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La terapia ART precoce | La TaSP, terapia come mezzo di...

La TaSP, terapia come mezzo di prevenzione, si basa su...

N.4 2022
Editoriale
La terapia ART precoce

Franco Maggiolo
ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo

La TaSP, terapia come mezzo di prevenzione, si basa su informazione e nuove modalità di diagnosi e offerta del test che superano l'impostazione ospedale-centrica. L'inizio rapido della ART grazie alle moderne terapie è indicato nelle infezioni iperacute, nelle donne gravide e per ridurre rapidamente il rischio di trasmissione nei soggetti promiscui

 

La terapia antiretrovirale (ART) precoce è oggi un obiettivo primario nella gestione delle persone che vivono con HIV (PLWH). Il concetto di terapia precoce può essere declinato in varie forme e rientra nel più ampio ambito della terapia come mezzo di prevenzione (TasP) che si è rivelato essere il miglior metodo, a mio avviso, di controllo epidemiologico dell’infezione da HIV.

TasP vuol dire in primo luogo, come ricordato dalle linee guida internazionali, terapia universale, cioè che ogni PLWH deve necessariamente ricevere un regime ARV indipendentemente dalla situazione clinica e/o immunitaria. In altre parole nessuna persona con HIV deve attendere oltremodo prima di ricevere la terapia.

Un importantissimo corollario di questa affermazione rimane l’individuazione dei soggetti con infezione. Se, almeno nel mondo occidentale, è abbastanza semplice offrire una adeguata terapia ad una persona con diagnosi di HIV, completamente diverso rimane l’obiettivo di identificare precocemente le persone con infezione che ignorano di essere sieropositive. Ridurre il numero di late presenter rimane un obiettivo primario sia a livello clinico individuale in quanto trattare precocemente l’infezione si associa ad outcome clinici e di sopravvivenza migliori, sia a livello sociale in quanto le persone che ignorano la propria positività possono continuare a diffondere l’infezione.

Far emergere il sommerso non è però semplice. Perché una persona si sottoponga al test è necessario che abbia, almeno lontanamente, la cognizione del rischio. Ciò significa fare giungere un messaggio preciso alla popolazione attraverso campagne di sensibilizzazione adeguate, non discriminanti e che non inducano alcune persone potenzialmente a rischio, cioè l’intera popolazione sessualmente attiva, a ritenersi indenni dal rischio stesso. Un altro passo fondamentale è l’educazione delle nuove generazioni ad una gestione attiva della propria salute sessuale attraverso un approccio che comprenda il controllo periodico del test HIV, ma anche delle altre malattie a trasmissione sessuale. Va da sé che l’informazione e l’educazione se disgiunte da nuove modalità di diagnosi probabilmente poco potrebbero fare nel controllo dell’epidemia. Mi riferisco a nuovi ed innovativi ambiti di offerta del test, di counseling e di implementazione della salute sessuale quali possono essere i check-point cittadini, le occasioni di testing presso sedi della Community o l’offerta di expertise e counseling a persone che decidono di eseguire il test a domicilio. In altre parole ritengo che l’impostazione ospedale-centrica della diagnosi, almeno di primo livello, debba essere superata. Ciò è particolarmente vero per le popolazioni particolarmente fragili e che più difficoltà incontrano ad interfacciarsi con le strutture istituzionali del SSN. Per queste popolazioni che includono, ma forse non sono limitate alle persone che fanno uso attivo di sostanze stupefacenti, alle persone senza fissa dimora, ai migranti e alle sex-workers, sono necessari interventi in grado di raggiungerle direttamente nelle loro sedi di aggregazione (ad es. dormitori, particolari zone cittadine etc.), di offrire test anonimi e gratuiti ed eventualmente di accompagnarli al percorso di cura. Direi che sui precedenti aspetti esiste una discreta uniformità di giudizio ed una notevole conformità della evidenza scientifica.

Rimane un ultimo aspetto, più controverso, che riguarda il timing dell’inizio della terapia antiretrovirale una volta eseguita la diagnosi. Questo aspetto è spesso indicato come rapid ART e si riferisce ad un inizio accelerato ed in alcuni casi lo stesso giorno della diagnosi della terapia antiretrovirale (same day ART). Questo sistema di gestione implica che la terapia venga iniziata senza disporre di molti, se non tutti, degli esami generalmente ritenuti rilevanti per decidere l’impostazione del regime terapeutico iniziale che, almeno storicamente, è sempre stato indicato come la miglior chance terapeutica in assoluto. Same day ART vuole dire iniziare la terapia con la sola positività anticorpale, terapia precoce (diciamo entro una settimana) vuol dire avere a disposizione gli esami ematochimici di base e la viremia. In ogni caso, vista l’attuale organizzazione della stragrande maggioranza dei centri clinici, vuol dire però ignorare il genotipo virale.

Iniziare la terapia senza genotipo basale, che però deve essere sempre eseguito anche se disponibile poi solo a posteriori, è reso possibile dalle moderne terapie che dimostrano una estrema potenza che si accompagna ad una barriera genetica molto elevata e per le quali sono state dimostrate solo sporadicamente resistenze trasmesse.

Se tutto sommato la terapia precoce risulta fattibile, vale però la pena di chiedersi se è anche utile. La maggior parte degli studi sulla terapia precoce sono stati condotti nei Paesi del sud del mondo dove le difficoltà di interazioni con le strutture sanitarie, i limiti logistici, la difficoltà di trasporto e lo stigma sono variabili preponderanti per le quali poter offrire una terapia attiva in poche ore può essere una strategia vincente. Analogamente esperienze condotte nel mondo occidentale su popolazioni particolarmente emarginate e homeless hanno avuto riscontri positivi. Ma, più in generale, pensando alle nostre nuove diagnosi viene da chiedersi se questo approccio manageriale sia vincente. Uno studio in Italia eseguito nell’ambito della coorte ICONA sembrerebbe negarlo. Restano però particolari situazioni in cui tale approccio potrebbe essere vincente. Certamente una rapid ART è indicata nelle infezioni iper-acute con basso valore di Fiebig, ancora nelle donne gravide specie se a presentazione tardiva e in quelle persone che attivamente richiedano una terapia precoce perché psicologicamente angosciate dal non fare immediatamente qualcosa contro il virus. Infine una possibile giustificazione di tipo epidemiologico-sociale potrebbe essere la necessità di ridurre rapidamente il rischio di trasmissione del virus in persone con comportamenti molto promiscui.

A mio parere tutte le attività in grado di estendere l’utilizzo della terapia antiretrovirale nella popolazione PLWH sono da perseguire per tentare di giungere al controllo dell’epidemia (U = U) e favorire i migliori outcome individuali.

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