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In Italia il trattamento di prima linea dell’epatocarcinoma...

N.3 2021
Clinica
Le prospettive nella terapia medica degli epatocarcinomi

Tiziana Pressiani1, Lorenza Rimassa1,2
1Oncologia Medica e Ematologia, Humanitas Cancer Center, IRCCS Humanitas Research Hospital
2Dipartimento di Scienze Biomediche, Humanitas University

In Italia il trattamento di prima linea dell’epatocarcinoma non suscettibile di trattamenti locoregionali è rappresentato da sorafenib e lenvatinib, regorafenib rappresenta uno standard di seconda linea nei pazienti in progressione e che hanno tollerato sorafenib, cabozantinib è approvato per il trattamento di seconda e terza linea nei pazienti in progressione o intolleranti a sorafenib.

 

L’epatocarcinoma è il più frequente tumore primitivo del fegato e la seconda causa di morte per cancro nel mondo. I pazienti candidati a terapia medica devono avere una buona funzione epatica (classe di Child-Pugh A) e non essere non suscettibili di trattamenti locoregionali.

Prima linea

Il trattamento di prima linea in Italia è rappresentato da sorafenib e lenvatinib, due inibitori multichinasici, assunti per via orale.

L’efficacia di sorafenib alla dose di 400 mg due volte al giorno continuativamente, è stata dimostrata in due studi di fase 3 randomizzati verso placebo, lo studio SHARP, nei paesi occidentali, e lo studio Asia-Pacific, in Asia.

In entrambi gli studi, il trattamento con sorafenib ha ottenuto un prolungamento statisticamente significativo della sopravvivenza globale (10,7 mesi vs 7,9 mesi) e del tempo alla progressione di malattia rispetto al placebo. Il trattamento è stato discretamente tollerato e gli eventi avversi più frequenti sono stati diarrea (39%), tossicità cutanea (hand-foot skin reaction, HFSR 21%; rash 16%), astenia (22%), ipertensione arteriosa (5%); gli eventi avversi di grado 3 sono stati HFSR e diarrea (8%).

L’insorgenza di eventi avversi dermatologici nei primi due mesi di trattamento è correlata con una migliore sopravvivenza ed è quindi importante la corretta gestione degli stessi per evitare l’interruzione definitiva della terapia. Analisi esploratorie hanno identificato fattori prognostici come alfafetoproteina (AFP) e invasione macrovascolare ma nessun marcatore predittivo di risposta a sorafenib. La riduzione dei livelli di AFP in corso di trattamento è correlata alla sopravvivenza.
Lo studio REFLECT randomizzato di fase 3 ha confrontato lenvatinib (12 mg/die per i pazienti con peso ≥60 Kg e 8 mg/die per i pazienti <60 Kg) con sorafenib, raggiungendo l’obiettivo primario di non inferiorità in termini di sopravvivenza globale (13,6 mesi vs 12,3 mesi). Lenvatinib è risultato superiore a sorafenib in tutti gli obiettivi di efficacia (Tabella 1).

I pazienti con coinvolgimento epatico ≥50%, invasione del tronco comune della vena porta o del dotto biliare erano esclusi dallo studio. Il profilo di tossicità e la qualità di vita con lenvatinib e sorafenib sono risultati simili, con una maggiore incidenza di ipertensione arteriosa, proteinuria e ipotiroidismo con lenvatinib e di HFSR e diarrea con sorafenib. Anche per lenvatinib è stata dimostrata la correlazione tra eventi avversi tra cui ipertensione, diarrea e proteinuria e miglior prognosi.
Un’analisi esploratoria ha mostrato nei pazienti responsivi a lenvatinib trattati con una terapia di seconda linea, incluso sorafenib, una sopravvivenza mediana di 26 mesi.

Nel maggio 2020 sono stati pubblicati i risultati dello studio IMbrave150, studio di fase 3 randomizzato che ha dimostrato la superiorità della combinazione di immunoterapia con atezolizumab (anti-PD-L1) 1200 mg e bevacizumab 15 mg/Kg ev ogni 3 settimane rispetto a sorafenib. I pazienti con varici esofagee non trattate o ad elevato rischio di sanguinamento erano esclusi dallo studio ed era richiesta l’esecuzione di esofagogastroduodenoscopia prima dell’attivazione del trattamento.

I dati sono stati aggiornati nel gennaio 2021 e hanno mostrato una mediana di sopravvivenza globale di 19,2 mesi nel braccio di combinazione e di 13,4 mesi con sorafenib, la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata di 6,9 vs 4,3 mesi.

La combinazione di atezolizumab e bevacizumab è risultata superiore a sorafenib anche in tutti gli altri obiettivi di efficacia (Tabella 2). Il trattamento con atezolizumab e bevacizumab si è dimostrato ben tollerato, con un vantaggio in termini di qualità di vita e gli eventi avversi più frequenti sono stati ipertensione (29,8%), fatigue (20,84%) e proteinuria (20,1%). Analisi esploratorie hanno confermato l’efficacia e il profilo di tollerabilità della combinazione atezolizumab più bevacizumab in tutti i sottogruppi di pazienti analizzati. Sulla base dei risultati dello studio IMbrave150 la combinazione di atezolizumab e bevacizumab è stata approvata negli Stati Uniti (FDA) e in Europa (EMA) ma al momento della stesura dell’articolo non è ancora disponibile in Italia.

Seconda linea e successive

In Italia il trattamento di seconda linea per pazienti pretrattati con sorafenib prevede due inibitori multichinasici: regorafenib, assunto per via orale alla dose di 160 mg al giorno per 3 settimane ogni 4 settimane, e cabozantinib, alla dose di 60 mg al giorno consecutivamente. Non vi sono invece dati di studi di fase 3 per il trattamento di seconda linea dopo prima linea con lenvatinib o atezolizumab e bevacizumab. Per questi pazienti in Italia la seconda linea di trattamento deve prevedere sorafenib eventualmente seguito da cabozantinib in terza linea.

Regorafenib è stato valutato nello studio RESORCE di fase 3 randomizzato verso placebo in pazienti in progressione di malattia a sorafenib che avessero tollerato il precedente trattamento con sorafenib. Lo studio ha dimostrato un vantaggio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza globale (10,6 mesi vs 7,8 mesi) e regorafenib è risultato statisticamente superiore al placebo in tutti gli obiettivi di efficacia (Tabella 3).

Regorafenib è risultato complessivamente ben tollerato, non è stato osservato un peggioramento della qualità di vita e gli eventi avversi di grado 3-4 più frequenti sono stati ipertensione (15%), HFSR (13%), astenia (9%) e diarrea (3%). Analisi esploratorie hanno confermato il ruolo prognostico dei valori basali di AFP e la correlazione tra riduzione dell’AFP in corso di terapia e tra tossicità cutanea e sopravvivenza globale. Inoltre, in un sottogruppo selezionato di pazienti che avevano ricevuto sorafenib seguito da regorafenib è stata osservata una sopravvivenza mediana di 26 mesi dall’inizio della terapia con sorafenib, rispetto a 19,2 mesi con placebo.

Cabozantinib è stato testato nello studio CELESTIAL di fase 3 randomizzato verso placebo, come trattamento di seconda e terza linea, in pazienti pretrattati con sorafenib. Lo studio ha dimostrato un vantaggio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza globale con una mediana di 10,2 mesi rispetto a 8,0 mesi. Cabozantinib è risultato statisticamente superiore al placebo anche negli altri obiettivi di efficacia.

L’efficacia è stata confermata nei pazienti in seconda linea pretrattati con solo sorafenib, con una sopravvivenza globale di 11,3 mesi rispetto a 7,2 mesi e una sopravvivenza libera da progressione di 5,5 mesi rispetto a 1,9 mesi (Tabella 3).

Cabozantinib è risultato complessivamente ben tollerato, è stato osservato un beneficio in termini di qualità di vita e gli eventi avversi di grado 3-4 sono stati tossicità cutanea (17%), ipertensione (16%), incremento delle transaminasi (12%), astenia e diarrea (10%).

Analisi esploratorie hanno confermato l’efficacia e la tollerabilità di cabozantinib in tutti i sottogruppi analizzati, il ruolo prognostico dei valori basali di AFP e la correlazione tra riduzione dell’AFP in corso di terapia e tra tossicità cutanea e ipertensione di grado ≥3 e prognosi.

Inoltre, in un sottogruppo selezionato di pazienti che avevano ricevuto sorafenib per almeno 6 mesi e cabozantinib come terapia di seconda linea è stata osservata una sopravvivenza mediana di 29,9 mesi dall’inizio della terapia con sorafenib, rispetto a 25,8 mesi con placebo.

Un ulteriore studio di fase 3, lo studio REACH-2, ha valutato ramucirumab, anticorpo monoclonale anti-VEGFR2, in pazienti pretrattati con sorafenib e con valori basali di AFP ≥400 ng/ml, dimostrando un vantaggio statisticamente significativo con ramucirumab rispetto a placebo, una buona tollerabilità e un beneficio in termini di qualità di vita.

Lo studio REACH-2 è il primo studio di fase 3 positivo in pazienti con epatocarcinoma selezionati sulla base di un biomarcatore predittivo. Il farmaco non è ad oggi disponibile in Italia.

Ulteriori dati di immunoterapia e studi in corso

La combinazione di atezolizumab e bevacizumab è ad oggi l’unica immunoterapia che ha dimostrato la sua efficacia nell’epatocarcinoma in uno studio di fase 3. Studi di fase 1/2 hanno mostrato dati molto promettenti in termini di efficacia e di tollerabilità per nivolumab e pembrolizumab (anti-PD1) in monoterapia e per la combinazione di nivolumab e ipilimumab (anti-CTLA4) e di durvalumab (anti-PD-L1) e tremelimumab (anti-CTLA4) nei pazienti pretrattati con sorafenib. Sono stati osservati tassi di risposta fino a circa il 30%, sopravvivenza mediana in prima linea di 28,6 mesi e in seconda linea fino a circa 24 mesi. Questi dati hanno portato all’approvazione FDA di nivolumab, pembrolizumab e nivolumab più ipilimumab in seconda linea.

Successivi studi di fase 3 con nivolumab verso sorafenib in prima linea e con pembrolizumab verso placebo in seconda linea sono risultati negativi pur confermando la buona tollerabilità e qualità di vita associati all’immunoterapia. Inoltre, studi di fase 1b hanno evidenziato risultati molto promettenti per la combinazione di inibitori tirosinchinasici e immunoterapia, come lenvatinib e pembrolizumab in prima linea con tassi di risposta di circa il 40% e sopravvivenza mediana di circa 22 mesi.
Sulla base di questi dati sono in corso studi di fase 3 che stanno valutando combinazioni di inibitori tirosinchinasici e inibitori dei checkpoint immunitari o di due inibitori dei checkpoint immunitari in prima linea rispetto a sorafenib o lenvatinib.

 

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