virologico (D. Armenia, abstract #9).

C.F. Perno (Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma) ha sottolineato la necessità per la diagnostica dei virus respiratori di agire entro poche ore poiché si tratta di infezioni acute, di non classificare un patogeno come circoscritto solo ad una porzione del tratto respiratorio o ricercare patogeni solo sulla base del periodo di circolazione che può variare nel tempo. Anche per identificare le coinfezioni frequenti nei bambini (35% vs. 6% adulti)(2), test multiplex di RT-qPCR risultano la scelta migliore anche in termini di rapidità e costo. Spesso le singole infezioni risultano più rilevanti dal punto di vista clinico delle coinfezioni con l’eccezione delle coinfezioni virus-batteri. Uno studio condotto all’Ospedale Bambino Gesù nel corso del 2022 su 6969 campioni, ha evidenziato che il 58.3% dei bambini (età mediana di 2.4 anni) era positivo per almeno 1 virus, le monoinfezioni erano il 71%, le coinfezioni il 20.7% mentre l’8.2% presentava più di 2 virus.

S. Fourati (Université Paris-Est) ha fatto il punto sui farmaci per il trattamento e prevenzione del virus respiratorio sinciziale. Tra le proteine virali con elevata immunogenicità, la proteina F, implicata nell’ingresso del virus e nella fase di attacco nella conformazione altamente instabile di pre fusione, con un’identità del 91% tra i gruppi A e B, rappresenta un buon candidato, previa stabilizzazione della struttura, per vaccini e immunoprofilassi. Ad oggi, il solo vaccino ricombinante prodotto da GSK è stato approvato da FDA e EMA nei pazienti con età >60 anni. L’unico anticorpo monoclonale approvato per la prevenzione di RSV nei bambini a rischio di ospedalizzazione è palivizumab, ben tollerato e con pochi eventi di resistenza riportati, però richiede somministrazioni mensili (fino a 5) tramite iniezione intramuscolare. Non ancora approvato ma promettente è nirsevimab, un anticorpo monoclonale long-acting, a somministrazione pre-stagionale, che ha mostrato l’83% di riduzione dell’ospedalizzazione (3), mentre nessun farmaco antivirale è ad oggi approvato. Tra le questioni aperte rimangono l’efficacia di ribavirina, l’impatto del vaccino sull’efficacia degli antivirali, la possibilità di usare i monoclonali nei soggetti immunocompromessi e il fatto che circa il 10% dei pazienti possono sviluppare resistenza ai monoclonali.

C. Rodriguez (Paris-Est University) riporta che il virus Orthohepevirus C (HEV-C), descritto per la prima volta nel 2010 nei ratti e nel 2018 in infezioni umane in India, potrebbe essere emergente in Europa e ad oggi sotto-diagnosticato dagli attuali strumenti virologici (7). Sarebbe importante includere nelle linee guida lo screening dell’RNA di Orthohepevirus C in tutti i pazienti con epatite acuta indipendentemente dalla presenza o meno di anticorpi HEV-IgM (8). L’infezione da HDV risulta sotto-diagnosticata (M. Buti, Hospital General Universitari Valle Hebron, Spagna) nonostante il test sia raccomandato negli individui positivi per HBsAg. Tra i trattamenti disponibili, l’utilizzo dell’inibitore di ingresso bulevirtide (BLV) 2 mg è stato approvato nel 2020 in Europa ma rimane da approfondire la durata del trattamento anche in relazione alla tipologia di paziente e il suo utilizzo in combinazione con PEG-IFNα. Lonafarnib (LNF, inibitore della prenilazione) + ritonavir (RTV) + PEG-IFNα-2a, rappresenta una terapia orale promettente per il trattamento di HDV (studio di fase 3 D-LIVR).

L’obiettivo delle nuove strategie a breve termine è la cura funzionale di HBV finalizzata a eliminare gli antigeni HBsAg e sopprimere l’HBV-DNA anche una volta terminata la terapia (P. Lampertico, Università di Milano), e si differenzia dalla cura parziale con NA (inibitori nucleosidici e nucleotidici) a lungo termine, caratterizzata da livelli persistenti di HBV-DNA non rilevabili ma livelli di HBsAg rilevabili. Nonostante l’elevato numero di trattamenti disponibili, una diminuzione del 25-30% dei livelli di HBsAg a fine terapia è stato raggiunto con l’utilizzo di immunomodulatori. Bepirovirsen (ASO, antisense oligo) ha mostrato marcate riduzioni di HBsAg e HBV-DNA rispetto al placebo, in soggetti con epatite B cronica in trattamento con NA o senza trattamento all'inizio dello studio. I pazienti NA-soppressi trattati in combinazione con l’immunomodulatore siRNA (VIR-2218) + NA +PEG-IFNα presentano una riduzione di HBsAg maggiore rispetto alla monoterapia con VIR-2218.

S. Dijkstra (Massachusetts General Hospital and Harvard Medical School) sottolinea l’importanza dell’immunoterapia nei pazienti con infezione cronica da HBV nell’imitare la risposta immunitaria nei pazienti che controllano spontaneamente l'infezione, ottenendo una cura funzionale strettamente correlata con una robusta risposta CD4 HBV-specifica. Nuovi farmaci sono in via di sviluppo ma molte sono ancora le domande: quali pazienti, quali combinazioni e che programma utilizzare.

 

  1. Jensen BEO, Knops E, Cords L et al. In-depth virological and immunological characterization of HIV-1 cure after CCR5Δ32/Δ32 allogeneic hematopoietic stem cell transplantation. Nat Med. 2023;29:583–587.
  2. Mandelia Y, Procop GW, Richter SS, et al. Dynamics and predisposition of respiratory viral co-infections in children and adults. Clin Microbiol Infect. 2021;631.e1-631.e6.
  3. Simões EAF, Madhi SA, Muller WJ, et al. Efficacy of nirsevimab against respiratory syncytial virus lower respiratory tract infections in preterm and term infants, and pharmacokinetic extrapolation to infants with congenital heart disease and chronic lung disease: a pooled analysis of randomised controlled trials. Lancet Child Adolesc Health. 2023;7:180-189.
  4. Lübke N, Jensen B, Hüttig F, et al. Failure of Dolutegravir First-Line ART with Selection of Virus Carrying R263K and G118R. N Engl J Med. 2019;381:887-889.
  5. Hikichi Y, Groebner JL, Wiegand A, et al. Mutations outside integrase lead to high-level resistance to dolutegravir. CROI 2023, Seattle, Abs 103.
  6. Malet I, Subra F, Charpentier C, et al. Mutations Located outside the Integrase Gene Can Confer Resistance to HIV-1 Integrase Strand Transfer Inhibitors. mBio. 2017;8:e00922-17.
  7. Rodriguez C, Marchand S, Sessa A, et al. Orthohepevirus C hepatitis, an underdiagnosed disease?. J Hepatol. 2023;79:e39-e41.
  8. Rivero-Juarez A, Frias M, Perez AB, et al. Orthohepevirus C infection as an emerging cause of acute hepatitis in Spain: First report in Europe. J Hepatol. 2022;77:326-331.

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