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Interazioni fra diabete tipo 2 ed infezione da HCV e conseguenti...

L’infezione da HCV, se non diagnosticata e trattata...

N.4 2023
Clinica Epatiti
Interazioni fra diabete tipo 2 ed infezione da HCV e conseguenti implicazioni cliniche

Valeria Piazzolla, Alessandra Mangia
UOSD Epatologia, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo, (FG)

L’infezione da HCV, se non diagnosticata e trattata precocemente, può aumentare il rischio di sviluppare diabete. Le persone con infezione cronica da HCV e diabete, beneficiando del monitoraggio gestionale del diabete, sono soggetti da privilegiarsi per uno screening agevolato dell’HCV

 

L’epatite cronica da virus C (HCV) è una delle maggiori cause di cirrosi ed epatocarcinoma. Secondo i dati disponibili al mondo ci sono ancora 71 milioni di individui con infezione da HCV attiva (1). Per la natura asintomatica dell’infezione, si stima che solo il 20% degli infetti abbia ricevuto una diagnosi e, secondo l’osservatorio Polaris, muoiono ancora a causa dell’HCV oltre 255.000 persone all’anno (2). In Europa, si calcola che vi siano ancora 28 milioni di persone con l’infezione, solo il 32% delle quali diagnosticate, e meno del 6% trattate (2). In Italia, Polaris stima 7674 morti all’anno. A questo numero vanno aggiunte le morti dovute alle patologie extraintestinali associate all’infezione da HCV (2).

Infatti, mentre le sequele dell’infezione da HCV correlate al fegato sono ben conosciute e caratterizzate, le manifestazioni extraepatiche dell’HCV ricevono generalmente una minore considerazione. Nell’elenco delle manifestazioni extraepatiche dell’HCV, oltre alla nota sindrome crioglobulinemica e al Linfoma Non Hodgkin a cellule B, va annoverata l’insulino resistenza (IR) che può progredire fino a diabete tipo 2 e alle conseguenze cardiovascolari correlate al diabete.

Infezione da virus C e insorgenza del diabete mellito

A partire dagli anni ’90 un crescente numero di evidenze epidemiologiche ha suggerito che l’epatite C si associa al diabete (3-9).

Una review sistematica ha dimostrato nel 2012 che il rischio di diabete, nei pazienti con infezione da HCV, aumenta di 1.6 volte rispetto ai controlli (95% CI 1.11-2.39) (10). Un’altra revisione sistematica, condotta nel 2018 ma non ancora pubblicata in extenso, stima una prevalenza globale di diabete del 19.6% nei soggetti con infezione da HCV (11). Tale prevalenza è significativamente più elevata della prevalenza di diabete nella popolazione generale pari - secondo un report della World Health Organization del 2016 - all’8.5% (12).

Il meccanismo molecolare che sta alla base del disturbo del metabolismo del glucosio nell’infezione cronica da HCV passa attraverso l’IR periferica che anticipa l’insorgenza di diabete in persone predisposte. La cirrosi, indipendentemente dall’eziologia, è causa di IR, ma nelle forme da HCV oltre il 50% dei soggetti con epatite cronica non cirrotica presenta IR indipendentemente dal peso, dall’età e dalle caratteristiche del virus (13). HCV è un fattore di rischio per IR e diabete mellito (3,4) attraverso il coinvolgimento di diverse vie che includono un effetto diretto del virus, dipendente dai diversi genotipi HCV, oppure l’attivazione di meccanismi pro-infiammatori o immunomediati che, insieme o indipendentemente, provochino una condizione di IR (5).

In particolare, è stato dimostrato che la proteina core dell’HCV promuove la riduzione della fosforilazione del substrato 1 del recettore dell’insulina (IRS-1) (6,7). Tale interferenza fra virus e omeostasi glucidica potrebbe avvenire con meccanismi differenti e specifici per i diversi genotipi dell’HCV. Infatti, nei pazienti con infezione da genotipo 3a, il recettore per l’insulina (IRS-1) subirebbe una degradazione proteosomiale attraverso l’attivazione del SOCS-3 (Suppressor of cytokine signaling). In questi pazienti, infatti, è stata dimostrata una up-regolation del SOCS-3 (8). Nell’infezione da genotipo 1b, invece, sembra che i livelli del recettore per l’insulina si riducano con un meccanismo differente legato all’induzione di mTOR (8,9). I meccanismi indiretti ipotizzati avere un ruolo nell’indurre l’IR sono invece legati allo stress ossidativo e potrebbero essere mediati dal TNF-alfa.

HCV e diabete: una malattia epatica più severa

I pazienti con epatite C cronica e diabete hanno un rischio più elevato di progressione della malattia epatica (14). Da una review condotta nel 2017 da Desbois et al. per studiare il rischio di anormalità del metabolismo del glucosio nei soggetti con infezione da HCV, è emerso molto chiaramente che in 26 dei 30 studi esaminati per la valutazione complessiva di oltre 450 pazienti con HCV e diabete vi era una significativa associazione fra anormalità del metabolismo del glucosio e severità della fibrosi epatica (OR da 1.28 a 13.72) (15).

Questa osservazione è in linea con altre evidenze (16) e supporta gli studi che hanno evidenziato che l’IR accelera la fibrogenesi nei pazienti con infezione cronica da HCV (17). Va inoltre ricordato, anche se questo non è oggetto del presente lavoro, che il diabete mellito si associa a steatosi epatica, una condizione che a sua volta contribuisce allo sviluppo della fibrosi.

Il diabete mellito è un noto fattore di rischio per il carcinoma epatico primitivo (HCC) (17). È stimato, sia in studi retrospettivi che in studi di metanalisi, che il rischio aumenti di 2 volte nei diabetici rispetto ai non diabetici (17,18). Una metanalisi del 2015, che includeva 21 studi di coorte e oltre 2500 casi di HCC, ha dimostrato nei pazienti cirrotici HCV positivi con diabete un rischio più elevato (1.93; 95% CI 1.37-2.63) rispetto ai pazienti cirrotici con diabete ed infezione da HBV (1.69, 95% CI 0.97-2.92) (19).

Infine, come dimostrato in uno studio condotto in Francia nel 2010, l’IR ed un Homeostasis model assessment index (HOMA index) più elevato sono predittori indipendenti di morte fegato relata e di trapianto (20). Sulla base di queste evidenze è necessario dimostrare se l’ottimizzazione del controllo glicemico nei diabetici con HCV possa aiutare a ridurre il danno epatico.

Benefici sul profilo glicemico della SVR alla terapia per HCV

Gli antivirali ad azione diretta (DAA), recentemente sviluppati per la cura dell’infezione cronica da HCV, hanno rivoluzionato il panorama del trattamento dimostrando, insieme a percentuali di risposta superiori al 95%, un ottimo profilo di sicurezza in popolazioni difficili da trattare come possono essere i pazienti con diabete e complicanze cardiovascolari o i pazienti con severo danno epatico nei quali l’interferone è controindicato. Pertanto, se l’eradicazione dell’infezione da HCV (risposta virologica sostenuta, SVR), individuata prima che la malattia sia in uno stadio avanzato, è in grado – come è stato ampiamente dimostrato – di prevenire la progressione verso la cirrosi e di ridurre il rischio di HCC associato all’HCV, è importante stabilire se, per i soggetti con diabete, essa sia in grado di ridurre il fabbisogno farmacologico dei diabetici o l’insorgenza di complicanze. La riduzione dell’IR dopo clearance virale è indipendente dal tipo di terapia utilizzata, infatti, è stata dimostrata per la prima volta da Delgado-Borrego nel 2010 nella corte dei pazienti HALT-C trattati con Interferone peghilato (21).

Diversi studi, ed in particolare una recente metanalisi condotta con estremo rigore nella valutazione delle evidenze disponibili, hanno dimostrato che il trattamento dell’epatite C si associa nel lungo termine alla riduzione dell’IR e alla riduzione dei casi incidenti di diabete (22-24). Questi benefici sono indipendenti dalle variazioni del BMI.

In uno studio condotto negli USA su oltre 2400 pazienti con infezione da HCV trattati con DAA, l’eradicazione dell’HCV ha portato alla riduzione dell’uso di insulina (41.3% vs 38%); al contrario, tra i non responder alla terapia è aumentato il numero dei soggetti che utilizzavano insulina (49.8% vs 51%) (25). Lo stesso gruppo ha dimostrato, dopo la SVR, un miglioramento dei valori di HbA1c ed una riduzione del consumo di antidiabetici nell’anno successivo alla terapia rispetto all’anno precedente (25).

Weidner et al. hanno osservato che, dopo il trattamento con DAA, il 27% dei pazienti sperimenta variazioni dell’omeostasi glicemica (26). Riduzioni dei livelli glicemici medi a digiuno e dell’HbA1c indipendenti dai cambiamenti del BMI sono state registrate dopo il trattamento con DAA anche da Ciancio et al. in una corte prospettica italiana. Gli autori, confrontando 101 pazienti con SVR e 21 pazienti che non hanno ottenuto SVR, riportano fra i soggetti che ottenevano una SVR una significativa riduzione della glicemia a digiuno e della HbA1c (27). Un altro studio osservazionale condotto in Italia da Adinolfi et al. ha confrontato 65 pazienti con HCV, diabete e fibrosi avanzata trattati e 65 non trattati evidenziando una prevalenza significativamente inferiore di IR fra i trattati rispetto ai non trattati, indipendentemente dalla presenza di fibrosi lieve, moderata o avanzata (28).

In uno studio pubblicato nel corso del 2023 da El-Bardy et al. si dimostra una percentuale ancora più elevata di miglioramento del controllo glicemico dopo la terapia; infatti il 37.6% della popolazione studiata presentava una riduzione dell’HbA1c dell’1% con differenze significative nei valori medi rispetto al basale in coloro che ottenevano la SVR.

Tab1Sebbene significativi benefici a breve o a lungo termine nei pazienti trattati con successo per HCV non siano stati unanimemente dimostrati, tutti gli studi confermano un miglioramento nel profilo glicemico e nel rischio di complicanze del diabete (Tabella 1). Possiamo ipotizzare che risultati differenti siano dovuti al limitato sample size di alcune corti o all’osservazione post-trattamento effettuata a troppo breve termine.

Una ipotesi interessante è stata verificata nello studio di Cacciolla et al. (30). Per riconciliare i risultati discordanti di qualche studio sul miglioramento dei parametri glicemici post trattamento con DAA nei diabetici con infezione da HCV, viene suggerito che la cura dell’HCV con i DAA possa portare ad un miglioramento dell’omeostasi glucidica nei pazienti senza danno avanzato, mentre si associ ad un miglioramento solo transitorio del controllo glicemico nei pazienti con cirrosi. Studi più recenti suggeriscono che età avanzata, ALT, bilirubina e glucosio elevati al basale sono predittivi di un più modesto miglioramento dell’omeostasi glucidica. Studi con un follow-up a più lungo termine hanno dimostrato che l’eradicazione di HCV si traduce in un ridotto rischio di diabete (Tabella 1). Queste evidenze, complessivamente enfatizzano la necessità di identificare a trattare precocemente i pazienti con diabete ed infezione attiva da HCV.

Quali meccanismi siano alla base del miglioramento nell’omeostasi glucidica dopo la SVR è ancora oggetto di studio; i risultati di uno studio caso-controllo prospettico hanno dimostrato un miglioramento della funzione delle cellule pancreatiche β, post clearance dell’HCV, suggerendo un’azione diretta del virus (24); altre ipotesi indicano invece che la spiegazione stia nell’interruzione di una condizione di infiammazione cronica con aumento dell’espressione epatica dell’IRS-1.

Strategia per l’eliminazione dell’HCV nei pazienti con diabete mellito

Nonostante la disponibilità di farmaci altamente efficaci, una recente survey condotta negli USA ha dimostrato come i DAA siano sotto utilizzati e come solo 2 su 3 pazienti eleggibili vengano attualmente trattati (31). La situazione non è diversa in Europa. In Italia, modelli matematici stimano che siano ancora circa 400.000 i soggetti con infezione attiva non ancora sottoposti a terapia (32).

Nella cascata di cura dell’epatite C che va dallo screening al trattamento sono state individuate numerose barriere che includono fattori economici, scarsa consapevolezza della malattia da parte dei pazienti, mancanza di un numero adeguato di figure professionali dedicate. Per queste ragioni un approccio basato sulla microeliminazione, avendo come target specifici gruppi di pazienti, risulta meno complesso e meno costoso di uno screening universale e consentirebbe di eliminare l’infezione da HCV fra i soggetti a rischio.

Per quanto finora esposto, i pazienti con diabete mellito tipo 2 sono fra i soggetti a rischio elevato di infezione da virus C e avrebbero la necessità di essere trattati il più precocemente possibile. Un lavoro effettuato in Canada su 1588 pazienti, di cui 150 con diabete, fa da supporto per lo screening dei diabetici in quel paese (33). In una corte francese che aveva come obiettivo l’analisi delle cause di un approccio alla cura per HCV tardiva, e che quindi includeva pazienti con danno epatico avanzato, il diabete era uno dei fattori indipendentemente associati a presentazione tardiva. Nello studio oltre il 48% dei casi che ricevevano una diagnosi tardiva erano diabetici (34).

Poiché i pazienti con diabete si sottopongono regolarmente a test ematici per il monitoraggio del profilo metabolico e della funzione epatica, lo screening per l’HCV senza la necessità di prelievi aggiuntivi è un approccio all’eliminazione dell’HCV facilmente realizzabile come dimostrano alcune iniziative di microeliminazione fra i pazienti diabetici recentemente riportate (35). Gli Autori hanno osservato un aumento della percentuale di screening, diagnosi e trattamento (35). Il migliorato compenso del diabete ed il miglioramento delle complicanze macrovascolari rappresentano un beneficio per il diabetologo che, indirizzando i pazienti allo screening per HCV, avrà sicuramente migliorato l’outcome del diabete.

 

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