A quaranta anni dalla scoperta del suo ruolo come agente responsabile dell’AIDS, il virus HIV ha cambiato volto.
Con l’introduzione della terapia antiretrovirale combinata (ART) l’infezione da HIV è diventata una condizione cronica, da cui non si guarisce ma con cui si può convivere a lungo. Inoltre, grazie agli straordinari progressi della ricerca, HIV è stato depotenziato e trasformato in un vettore virale utilizzato come “farmaco” in grado di curare alcuni tipi di tumori e malattie genetiche rare.
Come viene raccontato nel dettaglio nel recente libro La cura inaspettata: l’HIV da peste del secolo a farmaco di precisione (1), il 1996 fu anno cruciale nella storia di HIV-1, non solo perché vennero annunciati a tutto il mondo i risultati della highly-active ART durante la XI International AIDS Conference di Vancouver, ma anche perché rappresentò l’anno della svolta per le ricerche di terapia genica che si basano su HIV.
Nel 1996, infatti, lo scienziato Luigi Naldini e i suoi collaboratori pubblicarono su Science (2), la prima dimostrazione che i vettori lentivirali costruiti a partire da HIV erano in grado di trasferire ed integrare geni terapeutici nel DNA delle cellule umane in maniera stabile ed efficiente, aprendo la strada alla loro futura applicazione clinica. I vettori virali di ultima generazione sono stati disegnati in modo da eliminare parzialmente l’LTR virale durante il processo di integrazione nel DNA cellulare, consentendo di controllare meglio l’espressione del transgene e migliorandone la sicurezza.
I vettori lentivirali sono stati impiegati per trasferire geni terapeutici in linfociti per trasformarli in cellule “armate” contro i tumori del sangue oppure in cellule staminali ematopoietiche (CSE) per il trattamento di patologie genetiche, tra cui emoglobinopatie, malattie neurometaboliche (adrenoleucodistrofia cerebrale legata al cromosoma X, X-ALD; leucodistrofia metacromatica, MLD; mucopolisaccaridosi di tipo I e di tipo IIIA) ed immunodeficienze primitive (Sindrome di Wiskott-Aldrich, immunodeficienze severe combinate).
In tre casi (X-ALD, MLD e beta talassemia) le terapie sono diventate veri e propri farmaci approvati in Europa dall’EMA e/o negli USA dall’FDA (3).
Terapia genica per prevenire o controllare l’infezione da HIV-1
Diversi gruppi di ricerca e aziende farmaceutiche hanno sviluppato approcci innovativi basati su terapie geniche, in cui linfociti T CD4 o CSE isolate da paziente affetti da HIV sono modificate geneticamente per renderle capaci di eliminare cellule infettate da HIV (approccio offensivo) e/o resistenti all’infezione da HIV (approccio difensivo) (Figura 1).
Approccio “offensivo”
L’uso di linfociti T autologhi geneticamente modificati per riconoscere le cellule infette da HIV tramite un recettore antigenico chimerico (CAR) è stata una delle prime strategie di terapia genica per HIV sperimentata a livello clinico (4).
Nonostante questa prima generazione di CAR-T non abbia ancora mostrato efficacia nel controllare la viremia ed eradicare i virus latenti, negli ultimi anni sono stati attivati diversi studi clinici basati su CAR-T di terza generazione che hanno dato risultati pre-clinici promettenti (NCT03240328), soprattutto durante la fase attiva dell’infezione (5). Inoltre, studi recenti hanno mostrato come l’infusione di vettori adeno-associati (AAV), contenenti sequenze codificanti per numerosi anticorpi neutralizzanti contro antigeni del capside virale, risulta efficace nel controllare l’infezione di HIV in modelli di primati ed è stata sperimentata clinicamente come prevenzione per l’infezione da HIV (6).
Approccio “difensivo”
L’approccio “difensivo” è stato esplorato attraverso varie strategie. Il primo prototipo di vettore lentivirale fu sperimentato nell’uomo nel 2003. I soggetti sieropositivi (65 tra fase I e fase II) furono sottoposti ad infusioni ripetute di linfociti T autologhi, ingegnerizzati ex vivo con vettori lentivirali codificanti un RNA antisenso per la sequenza dell’envelope di HIV (lexgenleucal-T), con lo scopo di migliorare il controllo della carica virale. Questo studio ha mostrato la sicurezza dell’approccio, con l’attecchimento dei linfociti geneticamente modificati (fino a 5 anni), e ha evidenziato una selezione positiva delle cellule geneticamente modificate durante l’infezione (7). Tuttavia, dal momento che l’effetto terapeutico è stato modesto e che tutti i pazienti hanno riattivato l’infezione nel periodo di sospensione della terapia antiretrovirale, la ricerca non è proseguita oltre la fase II.
Un altro approccio difensivo, invece, si basa sulla scoperta che la delezione di 32 nucleotidi (D32) nel locus di CCR5 induce resistenza per HIV da tropismo R5, senza alterare la funzionalità delle cellule del sistema ematopoietico. Infatti, un paziente affetto da HIV (il cosiddetto “paziente di Berlino”) è stato curato con trapianto allogenico da donatore omozigote per la mutazione D32, e non ha mostrato riattivazione del virus in assenza di ART. Questa informazione è stata quindi sfruttata in diverse strategie che includono il gene editing, con lo scopo di eliminare (knock-out, KO) il gene CCR5, o l’RNA interference, in cui piccoli RNA sono utilizzati per degradare il trascritto di CCR5 causandone la ridotta espressione (knock-down) nelle cellule ingegnerizzate.
L’approccio gene-editing è stato usato per la prima volta nell’uomo in un gruppo di pazienti affetti da HIV che hanno ricevuto l’infusione di linfociti CD4+ autologhi ingegnerizzati con endonucleasi zinc-finger per eliminare il gene CCR5 (8). In un altro studio, un paziente con leucemia affetto da HIV ha ricevuto infusione di CSE, da donatore allogenico, modificate tramite gene-editing con CRISPR-Cas9 per eliminare l’espressione del gene CCR5. Questo studio ha mostrato per la prima volta che CSE modificate con gene-editing sono in grado di sopravvivere a lungo termine dopo trapianto. Nonostante il successo del trapianto, la percentuale di cellule negative per il CCR5 è risultata troppo bassa (intorno al 5-8%) per l’eliminazione dell’infezione da HIV (10). Inoltre, questa strategia non è in grado di eliminare i virus a tropismo X4, spesso presenti nei pazienti nelle fasi tardive della malattia.
Altri approcci difensivi, spesso utilizzati in combinazione tra loro, prevedono l’escissione del DNA virale integrato nel genoma delle cellule infette, l’inibizione di fattori essenziali per la replicazione virale e la riduzione dell’espressione di recettori coinvolti nel processo di ingresso del virus nella cellula bersaglio. Ad esempio, un unico vettore lentivirale codificante sia per il peptide C46, inibitore dell’ingresso virale, che per uno short-hairpin RNA (shRNA), per ridurre l’espressione di CCR5, è stato recentemente utilizzato per modificare geneticamente linfociti T CD4 e CSE di pazienti affetti da HIV in uno studio clinico di fase I (NCT01734850) (10). Questo studio ha mostrato come la strategia di combinazione sia necessaria per controllare l’infezione di HIV sia di tipo R5 che X4. Da poco, inoltre, è stato approvato il primo studio sperimentale di fase I per testare nell’uomo la sicurezza ed efficacia di una terapia di gene-editing in vivo basata su CRISPR/Cas9 per HIV. Il farmaco sperimentale basato su AAV viene somministrato per infusione endovenosa e ha lo scopo di tagliare un’ampia porzione del DNA pro-virale, minimizzando la sua capacità di rimanere latente (NCT05144386).
Nonostante lo sviluppo di enzimi per il gene-editing sempre più precisi, tutti prevedono la generazione di tagli all’interno del DNA delle cellule ingegnerizzate con conseguente rischio di creazioni di mutazioni non intenzionali in regioni diverse dal sito prescelto. Un’alternativa efficace che potrebbe superare questo problema è rappresentata dall’editing epigenetico. Questa strategia prevede l’utilizzo di enzimi chimerici, composti da una regione che riconosce il DNA pro-virale e di una che induce la metilazione delle isole CpG presenti nella sua sequenza, che causano una repressione trascrizionale stabile senza introdurre tagli nel DNA. Questo approccio è risultato molto efficace in modelli in vitro ed è attualmente in fase di sperimentazione in modelli pre-clinici di infezione da HIV (11).
Conclusione
Nonostante i progressi di terapia genica, nessuno degli approcci sviluppati ha ottenuto una completa eradicazione di HIV. La presenza di virus latenti in cellule e tessuti diversi, la capacità del virus di mutare per rendersi resistente alle strategie proposte, l'efficacia della modifica genetica e la persistenza delle cellule ingegnerizzate dopo infusione rappresentano le sfide biologiche e tecnologiche aperte. I recenti sviluppi nel campo della manipolazione delle cellule, nel disegno di enzimi per il gene-editing sempre più precisi e l’aumento dell’efficienza della correzione genetica connessi alla possibilità di combinare insieme diversi approcci, rendono la terapia genica all’avanguardia per lo sviluppo di un approccio definitivo per la cura di HIV.
- Aiuti A, Zaccheddu AM. La cura inaspettata: l’HIV da peste del secolo a farmaco di precisione. pp 219, Mondadori 2023.
- Naldini N, Blomer U, Gallay P et al. In vivo gene delivery and stable transduction of nondividing cells by a lentiviral vector. Science 1996;272(5259):263-7.
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