L’introduzione dei farmaci antivirali diretti contro il virus dell’epatite C (HCV) ha rivoluzionato la gestione dei pazienti con epatite C cronica, consentendo di raggiungere l’eradicazione dell’infezione nella quasi totalità dei pazienti trattati (anche nella cirrosi avanzata) con controindicazioni modeste e un basso tasso di eventi avversi.
Dal punto di vista clinico, l’eradicazione di HCV si traduce in una drastica riduzione del rischio di progressione della malattia epatica e di morte, soprattutto nei pazienti che iniziano il trattamento privi di segni di malattia epatica avanzata (1). A tal proposito, un recente studio, condotto in un’ampia coorte di pazienti con infezione cronica da HCV (N>100.000) con FIB-4 <1,45 o compreso tra 1,45 e 3,24, ha mostrato come il raggiungimento della sustained virological response (SVR) (marcatore funzionale di eradicazione del virus) determini una riduzione rispettivamente del 67% e 71% del rischio di morte (2).
Rischio di HCC dopo cura virologica
Nonostante questo enorme successo, tuttavia, il rischio di progressione o complicanze della malattia epatica nei pazienti con fibrosi e cirrosi rimane in alcuni pazienti anche dopo la cura virologica. Infatti il rischio di sviluppare carcinoma primario epatocellulare (HCC) persiste soprattutto quando è presente una malattia epatica cronica sottostante, sia nei pazienti con una storia di HCC, che senza (3).
In particolare, uno studio prospettico, condotto su pazienti cirrotici trattati con antivirali diretti contro HCV (DAA), ha mostrato un tasso di sviluppo di HCC dopo 1 anno di trattamento del 2,1% e del 7,8% nei pazienti che hanno raggiunto la SVR appartenenti rispettivamente alla Classe A e B dello score Child-Pugh (4).
Fortunatamente, ulteriori studi hanno mostrato che il rischio residuo di insorgenza di HCC dopo l'eradicazione dell'HCV si riduce progressivamente nel tempo dopo raggiungimento della SVR (3).
I meccanismi patogenetici che sottendono lo sviluppo o la recidiva di HCC anche dopo eradicazione virale non sono stati ancora delineati. È stato ipotizzato che la drastica riduzione della carica virale possa causare una de-regolazione della risposta immunitaria che potrebbe favorire l’espansione clonale delle cellule epatiche andate incontro a trasformazione neoplastica e conseguentemente la crescita di lesioni precancerose esistenti.
È ben noto infatti che l'infezione da HCV sia in grado di attivare un’importante risposta immunitaria intraepatica, caratterizzata da un’aumentata espressione dei geni associati all'IFN e da un’attivazione dei linfociti Natural Killer (5, 6). Alcuni studi hanno suggerito che la clearance di HCV indotta da DAA possa inibire l'attivazione immunitaria intraepatica da parte dell'IFN, così come confermato dalla diminuzione dei livelli di CXCL10 e CXCL11 e dalla normalizzazione del fenotipo e della funzione dei linfociti Natural Killer (5). In particolare, è stato identificato un set di 12 mediatori immunitari tra cui citochine, fattori di crescita e marcatori di proliferazione/apoptosi, i cui livelli sierici erano significativamente più elevati prima del trattamento con DAA nei pazienti che hanno sviluppato HCC de novo o ricorrente rispetto ai controlli trattati che non hanno sviluppato HCC (7).
Questi risultati interessanti suggeriscono l’esistenza di un pattern differenziale di mediatori (presenti già prima del trattamento) che potrebbero essere utilizzati come biomarcatori per identificare quei pazienti che, nonostante l’eradicazione di HCV, sono maggiormente proni a sviluppare HCC. L’esistenza di questi mediatori pre-trattamento potrebbe fornire la spiegazione sul progressivo affievolimento del rischio di sviluppare HCC post-trattamento.
Proprio in questa direzione si pone lo studio di Montaldo e coll. recentemente pubblicato su Journal of Hepatology (8) (Figura 1). In particolare, l’attenzione degli autori si è focalizzata sul ruolo svolto dalle vescicole extracellulari come veicolo di messaggi biologici associati alla progressione di malattia e sulla loro capacità di fornire informazioni prognostiche e diagnostiche.
In ambito infettivologico, le vescicole extracellulari sono ad oggi oggetto di intenso studio in quanto possono contenere e veicolare nel siero genomi o trascritti virali, RNA regolatori, nonché mediatori dell’infiammazione che possono modulare lo stress ossidativo e l’attivazione della risposta immunitaria (9).
Queste vescicole extracellulari possono svolgere un ruolo nel promuovere la trasformazione cellulare indotta da virus così come è stato dimostrato per il virus Epstein Barr. In particolare, è stato dimostrato che le vescicole extracellulari contenenti i cosiddetti micro-RNA-BART sono coinvolte nella trasformazione neoplastica svolgendo un ruolo nel promuovere lo sviluppo di linfomi non-Hodgkin (10). In particolare nel quadro della terapia con DAA, è stato precedentemente descritto che l'espressione di microRNA specifici (miRNA) presenti in tali vescicole è modulata dalla terapia, e che questi cambiamenti erano correlati con la capacità di degranulazione delle cellule Natural Killer (11).
Nello studio di Montaldo e coll., vescicole extracellulari sono state isolate da 39 pazienti HCV infetti trattati per la prima volta con DAA, sia al baseline che dopo 6 mesi dalla fine del trattamento, e da 32 individui sani utilizzati come controllo. Queste vescicole sono state aggiunte a colture cellulari LX2 di cellule stellate epatiche (HSC), in grado di mimare le cellule simil-miofibroblastiche altamente proliferative che derivano da HSC quiescenti (8) (Figura 1a).
È stata utilizzata questa linea cellulare proprio perché è noto che, durante l'infezione cronica da HCV, le HSC si trasformano in cellule simil-miofibroblastiche altamente proliferative che esprimono mediatori infiammatori e fibrogenici responsabili dell'accumulo di matrice extracellulare all'interno del microambiente, contribuendo così al processo fibrotico che porta alla cirrosi e all'insufficienza epatica in fase avanzata (12).
Attività pro-fibrogenica delle vescicole extracellulari
I risultati ottenuti mostrano che le vescicole extracellulari derivate da pazienti con infezione da HCV sono in grado di aumentare, rispetto alle vescicole derivate dai donatori sani, l'attività fibrogenica della linea cellulare LX2 correlata ad una aumentata espressione dei mediatori di attivazione delle HSC e alla ridotta espressione di specifici micro-RNA anti-fibrogenici, quali miR204-5p, miR93-5p, miR143-3p, miR181a-5p e miR122-5p (8) (Figura 1b). Questo risultato di livelli più bassi di miRNA anti-fibrogenici in modo statisticamente significativo si è osservato ad entrambi i time-point analizzati per miR204-5p e miR143-3p.
Similarmente, le vescicole extracellulari isolate dai pazienti HCV infetti sono risultate anche arricchite in proteine pro-fibrogeniche (es. DIAPH1) sempre in entrambi i tempi di analisi (baseline T0 e T6, 6 mesi dopo il trattamento) (Tabella 1).
Presi insieme, questi risultati evidenziano come il trattamento con DAA non riesca a reprimere completamente la persistente attività pro-fibrogenica delle vescicole extracellulari, contribuendo pertanto ad un rischio persistente di progressione della malattia epatica in senso fibrogeno e conseguentemente oncogeno (8).
Ciò supporta ulteriormente la persistenza dei meccanismi pro-fibrogeni e la presenza di modificazioni strutturali delle vescicole extracellulari nonostante l’eradicazione virale.
In questo contesto, la determinazione delle vescicole extracellulari (e del loro contenuto) circolanti nel siero dei pazienti potrebbe rappresentare un biomarcatore innovativo per identificare i pazienti a maggior rischio di progressione della malattia nonostante il raggiungimento della SVR, consentendo di ottimizzare il monitoraggio a lungo termine e la gestione clinica dei pazienti. Al tempo stesso, queste vescicole potrebbero anche rappresentare un nuovo bersaglio farmacologico ad azione anti-fibrogena per rallentare la progressione della malattia epatica.
Ciò è cogente in quanto ad oggi non sono disponibili farmaci in grado di bersagliare il processo fibrotico. La possibilità di bersagliare farmacologicamente le vescicole extracellulari e conseguentemente la loro capacità di attivare le HSC è supportata da recenti studi che mostrano come l'apoptosi selettiva mediata da STAT1 delle HSC possa essere cruciale per determinare un miglioramento del quadro fibrotico (13).
In conclusione, i dati disponibili ad oggi mostrano come nonostante l’elevata efficacia dei DAA, un rischio residuo di sviluppare HCC persiste, soprattutto in coloro che presentano un quadro di malattia epatica avanzata. Ciò supporta l’importanza di biomarcatori in grado di identificare quei pazienti maggiormente proni ad una progressione fibrogena e oncogena che dovrebbero necessitare di un monitoraggio più stretto. Al tempo stesso, ciò supporta ulteriormente l’importanza di un trattamento precoce contro HCV prima che i meccanismi cirrogeni e pro-oncogeni siano innescati evidenziando l’importanza di potenziare i programmi di screening per la diagnosi e la retention in care dei pazienti a rischio di infezione da HCV.
Punti chiave
- Le vescicole extracellulari isolate dai pazienti HCV infetti al baseline e dopo 6 mesi dalla fine del trattamento sono state comparate funzionalmente e strutturalmente alle vescicole extracellulari isolate da donatori sani non infetti.
- Le vescicole extracellulari isolate da donatori sani migliorano il fenotipo fibrogenico delle cellule LX2 a differenza delle vescicole extracellulari isolate dai pazienti HCV infetti ad entrambi i time-point analizzati.
- Le vescicole extracellulari isolate dai pazienti HCV infetti contengono livelli più bassi di miRNA anti-fibrogenici rispetto alle vescicole extracellulari isolate da donatori sani. Il dato si osserva ad entrambi i time-point analizzati.
- Le vescicole extracellulari isolate dai pazienti HCV infetti sono arricchite in proteine profibrogeniche (es. DIAPH1).
- La SVR non ripristina il carico e l'attività antifibrogenica delle vescicole extracellulari isolate dai pazienti HCV infetti.
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