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Il loro valore aggiunto è l’osservazione prolungata della...

N.1 2023
Editoriale
Il contributo degli studi di coorte alla conoscenza dell’infezione da HIV ed al suo trattamento

Antonella d’Arminio Monforte
ASST Santi Paolo e Carlo - Polo Universitario, Milano

Il loro valore aggiunto è l’osservazione prolungata della risposta alla terapia e della possibile efficacia dell’inizio più o meno precoce della terapia

 

Fin dalle prime segnalazioni di casi di AIDS si è incominciato a raccogliere dati nella “disperata attesa” di trovare i rimedi alla altissima mortalità dei casi notificati: sono nate così alcune coorti per osservare il decorso della malattia.

Dai primi studi con zidovudina cui hanno fatto seguito la duplice terapia e poi finalmente la triplice (HAART), i pazienti con HIV/AIDS non sono più andati incontro alla inevitabile progressione di malattia e/o morte, ed il controllo dell’infezione da HIV ha portato alla cronicizzazione della malattia e al radicale cambiamento della loro prognosi.

Gli antiretrovirali hanno seguito le fasi registrative classiche degli altri farmaci ma con protocolli accelerati per avere rapidamente cure disponibili data la drammaticità della situazione. Ciò ha comportato alcune carenze e la necessità di una "verifica sul campo" nel cosiddetto real world della loro effectiveness, che tenga conto di efficacia, tossicità e tollerabilità a lungo termine.

A fianco dei trial, fin da subito, sono iniziati gli studi osservazionali, con lo scopo di prolungare nel tempo l’osservazione necessariamente ridotta dei trial, e applicare nel mondo reale l'effectiveness dei farmaco.

FigÈ in questo ambito che gli studi di coorte hanno acquisito enorme importanza: osservare quanto accade senza interferire determina la possibilità di verificare le strategie di gestione dei pazienti. Inoltre, e soprattutto, a differenza dei trial che non possono per loro natura durare a lungo, negli studi osservazionali il follow-up può essere prolungato, elemento essenziale per una valutazione più completa non solo di strategie terapeutiche ma anche di approcci diagnostici e flow-chart gestionali a lungo termine.

Sostanzialmente, i dati derivanti dagli studi di coorte hanno fornito informazioni in merito al valore predittivo di alcune variabili (non solo correlate ad HIV) sia sull’esito dell’infezione da HIV stessa, spesso definito come comparsa di patologie AIDS-defining o decesso, sia sullo sviluppo di alcune patologie non correlate all’infezione da HIV, come le comorbosità pre-esistenti o la tossicità della terapia antiretrovirale. Le malattie cardio-vascolari e le malattie renali, tra le comorbosità non infettive, sono state studiate specificatamente nelle coorti di persone che vivono con HIV (PLWH) in terapia, al fine di identificare il loro ruolo sulla progressione della stessa. Sono nati così, proprio dallo studio e dalla aggregazione dei dati derivanti dalle coorti, alcuni algoritmi gestionali di estrema importanza e utilità entrati poi nella gestione corrente delle PLWH.

Quindi, dall’analisi di possibili fattori predittivi di eventi clinici, attraverso lo studio dei dati delle coorti, si è arrivati alla identificazione degli stessi e quindi alla pianificazione di screening per la diagnosi precoce di patologie emergenti possibilmente collegata ad una terapia precoce e/o prevenzione.

Ma il vero valore aggiunto che gli studi di coorte hanno apportato alla conoscenza dell’infezione da HIV è dato dalla osservazione prolungata nel tempo non solo della risposta ai diversi regimi terapeutici, ma anche della possibile efficacia dell’inizio più o meno precoce della terapia. È così che si è potuto ipotizzare un inizio molto precoce della HAART, per poi dimostrarlo con trial con end-point (necessariamente) surrogati di eventi clinici, dato che i soggetti con scarsa immunodepressione vanno incontro tardivamente ad eventi clinici maggiori, quali quelli AIDS-defining, anche se non trattati (sicuramente non nel breve tempo di un trial clinico).

La dimostrazione dell’efficacia del trattamento molto precoce ha portato ad un cambiamento delle linee guida di terapia e ha dato origine ad una riduzione della viremia di popolazione, così che il beneficio sulla singola PLWH si è tradotto nel vantaggio di popolazione e lo stigma nei confronti degli infetti si è ridotto.

Le indicazioni al trattamento delle PLWH hanno accompagnato da subito la storia di questi pazienti e sono il frutto dei risultati ottenuti negli studi clinici randomizzati (RCT), arricchiti da quelli emersi dagli studi di coorte osservazionali in grado di leggere le diversità che vari fattori come etnia, genere, comorbosità, oltre alla differente scelta di cART (non a caso vengono declinati in linee guida nazionali). In questi ultimi anni i regimi di terapia impiegati, nei paesi a medio/alto tenore di vita, danno risultati molto simili per efficacia e tollerabilità e la stabilità della malattia da HIV riduce il peso che le patologie associate hanno sul management delle PLWH, pertanto il contributo delle grandi coorti internazionali in cui confluiscono vari gruppi di ricerca di diverse aree geografiche, finalizzate a raccogliere informazioni su obiettivi specifici come quello sulle donne del Botswana, in stato di gravidanza, condizione che esclude dagli RCT, può aiutare a delineare raccomandazioni omogenee ed universali per seguire le persone sieropositive con successo world wide.

Questo è a mio parere il contributo più prezioso che gli studi di coorte hanno dato alla conoscenza dell’infezione da HIV e al modo di contenerne la progressione nel singolo e la diffusione nella popolazione.

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