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N.3 2021
Editoriale
Rapporto ospedale-territorio in Inghilterra: focus su COVID-19

Marta Boffito
MD, PhD, FRCP Chelsea and Westminster Hospital & Imperial College Londra
 

I servizi sanitari di tutto il mondo si sono dovuti adeguare alle conseguenze della pandemia modificando l’organizzazione dell’offerta assistenziale: ecco come il servizio sanitario britannico ha affrontato l’emergenza.

 

Nel corso dell’ultimo anno i servizi sanitari di tutto il mondo si sono dovuti adeguare alle conseguenze dirette e indirette della pandemia di COVID-19 modificando l’organizzazione dell’offerta assistenziale con risultati spesso molto diversi tra loro. Le raccomandazioni iniziali dell’ OMS come pure quelle emanate da numerosi governi nazionali si sono concentrate principalmente sull’assistenza ospedaliera e su misure di salute pubblica, mentre l’assistenza sanitaria a carico della medicina generale ha ricevuto minore attenzione politica sia a livello globale sia nel Regno Unito in particolare. Presentiamo a seguire una breve analisi di come il servizio sanitario britannico ha affrontato l’emergenza pandemica.

All’esordio della pandemia gli ospedali nei cui pronto soccorso si sono riversati i primi casi sintomatici sono stati i principali centri di trasmissione dell’infezione da coronavirus, con tassi di mortalità del 40% nei pazienti ricoverati nelle unità di terapia intensiva, e numeri elevati di pazienti deceduti in solitudine.

Sia gli ospedali che i centri di medicina generale hanno dovuto affrontare la pandemia con strutture inadeguate e strumenti di diagnosi e cura insufficienti, in assenza di strategie per supportare la gestione domiciliare dei pazienti, per ridurre i ricoveri o gli accessi non necessari in pronto soccorso, e per ottimizzare l’uso delle risorse del servizio sanitario nazionale.

Per quanto riguarda la risposta al COVID-19 fornita dalla medicina generale, la rapida trasformazione dell’assistenza resa possibile dall’introduzione di consultazioni telefoniche, via e-mail e tramite videochiamate ha permesso una certa continuità di assistenza, sebbene solo alcuni gruppi selezionati di persone abbiano potuto ricevere consultazioni di persona: si è trattato di quei pazienti per i quali l’esame obiettivo avrebbe potuto cambiarne la gestione in modo rilevante, e per i quali il beneficio della visita superava il rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2.

Per i pazienti sintomatici, è stato creato un call center dedicato (NHS 111) in grado di assicurare un rapido accesso ai test molecolari per SARS-CoV-2. Nonostante l’utilizzo del call center abbia favorito la diagnosi immediata, esso ha portato ad un utilizzo eccessivo delle risorse legate alla medicina generale a livello territoriale, contribuendo a ridurre la possibilità di fornire appropriate risposte diagnostiche e terapeutiche per far fronte all’ondata epidemica.

Tra i principali limiti mostrati dal servizio di call center spicca l’inaccessibilità da parte del personale alle cartelle cliniche dei pazienti: il mancato accesso ad alcune informazioni fondamentali, quali le condizioni di salute generale e la situazione sociale dei pazienti, si è di fatto tradotto in un supporto insufficiente. Inoltre poiché il personale impiegato nel call center era stato istruito soltanto sulla gestione della fase acuta del COVID-19, non è stata data ai pazienti l’opportunità di avere supporto laddove c’era la necessità di assistenza prolungata per il COVID-19 (Long COVID) o per altre condizioni di salute.

Uno dei setting  che ha maggiormente sofferto le conseguenze di un insufficiente supporto da parte della medicina generale è quello rappresentato dalle case di cura (care homes), dove l’assistenza fornita dai medici di medicina generale ha fortemente risentito della modalità di lavoro a distanza.  

Inoltre, la situazione delle care homes nel Regno Unito, come in molti altri paesi, è stata aggravata dall’inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale e dall’insufficiente disponibilità di test diagnostici per il COVID-19 destinati al personale ed agli ospiti, perdendo di conseguenza l’opportunità di contenere la diffusione dell’infezione. 

Nel corso degli ultimi sei mesi, la medicina generale è stata principalmente dedicata alla vaccinazione di milioni di persone, dato che a meno di un anno di distanza dalla scoperta di SARS-CoV-2, sono stati studiati ed approvati vaccini e piattaforme vaccinali in grado di ottenere risultati strabilianti.

Nel Regno Unito il programma vaccinale ha ottenuto risultati eccezionali attraverso l’utilizzo di tre canali di somministrazione dei vaccini: gli ospedali, le sedi coordinate dai medici di base e, più recentemente, gli hub vaccinali, spesso coordinati sia dallo staff ospedaliero che da quello del centro di medicina generale. 

Il fatto non sorprende, dato che il Regno Unito - paese contraddistinto da uno dei programmi vaccinali tra i più rapidi - è caratterizzato da un solido ed efficiente Sistema di sanità pubblica e da uno dei sistemi di assistenza sanitaria tra i più solidi al mondo. La medicina generale si è trovata nella condizione ideale per ottenere alte percentuali di individui vaccinati contro il COVID-19 (con oltre il 50% della popolazione che ha ricevuto due dosi di vaccino ad oggi) grazie all’esistenza di programmi di vaccinazione su larga scala già collaudati ed organizzati ogni anno contro l’influenza, ed allo stretto rapporto che la popolazione ha con il medico di famiglia.

Purtroppo non mancano le notevoli conseguenze indirette della pandemia sulla salute delle persone, infatti, si stima siano milioni le persone attualmente  in attesa di interventi diagnostici  e terapeutici per altre patologie sia sul territorio che negli ospedali e si pensa che saranno necessari più di due anni per recuperare il tempo dedicato unicamente alla prevenzione e alla cura del COVID-19.

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