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La proposta diagnostico-terapeutica elaborata con clinici...

N.3 2021
Clinica
Quale approccio clinico-terapeutico a domicilio per COVID-19?

Fredy Suter
MD, Azienda Socio-Sanitaria Territoriale (ASST) Papa Giovanni XXIII, Bergamo

La proposta diagnostico-terapeutica elaborata con clinici dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo consentirebbe ai medici di famiglia di assistere i pazienti in prima persona con l’impiego di farmaci di uso comune.

 

L’attenzione dei sanitari si è concentrata, durante tutta l’epidemia di COVID-19, sulle possibili cure ospedaliere e solo marginalmente medici e ricercatori si sono dedicati all’assistenza domiciliare. Mancano, in questo senso, studi clinici specifici, se non relativi a qualche singolo farmaco. Un corretto e attivo approccio a domicilio è realmente possibile? Personalmente credo di sì. In collaborazione con alcuni clinici e ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Bergamo, abbiamo perciò elaborato e proposto un algoritmo operativo con raccomandazioni clinico-terapeutiche per la cura a domicilio dei pazienti COVID-19 all’esordio dei sintomi, senza attendere l’esito di un eventuale tampone naso-faringeo, laddove vi fosse la difficoltà a farlo in tempo utile (1). Infatti, nei primi 2-3 giorni dell’infezione da coronavirus, la malattia è in fase di incubazione e il paziente presenta scarsi sintomi. Nei 4-7 giorni successivi la carica virale aumenta facendo comparire i primi sintomi (tra cui tosse, febbre, stanchezza, dolori muscolari, mal di gola, nausea, vomito, diarrea) che indicano un processo infiammatorio iniziale in risposta all’infezione virale. Ma ne può seguire una fase di eccessiva infiammazione che rappresenta il substrato su cui si può instaurare la polmonite interstiziale caratteristica di COVID-19. Iniziare a curare a domicilio il paziente trattandolo come si farebbe in qualsiasi altra infezione respiratoria assumendo un farmaco antinfiammatorio, fa sì che l’organismo limiti l’entità della risposta infiammatoria attivata per contrastare l’infezione virale. È da rilevare come dall’inizio dell’epidemia i farmaci antinfiammatori non-steroidei (FANS) e lo stesso cortisone erano stati sconsigliati per il rischio di peggiorare l’evoluzione dell’infezione. Di fatto queste obiezioni sono state smentite dalle esperienze cliniche e il cortisone è stato riconosciuto come il farmaco più efficace per contrastare la fase flogistica e in particolare la polmonite e la vasculite, nella malattia conclamata.

Agire sulla fase infiammatoria

Mentre nella prima fase della malattia, quando la replicazione virale è intensa, possono svolgere un ruolo rilevante i farmaci antivirali quali remdesivir, gli anticorpi monoclonali e il plasma iperimmune, nella fase infiammatoria, favorita principalmente dall’attivazione dell’enzima cicloossigenasi-2 (COX-2), la terapia, specie in caso di danni d’organo, non può che essere rivolta a limitare la flogosi. Da qui l’interesse per i FANS, più specificamente quelli relativamente più selettivi nell’inibire l’attività di COX-2 rispetto a quella dell’enzima COX-1, quali nimesulide, celecoxib e simili (2). Altri FANS, inclusi acido acetilsalicilico, ketoprofene e ibuprofene hanno un effetto inibitorio equivalente su COX-1 e COX-2 o prevalente su COX-1.

Una proposta di intervento a domicilio

Da queste considerazioni nasce la proposta diagnostica-terapeutica per COVID-19 a domicilio presentata in una pubblicazione (versione aggiornata novembre 2020) in cui si illustra il razionale farmacologico e clinico per l’uso dei vari farmaci potenzialmente attivi nelle fasi iniziali infiammatorie della malattia (1). Con la collaborazione di 7 medici di famiglia e il coordinamento dell’Istituto Mario Negri, è stato condotto uno studio retrospettivo in 90 pazienti COVID-19 trattati a domicilio entro il 31 gennaio 2021, seguendo l’algoritmo di raccomandazioni proposto, partendo dai FANS (3). Questo gruppo è stato confrontato con 90 pazienti COVID-19 trattati a domicilio con regimi terapeutici diversi da quelli proposti. Questi soggetti erano paragonabili per età, genere, comorbidità e sintomatologia all’esordio e reclutati nella provincia di Bergamo durante la prima fase dell’epidemia (2020), nell’ambito di una ricerca precedente (studio ORIGIN), condotta dall’Istituto Mario Negri allo scopo di verificare eventuali fattori genetici che predispongono alla malattia (3). La durata della malattia e dei sintomi non sono apparsi sostanzialmente diversi nei due gruppi, mentre i soggetti ospedalizzati sono stati 2 (2,2%) nel gruppo dei soggetti trattati secondo l’algoritmo proposto e 13 (14,4%) nel gruppo di confronto trattato in modo tradizionale (principalmente con paracetamolo). Considerati i limiti dello studio che non è prospettico, né randomizzato, è ovvio che sono necessarie conferme di questi risultati. In termini descrittivi, sono stati trattati a domicilio circa altri 400 pazienti con il nostro protocollo e il tasso di ospedalizzazione si è mantenuto nell’ordine del 2%. Da segnalare anche che uno studio recente pubblicato da Lancet Respiratory Medicine propone un trattamento precoce per il COVID-19 utilizzando basse dosi di cortisone per via inalatoria (budesonide) con risultati simili a quelli da noi ottenuti in termini di riduzione dei casi gravi che richiedono ospedalizzazione (4). Sembra quindi che una terapia antinfiammatoria con FANS o con budenoside, iniziata fin dai primi sintomi manifesti del COVID-19, anche prima dell’esito del tampone, possa attenuare i disturbi della “fase virale” simil-influenzale, ma sia anche in grado di favorire un controllo, almeno parziale, della successiva esasperata risposta citochinica della malattia.

I nostri risultati sono stati ottenuti grazie a medici di famiglia attenti ed impegnati a seguire assiduamente i pazienti in tutte le fasi della malattia. Se confermata, la nostra proposta di approccio clinico-terapeutico ai pazienti COVID-19 a domicilio può consentire di assisterli in prima persona, per la sua semplicità e per l’impiego di farmaci di uso comune e potrebbe essere adottata diffusamente dai medici del territorio con lo scopo di riappropriarsi del loro ruolo insostituibile (e del loro prestigio messo a dura prova da questa pandemia!). È infine da sottolineare che nelle più recenti linee guida ministeriali per l’approccio domiciliare al COVID-19 è stato autorizzato l’impiego di farmaci antinfiammatori.


Approccio clinico-terapeutico per COVID-19 a domicilio: una proposta

 
OBIETTIVI

  • Prevenire la fase infiammatoria della sindrome
  • Limitare i ricoveri in ospedale
  • Controllare rapidamente i sintomi e i disturbi clinici
  1. Iniziare il più precocemente possibile nimesulide 100 mg 1 cpr al mattino, 1 cpr alla sera o celecoxib 100/200 mg 1 cpr al mattino, 1 cpr alla sera o acido acetilsalicilico 500 mg 1 cpr al mattino, 1 cpr alla sera. (La scelta dell’uno o dell’altro farmaco può essere fatta sulla base di patologie epatiche che sconsigliano nimesulide o di patologie cardiache che sconsigliano celecoxib). Non consigliato paracetamolo per la sua limitata attività antinfiammatoria. Opportuna associazione con inibitori della pompa protonica.
  2. Dopo circa 3 gg dall’esordio (o quando sono trascorsi più giorni e si vede il paziente per la 1° volta) eseguire prelievo**(a domicilio) per emocromo, PCR, D-dimero, creatinina, ALT, glicemia.
  3. Se non ci sono indici di flogosi alterati e il D-dimero è normale si prosegue con nimesulide o celecoxib o acido acetilsalicilico per un totale variabile di 8-12 gg. Le dosi dei singoli farmaci possono essere ridotte dopo i primi giorni in base alla evoluzione clinica favorevole.
  4. Dopo ulteriori 4-8 giorni, specie in presenza di sintomi anche modesti (febbricola, tosse, rinite, odinofagia, dolori, astenia marcata) si procede a un secondo prelievo, ripetendo gli stessi esami.
  5. In presenza anche di modesta alterazione del D-dimero si inizia eparina 4000 U/die s.c.
  6. In presenza di rialzo degli indici di flogosi (PCR, leucocitosi, neutrofilia) o saturazione O2 < 94% (in aa) si esegue un Rx o una ecografia del torace e, in genere, si inizia cortisone (la dose può essere variabile; si propone desametazone  8 mg 1 fl x os o im dopo colazione, x 3 gg, poi desametasone 4 mg x 3 gg, poi desametasone 2 mg x 3 gg la terapia steroidea può essere prolungata di qualche giorno, in caso di polmonite interstiziale o in base alla evoluzione clinica non favorevole). Quando si inizia lo steroide si sospende nimesulide/celecoxib/acido acetilsalicilico. Nei rari casi in cui persiste febbre o in presenza di una polmonite interstiziale si può aumentare la dose di cortisone o aggiungere allo steroide nimesulide 1 cpr da 100 mg/die. Si prosegue il trattamento con inibitori di pompa protonica.
  7. L’antibiotico (azitromicina 500 mg 1 cpr/die o amoxiclavulanato 2-3 g/die x 6-8 gg) si riserva ai soggetti con sospetta o confermata polmonite batterica, sospetta infezione batterica secondaria delle vie respiratorie superiori, o in soggetti molto fragili.

** L’esecuzione del prelievo non è indispensabile, specie nei pazienti a decorso favorevole


Bibliografia

  1. Suter F, Perico N, Cortinovis M, Remuzzi G. A recurrent question from a primary care physician: How should I treat my COVID-19 patients at home? An update. Clin Med Invest. 2020;5:1-9.
  2. FitzGerald GA, Patrono C. The coxibs, selective inhibitors of cyclooxygenase-2. N Eng J Med. 2001; 345(6):433-42.
  3. Suter F, Consolaro E, Pedroni S, et al. A simple, home-therapy algorithm to prevent hospitalisation for COVID-19 patients: A retrospective observational matched-cohort study. EClinicalMedicine. 2021; Jun 9;100941.
  4. Ramakrishnan S, Nicolau DV Jr, Langford B, et al. Inhaled budesonide in the treatment of early COVID-19 (STOIC): a phase 2, open-label, randomised, controlled trial. Lancet Resp Med.2021;9(7):763-772.

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