Nell’editoriale pubblicato nello scorso numero di ReAdFiles, il Professor Guido Forni ha ribadito come la collaborazione e la competizione all’interno della comunità scientifica siano i cardini su cui si basa il progresso della ricerca; la condivisione dei risultati è il beneficio primario della scienza e rappresenta lo stimolo a intraprendere ulteriori ricerche. I fondamenti etici della ricerca sono dunque l’autenticità e l’attendibilità dei risultati ed un leale ed onesto confronto intellettuale fra i ricercatori, basato sul reciproco rispetto, stima e fiducia.
Sfortunatamente nei fatti non è così; emergono sempre più frequentemente manipolazioni nella comunicazione scientifica.
Nel mondo della ricerca ordinaria la motivazione è quasi sempre pragmatica. Si riassume nell’aforisma: “pubblica o muori”..., che riflette una spietata verità accademica. Per quanto valide le premesse teoriche e per quanto diligente il procedimento sperimentale seguito, è intrinseco nell’incognito della ricerca che una buona parte delle indagini scientifiche non raggiungano il successo sperato. Solo risultati positivi qualificano per la pubblicazione, e le pubblicazioni sono necessarie per progredire nella carriera accademica; tuttavia le riviste scientifiche accettano solo le conclusioni più robuste, per cui buona parte della ricerca è poco conteggiabile in termini di avanzamento accademico.
Non meraviglia dunque che ricercatori frustrati siano tentati di manipolare i dati in modo che essi divengano appetibili alle riviste mediche. La frode scientifica è sempre esistita ma è aumentata negli ultimi due decenni per l’aumento esponenziale nel mondo accademico di scienziati in fieri in Cina, in India ed in vari altri paesi; tuttavia, non è limitata ai nuovi venuti ma coinvolge anche consumati autori europei ed americani.
Il problema è stato analizzato di recente nel numero del 25 febbraio - 3 marzo 2023 di The Economist. Il modo più diretto per determinare le manipolazioni è la disamina delle pubblicazioni rimosse dai giornali (retractions) per motivi conflittuali emersi post-pubblicazione. Nelle due figure inserite, The Economist evidenzia l’aumento del tasso di retractions negli ultimi 15 anni. In cima alla lista vi sono la falsificazione dei risultati ed il plagio; tuttavia anche nel primo caso, la percentuale di frode derivabile dalle retractions non è apparentemente più dell’8 per 1000.
The Economist sottolinea che i dati ufficiali costituiscono una grossa sottostima dei raggiri scientifici, perché l’entità reale è ben più alta di quanto si potrebbe evincere dal numero di articoli rimossi. Il problema è la difficoltà ad individuare la manipolazione. Gli editori delle riviste mediche sottopongono i lavori scientifici al giudizio di referees qualificati, ma questi valutano la coerenza intrinseca del lavoro, non hanno strumenti né tempo per confrontarlo con la massa delle pubblicazioni pertinenti globali, che spesso assommano a centinaia. Sostiene The Economist che sarebbero necessari analisi e controlli dettagliati da parte degli Editori, che richiederebbero la disponibilità di uno staff esperto in statistica medica, il cui costo le riviste non sono disponibili a sostenere, anche perché poco interessate a svelare il dolo per possibili conflittualità legali. La rivista Plos One ha pubblicato nel 2009 18 inchieste di scienziati, soprattutto statunitensi, di cui il 2% ha ammesso di avere falsificato i risultati ed un terzo ha dichiarato di averli in parte manomessi, ad esempio omettendo dati contradditori od operando sostanziali modifiche al protocollo di ricerca nel corso dello studio; similmente in un’inchiesta condotta fra accademici inglesi pubblicata nel 2006, uno su cinque ha ammesso di avere fabbricato dati. Alcune manipolazioni possono avere un impatto negativo importante sulla pratica scientifica. Nel 2006 il Dottor Lesné ha pubblicato su Nature una correlazione tra l’insorgenza delle placche di amiloide nel cervello e la malattia di Alzheimer; la pubblicazione ha suscitato grande interesse ma non è stata confermata da successivi studi, nel frattempo però ha indirizzato un intero filone di ricerca nella direzione sbagliata.
Con l’aumento esponenziale dell’attività di ricerca si è moltiplicato a dismisura il numero di nuove riviste mediche disponibili alle pubblicazioni dei ricercatori. Esse reclamano serietà scientifica attestata dal referaggio preliminare ma impongono spesso una partecipazione economica consistente al proponente e poi vendono il prodotto scientifico con ricavi solo propri. Più che fornire uno strumento di seria divulgazione scientifica, appaiono spesso un business che garantisce a fronte del pagamento un facile accesso alla stampa biomedica; il controllo scientifico appare evasivo e non documentato ed i ricercatori sono sovente sollecitati direttamente dagli Editori ad inviare le ricerche ai loro giornali.
La nuova tendenza di divulgazione scientifica stravolge i criteri della selezione su cui si sono finora basati la valutazione del merito ed il progresso accademico.
In medicina, questo è basato principalmente sul conteggio del cosiddetto Impact Factor, parametro che misura il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati in una rivista scientifica nei due anni precedenti; provvede una valutazione empirica dell’importanza delle riviste stesse, quindi della credibilità scientifica del candidato. Finora Impact Factor rilevante è stato essenzialmente attribuito da un ristretto numero di riviste mediche gestite principalmente da circoli scientifici europei e nord-americani; esse garantiscono in modo critico ed indipendente la qualità dei dati e dell’informazione, seppur in modo talora restrittivo nell’accesso a ricercatori di altre parti del mondo. L’Impact Factor è tanto maggiore quando la circolazione dell’informazione è suddivisa fra poche riviste mediche esclusive; quando aumenta il numero delle riviste ed il numero dei ricercatori che vi accedono sale considerevolmente, l’Impact Factor delle nuove testate può diventare corposo per un semplice effetto “massa”, indipendentemente dal loro valore scientifico.
Ne deriva che pochi mediocri lavori pubblicati nelle nuove riviste possono conferire un Impact Factor simile a quello attribuito da un lavoro importante in una prestigiosa rivista tradizionale. Opportunamente, dunque, ha scritto il Professor Forni nel suo editoriale che nella valutazione del merito è oggi sempre più comune la tendenza a porre in secondo piano gli indici numerici, privilegiando invece un giudizio diretto sull’importanza scientifica dei risultati.
The Economist conclude che per amore della scienza gli studiosi dovrebbero forse fidarsi un po’ meno l’uno dell’altro, considerando con più attenzione i risultati altrui e cominciando a censurare quelli che nel loro ambito di competenza appaiono duplicati o verosimilmente falsificati.