A più di tre anni dall’inizio della pandemia COVID-19 è interessante fare qualche riflessione su quanto gli studi sull’infezione da SARS-CoV-2 abbiano portato all’avanzamento delle conoscenze in campo biomedico. In effetti, anche se alcune importanti questioni rimangono aperte, gli ultimi tre anni di intensa ricerca sul SARS-CoV-2 e sulla COVID-19 hanno avuto importanti riflessi sulla ricerca e hanno portato ad un ampliamento delle conoscenze in diversi campi e soprattutto nel campo della virologia, sia di base che clinica. Proveremo a descrivere alcuni risultati, a nostro avviso, più significativi, non avendo minimamente la presunzione di trattare in maniera esaustiva l’argomento.
Uno degli avanzamenti più importanti e certi della risposta alla pandemia COVID-19 è stato il rapido sviluppo di vaccini anti-SARS-CoV-2; essi si sono dimostrati sicuri ed efficaci nel prevenire un decorso severo dell’infezione anche quando sono emerse varianti virali diverse da quella originariamente considerata per la preparazione del vaccino. La pandemia di fatto ha rappresentato il primo test su larga scala per la definitiva approvazione e accettazione dei vaccini a mRNA (messengerRNA) da parte della comunità scientifica e degli enti regolatori di tutto il mondo. Da poco è stato assegnato il Nobel per la Medicina alla biochimica ungherese Katalin Karikò e all'immunologo statunitense americano Drew Weissman proprio per gli studi sull’RNA che hanno cambiato radicalmente la nostra comprensione di come l’mRNA interagisce con il nostro sistema immunitario e che hanno permesso la preparazione dei vaccini a mRNA anti-COVID-19.
La seconda importante lezione che deriva dalla pandemia è relativa alla rapida emergenza e diffusione di varianti virali con una capacità progressivamente maggiore di evadere l’immunità indotta dai vaccini, dalle infezioni pregresse o da alcuni presidi farmaceutici (ad esempio anticorpi monoclonali diretti contro specifici epitopi sulle proteine virali di superficie). Nonostante parte delle acquisizioni non siano completamente nuove – ad esempio conosciamo bene il tema della variabilità del virus influenzale di tipo A – l’attenzione che abbiamo posto alla sorveglianza epidemiologica estesa sull’emergenza delle varianti virali ha accresciuto la consapevolezza della necessità di una verifica dell’efficacia dei farmaci e vaccini e di un pronto aggiornamento antigenico. Peraltro, la necessità di modificare, con una rapidità senza precedenti, l’assetto antigenico dei vaccini o gli epitopi verso cui indirizzare gli anticorpi monoclonali sta creando problemi di regolamentazione per l’autorizzazione all'immissione in commercio degli stessi.
Dal punto di vista della ricerca di base, l’estesa applicazione di nuove tecnologie, incluse quelle omiche, ha portato alla rapida scoperta di fattori dell’ospite necessari per il completamento del ciclo vitale di SARS-CoV-2. Ciò ha dimostrato in maniera definitiva che per tutti i virus il successo del ciclo di replicazione dipende dall’azione di numerosi e specifici fattori cellulari. Essi di fatto sono geneticamente più stabili dei bersagli virali e possono essere comuni a diversi virus animali correlati e quindi possono rappresentare bersagli interessanti di una terapia antivirale pangenotipica. Il coinvolgimento dei fattori cellulari nel ciclo di replicazione virale giustifica ampiamente i risultati di studi, ancora da consolidare, che hanno dimostrato la capacità: di SARS-CoV-2 di alterare la regolazione della produzione di energia da parte dei mitocondri o di regolare epigeneticamente l’espressione genica tramite l’interazione di proteine virali con gli istoni; del genoma di SARS-CoV-2 di integrarsi nel genoma umano o di codificare per microRNA regolatori del metabolismo cellulare.
Da un punto di vista più applicativo, l’impellente domanda di test diagnostici nel corso della pandemia ha consentito importanti innovazioni tecnologiche. Questo ha portato, e porterà ancora, a progressivi e significativi avanzamenti nella diagnostica microbiologica soprattutto in termini di rapidità di immissione sul mercato di test diagnostici. Non secondario dal punto di vista strettamente diagnostico è stato il consolidamento delle conoscenze relative alla differenza tra: sensibilità/specificità analitica e sensibilità/specificità clinica; saggi diagnostici clinici, dedicati alla diagnosi dell’infezione, e saggi diagnostici non-clinici, dedicati allo screening della popolazione ai fini del contenimento della diffusione dell’infezione. Abbiamo verificato sul campo che questi ultimi debbono essere di complemento ai primi e non necessariamente alternativi.
Parallelamente l’utilizzo su larga scala, anche in questo caso senza precedenti, di test diagnostici per la COVID-19 ci ha permesso di acquisire nuove informazioni sul decorso delle infezioni virali: le risposte anticorpali possono essere di breve durata, soprattutto in caso di infezione asintomatica o molto lieve; alcuni marcatori di laboratorio – ad esempio i marcatori dell’infiammazione – rappresentano fedeli marcatori predittivi della progressione della malattia e delle complicanze dell’infezione; l’immunità di gregge, all’inizio della pandemia magnificata dai più, può non svilupparsi mai e, anzi, è abbastanza comune la reinfezione nei soggetti vaccinati; una infezione acuta localizzata può, per ragioni legate all’ospite, acquisire le caratteristiche di infezione sistemica e persistente.
Un altro importante insegnamento della pandemia COVID-19 è il consolidamento del concetto di ineluttabilità della comparsa delle infezioni emergenti. In effetti, nel corso della pandemia abbiamo compreso che senza una implementazione delle misure di preparazione e di risposta rapida e coordinata a livello locale/nazionale/internazionale all’evento pandemico, l’emergenza e la diffusione di nuove malattie infettive continuerà a rappresentare una minaccia importante per la salute pubblica. Ne consegue che investimenti importanti nella ricerca di base e clinica su questo argomento saranno fondamentali per lo sviluppo di contromisure efficaci essenziali ad una risposta efficace alle pandemie.
L’ultimo aspetto che ci preme sottolineare è che la pandemia è servita per rafforzare la consapevolezza che la disinformazione scientifica è nemica della salute pubblica. In Italia e nel mondo ci sono stati molti esempi inquietanti di disinformazione e/o di indeterminatezza dell’informazione, ad esempio sulla sicurezza dei vaccini o sull’efficacia delle procedure di contenimento della pandemia. Non esiste una soluzione semplice per contrastare quanto sopra menzionato ma è certo che abbiamo perso una grande occasione di valorizzazione del concetto di scienza come portatrice di verità.